IL FIUME E LA ROSA. A volte l’amore non basta è andato in scena il 15 e 16 settembre come seconda azione artistica collettiva di “Resistenze artistiche” patrocinata dal Comune di Lastra a Signa e svolta in collaborazione con i servizi di Salute Mentale zona empolese e fiorentina della Asl Toscana. Il Progetto di Arbus, Teatro Come Differenza, Mi chiamo Viscardo e Spazio Ipotetico con il sostegno della Fondazione CR Firenze, in collaborazione con gli enti locali del Contratto di Fiume, ci porta attraverso un viaggio onirico e misterioso lungo il fiume Pesa, filo conduttore di un laboratorio teatrale che nei mesi scorsi si è rivolto agli attori di Teatro come Differenza e agli utenti dei servizi di salute mentale dell’area fiorentina ed empolese. A questo gruppo si sono poi aggiunti altri partecipanti tra cui cittadini di Firenze, Lastra a Signa e di Ginestra Fiorentina. Lo spettacolo itinerante ha interessato due gruppi di 50 spettatori, con due repliche al giorno (19.30 e 21.30), alla penombra della sera.
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IL FIUME E LA ROSA: un percorso notturno di parole e performance

Muniti di una piccola torcia gli spettatori partono dall’edificio delle Associazioni Arbus e Mi chiamo Viscardo Lab, sulla cui facciata viene proiettato il video mapping del fiume Pesa, una sequenza di immagini liquide e azzurrine che dissolvono la struttura del palazzo, confondendosi coi toni scuri e nuvolosi di un tramonto piovoso di fine estate. Terra, acqua e cielo sembrano aver assottigliato, per l’occasione, i loro confini naturali, un po’ come se le pennellate dell’opera dell’artista iraniana Sona Baradaran, in esposizione nei locali del Centro, fossero dilagate fuori e accompagnassero il percorso degli spettatori. L’ itinerario consta di 10 stazioni, in ognuna delle quali incontriamo un attore, avvolto e quasi nascosto dalla vegetazione che recita ciclicamente parole tratte da testi nati nel corso dei laboratori ed ispirati dal celebre aforisma di Eraclito “panta rei” al tema dell’acqua e del suo fluire. Ai brani inediti si intrecciano testi d’autore, quasi senza soluzione di continuità, in un gioco di controcanto in cui è impossibile distinguere l’alternarsi delle citazioni (Chandra Livia Candiani, Rumi, Szymborska, ecc.). Il viaggio termina nel greto asciutto del fiume dove un gruppo di attori inscena una danza rituale, sottolineata dalla proiezione digitale di un flusso di acqua corrente, sulle note misteriose del flauto di Pan che una figura lontana nella penombra del controluce fa risuonare nella radura, come se il dio avesse deciso di palesarsi e attrarre a sé i suoi seguaci.
IL FIUME E LA ROSA: la sottile linea tra uomo e natura

Le suggestioni poetiche sembrano avere come tratto comune il farsi labile della linea di confine tra uomo e natura che assorbe il pubblico in un clima fiabesco fuori dal tempo. Tutto fa parte di una delicatissima regia in cui attori, luci, suoni, musiche (le note di Scarborough fair, intonata tra le foglie di un canneto, e quelle di Syrinx di Debussy eseguita dal vivo, acuiscono l’atmosfera di mistero) dialogano armonicamente con l’imprevisto naturale: la danza delle luci incerte sulle foglie gialle bagnate a terra, il brulicare di un insetto tra in cespugli, il percorso di una minuscola rana che gli spettatori si apprestano a salvaguardare dal loro passaggio, gocce fredde di acqua piovana impigliata negli alberi che, a sorpresa, si infilano nel bavero della giacca. A pochi metri dalla foresta magica, la Chiantigiana, col rumore atono delle macchine e le luci artificiali dei lampioni, ci ricorda il mondo e ce lo mostra lontano, come attraverso un portale incantato.
IL FIUME E LA ROSA: il dissolvimento panico dell’umano

Testi e interpretazione richiamano ad un decentramento della dimensione logico-razionale, un dissolversi dell’uomo nei suoi componenti minerali e vegetali, il suo ritorno ad una simbiosi panica con la Natura. Dalle parole recitate cogliamo uno struggente desiderio di fondersi e scomparire tra le fibre sagge delle piante, recuperando l’appartenenza primitiva ad un ecosistema selvaggio e incontaminato a cui affidare il nostro elucubrare, le nostre memorie tormentate, il nostro ego separato e verticale che ha smesso di dialogare col cielo (“Sarà meraviglioso non tornare più”, “la vita è il solo modo per coprirsi di foglie[..]distinguere il dolore da tutto ciò che dolore non è”). Gli attori incarnano in loro stessi questo cambio di prospettiva, con i loro tremiti, i loro sguardi fissi nel vuoto, i loro gesti sospesi e le pause di silenzio in cui perdere la memoria (“Non si può riempire il vuoto con il nulla”): la performance non è virtuosismo d’artista ma rito officiato per ed insieme al pubblico, è mettersi a disposizione di un’epifania capace di parlare al livello più umbratile della coscienza, con la poesia del clown e la nudità del bambino. Pertanto i nostri archetipi intellettuali sono chiamati a fare un passo indietro, siamo invitati tutti ad un atto di umiltà in cui abbandonare il consueto e plurisecolare antropocentrismo, o per rigenerarne uno a partire dalla Natura. Fosse anche quella semplice della canne sul greto secco di un fiume in prossimità di una statale.
IL FIUME E LA ROSA: teatro, comunità e territorio
Lo spettacolo itinerante si radica in un approccio che stabilisce sinergie profonde tra la cittadinanza, gli artisti e il territorio, riconfermando l’efficacia visionaria di questo progetto. “Siamo circa 35 persone – spiega Francesca Sanità una delle registe di Teatro Come Differenza che in questi mesi ha condotto i gruppi teatrali di Arbus – Sosteniamo questa modalità di lavoro in cui si uniscono persone con esperienze diverse, unione che è molto importante per tutti”. Ci colpisce la risonanza di tale esperienza con i richiami di tanta parte del pensiero scientifico e filosofico contemporaneo nel rivalutare le connessioni, le comunità, gli ecosistemi, nel potenziare il pensiero di rete e l’atteggiamento eco-centrico, in opposizione alle paure apocalittiche e alle solitudini virtuali a cui sembra condannarci l’ineluttabile progresso tecnologico. Il teatro, forse più di altri linguaggi, in quanto arte della trasmutazione può ricordare all’uomo la sua parentela col filo d’erba, col sasso, col corso d’acqua, facendosi profezia di nuovi equilibri possibili.
Visto a Ginestra Fiorentina il 15 settembre 2023
IL FIUME E LA ROSA. A VOLTE L’AMORE NON BASTA
Progetto di Arbus, Teatro Come Differenza, Mi chiamo Viscardo, Spazio Ipotetico
con il sostegno della Fondazione CR Firenze
Collaborano gli enti locali del Contratto di Fiume e la Asl Toscana Centro
Iniziativa patrocinata dal Comune di Lastra a Signa