LA CAROGNA @Teatro Antella: tormento ed estasi dell’amore incarnato

Venerdì 3  e sabato 4 novembre è andato in scena sul palco del Teatro Comunale di Antella lo spettacolo di Chiara Guarducci LA CAROGNA, per la regia di Paolo Biribò, con Demetra di Bartolomeo, produzione Archètipo. E’ il secondo momento della trilogia della Guarducci, pubblicata nella raccolta La neve in cambio, di cui avevamo già recensito il primo atto, Lucifero. Con LA CAROGNA esploriamo l’evoluzione esistenziale dell’angelo caduto, condannato ad attraversare l’esperienza dell’amore e a scoprirsi appunto, carogna, carcassa verminante da cui questa malattia molesta continua a germogliare senza sosta.

LA CAROGNA: odi et amo 

LA CAROGNA
LA CAROGNA, secondo momento della trilogia di Chiara Guarducci, regia Paolo Biribò, foto di Giampaolo Becherini

Un’attrice al centro della scena. Materializzatasi proprio lì dove avevamo lasciato Lucifero, caduto per amor di materia. Si erge seminuda su un supporto trasparente, che funge alternativamente da pedana, cassapanca, contenitore o loculo dentro cui costringere la carne, assoluta protagonista di tutto lo spettacolo. Questa volta il testo di Chiara Guarducci, puntualmente evocato in immagini dalla regia di Paolo Biribò, ci porta ad esplorare la ferita d’amore, l’attrazione, il trasporto, il sesso, l’abbandono come li racconterebbe il corpo. L’amore s’incista dentro le viscere, le risveglia, le fa vibrare, le esalta, le alleggerisce, le porta in estasi, le precipita nella noia della sazietà per poi riaccenderle, in uno spietato insensato gioco o coazione a ripetere. L’amore si manifesta come fame, ansia da riempimento di sé, pulsione ad annichilirsi nell’altro per provare quella sensazione orgasmica di sconfinatezza oceanica, dalla quale non si può che riprecipitare a terra, condannati ad un perenne nostalgico desiderio del ritorno all’unità perduta: “amore miserabile, che miseria felice essere nudi”. Ma, inevitabilmente rovescia nel suo beffardo gemello diverso, il dolore. E quando finisce continua a sbranare letteralmente la carne, attraversandola dall’interno fino a dissolverla, come fanno i vermi con una carogna. La ferita d’amore diventa ferita d’abbandono e il viaggio dentro di sé che costringe a compiere è strazio, contorsione, dilaniamento, metamorfosi nell’opposto, esperienza dell’odio capace di bruciare l’ultimo palpito di questa ulcera urlante e riportare la quiete. Su cui innestare un nuovo inizio. E così via per sempre.

LA CAROGNA: recitare il tormento e l’estasi del corpo

LA CAROGNA
Demetra di Bartolomeo in LA CAROGNA, foto di Giampaolo Becherini

Demetra di Bartolomeo, intensa e magnetica, si pone al centro offrendosi a questa esperienza catartica e orticante al tempo stesso. Il suo agire in scena è fare spazio a parole di carne, timbrate come se fossero materia. Marionetta da carillon si umanizza nel trasporto erotico, ma conserva per tutto il tempo l’attitudine alla ripetizione meccanica: schiudersi all’altro, lasciarsi frugare fino a perdersi, bruciare di perdita, ricomporsi nell’indifferenza sembrano tempeste interiori dettate da una necessità animale che condanna all’assenza di alternativa. I suoi gesti in scena, coreografati con puntualità chirirugica dalla regia di Biribò, ci mostrano un corpo capace di assottigliarsi fino ad incontrare il mistero dell’Altro – “Se mi carezzi incontro la tua anima/ne inseguo gli incanti/ ne bevo le orme – ma anche di invischiarsi nella materia ingombrante dei suoi liquami, secreti da insopprimibili bisogni impellenti. I contorni dello spazio vengono di volta in volta modificati da una animazione digitale volutamente disturbante: immagini di carne, brulicante di vita o morta, macellata e pronta per essere mangiata, con le sue venature rosee, col suo grasso e le sue fibre esposte, vengono proiettate sul corpo dell’attrice e sul fondale, costringendoci a non fuggire nell’idealizzazione del sentimento più frainteso al mondo, squadernandoci in faccia la sua dimensione più primordiale e animale, fino a mostrarcene il lato marcio e verminoso e il suo continuo dialogare con la morte: “Si ama/ si muore”.

LA CAROGNA: la parola è l’evento in scena

LA CAROGNA
Una scena di LA CAROGNA, foto di Giampaolo Becherini

Lo spettacolo incastona il testo, come un anello una gemma a tre facce che riflettono cangianti i tre momenti di ogni relazione: l’Innamoramento, la Separazione, l’Incontinenza della solitudine. La fonetica, il  lessico, i ritmi e le pause riproducono le contraddizioni rocambolesche a cui espone Eros nel suo dilatarci fino agli estremi dell’uomo, ibrido luciferino tra la bestia e l’angelo. E’ la parola l’evento in scena. Una parola che sale e discende a ritmo indiavolato le vertiginose distanze tra i registri più altri e quelli più bassi, come in un  inferno dantesco. Oh l’amore generoso, orgasmatico, abbondante/ diavoleria tempesta/l’amore è un mentecatto che non distingue tra sé e l’acqua/ha l’aria di un dolore che fa festa). Una parola che si fa azione e conciliazione degli opposti. La  poesia recupera il suo originario legame con il “fare” e il “fare accadere”. Non si trascende questa malattia terminale e universale d’amore, se non percorrendola fino in fondo e riconoscendola per quella che è, senza sconti. Uno spettacolo potente, quindi, che lascia gli spettatori invasi, scossi e commossi. Di cui a questo punto speriamo di vedere presto in scena l’epilogo con il terzo momento della trilogia di Guarducci Camera ardente.

Visto il 4 novembre 2023, al Teatro Comunale di Antella, Bagno a Ripoli, Firenze

LA CAROGNA

di Chiara Guarducci
con Demetra Di Bartolomeo
allestimento e luci Silvia Avigo
costumi Antonio Musa
regia Paolo Biribò
produzione Archètipo

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