IL CAPOLAVORO di Francesco Ferrieri: da Balzac al focolare domestico

Metà febbraio, domenica pomeriggio, un bel quartiere di Firenze faccia a sole, e due rampe di scale. Ci accomodiamo nell’appartamento di Francesco Ferrieri attore e regista e creatore de IL CAPOLAVORO, esperienza teatrale realizzata “in casa” e ispirata a “Il Capolavoro” di Honoré De Balzac. Una volta accolti, prendiamo posto in un doppio salone dalle persiane chiuse. Lo spettacolo comincia.

  • La recensione è a cura di Michele D’Ambrosio e Martina Corsi

IL CAPOLAVORO SCONOSCIUTO: una citazione da Balzac

L’opera teatrale messa in scena da Ferrieri si ispira al racconto breve “Il capolavoro sconosciuto” di Honoré de Balzac che narra le vicende di due artisti e di un misterioso quadro disvelato dal suo autore: Frenhofer un vecchio artista incompreso.

L’opera messa in scena da Ferrieri si ispira allo scritto dell’autore francese ma in una chiave domestica ed evocativa.

Il Capolavoro locandina Ferrieri

IL CAPOLAVORO: Ferrieri ricostruisce un’atmosfera parigina del ‘600

La scena è composta da una lampada e un’unica struttura di legno assemblato e avvitato che ha le sembianze di una scala: l’ideazione è di Marco Casolino. Ci accompagnano le musiche della “Donna Cannone” di De Gregori e la colonna sonora di “Frankestein Junior”, curate da Daniele Casolino.

“Il maestro è nell’anima” risuona alla radio quando d’un tratto ci troviamo nella Parigi dagli ampi boulevard, immersi in un racconto di Balzac, ambientato nel ‘600.

Da Ferrieri un racconto di divagazione e riflessione

Ferrieri sembra tenere una lezione dal sapore stanislavskiano invitandoci a sentire il freddo della capitale d’oltralpe. Tra lezione di storia e flusso di coscienza siamo condotti con mille digressioni, parentesi e con intermezzo “pausa mandarino”, nelle case e nelle vicissitudini degli avventori di questo racconto fino ad arrivare alla bottega del Maestro vecchio incompreso.

Ogni volta, dopo le divagazioni, il racconto è riavvolto e riparte da dove si è interrotto: è un continuo entrare e uscire dalla narrazione e dal processo recitativo del personaggio, passaggio che richiede una grande concentrazione non sempre tenuta, forse con l’intento di sperimentare un tipo di teatro “diverso”, dal sapore più intimista e casalingo.

Ferrieri ci porta nella bottega di Frenhofer di Balzac

Ferrieri con costanza cerca di tenere un dialogo aperto col pubblico; con dovizia di particolari e maestria rappresenta i diversi personaggi che si avvicendano sull’uscio della bottega di Frenhofer e trasmette i sentimenti e le emozioni che ognuno di essi sta vivendo, passando dalla curiosità di Poussin alla ritrosia di Gillette, mancando tuttavia di empatia con gli stessi, in quanto è un susseguirsi di azioni non sempre comprensibili a pieno: a volte non c’è sincronizzazione tra i battiti dei personaggi e quelli degli spettatori. Le reazioni del pubblico incuriosito ad ogni modo non mancano, discorrono con l’autore sulla forza dell’amore e dei sentimenti, e forse è davvero questo l’intento del Ferrieri: sperimentare e cercare di essere un attore-focolare attorno a cui ci si raduna per imparare una storia.

 Usciamo dalla sala, o meglio dal salotto, consci che mai saremo geni ma accompagnati dalla consapevolezza che personalità del calibro di Frenhofer non nascono ogni giorno, ma tutti possiamo comunicare col genio attraverso un metaverso: una ipotetica interazione tra il reale e un mondo universale e immersivo, tra fenomeno e noumeno dal sapore kantiano.

IL CAPOLAVORO: Ferrieri spiega la genesi del riadattamento

Nel chiacchiericcio della manciata di spettatori presenti con noi in questa domenica pomeriggio di febbraio ci immergiamo in un dialogo con l’autore/regista/attore a cui chiediamo il perché di questo soggetto. Ci racconta che tutto è nato da un concorso di Padova in cui il tema doveva richiamare l’arte, così l’autore si è imbattuto in questo racconto di Balzac dal sapore antico ed ha deciso di riproporlo in una chiave teatrale.

La prima volta lo ha portato in scena in un piccolo teatro fiorentino, poi ha sviluppato l’idea di portarlo nel salotto della sua casa, così da poter fare un’esperienza più intima con gli spettatori. Da spettacolo è dunque diventato un’occasione per invitare amici ed allievi e richiamarli al confronto critico sul suo lavoro di attore di teatro, insegnante e formatore nelle scuole.

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