Ispirato alla maestosa e centrale opera di Karl Marx, IL CAPITALE della compagnia Kepler-452 ha aperto la stagione 23/24 del Metastasio di Prato intitolata “Vita, morte e miracoli”. Per questo speciale avvio di stagione, la produzione dell’ERT ha portato in scena tre dei molti operai dell’ex azienda GKN che con una semplice mail sono stati letteralmente liquidati nell’estate del 2021 dal fondo finanziario proprietario della fabbrica produttrice di componenti meccanici per l’universo ex FIAT. Dopo una lunga permanenza presso lo stabilimento di Campi Bisenzio, con il presidio dei lavoratori, oggi riuniti nella SOMS Insorgiamo, Nicola Borghesi, in scena, ed Enrico Baraldi, entrambi registi e drammaturghi, hanno costruito un pezzo di teatro civile e di impegno sociale. Obiettivo: smascherare, semmai ce ne fosse ancora bisogno, le malsane storture di un sistema, quello capitalistico moderno, che già il filosofo tedesco aveva individuato, memore della sua esperienza tra le fila degli operai delle manifatture inglesi a Manchester.
Contenuti
IL CAPITALE: cronaca di un fallimento

Era il 9 luglio 2021 quando il fondo Melrose inviò a tutti i 422 dipendenti della GKN di Campi Bisenzio, nell’hinterland fiorentino, una mail per informarli dello scioglimento del loro contratto di lavoro. Una doccia fredda che non tardò a provocare una reazione, la più istintiva: riunirsi davanti ai cancelli dell’azienda per rientrare laddove molti erano usciti la sera prima convinti di tornare in catena di montaggio il giorno successivo. Da lì è iniziata l’avventura dell’occupazione permanente, con lo sfondamento dei cancelli e l’impedimento ai proprietari di togliere quei macchinari che fino a qualche ora prima producevano semiassi e altri componenti meccanici per il settore automobilistico. E poi i passaggi di proprietà, le promesse vane e il tentativo di fiaccare la tenacia dei lavoratori. Un presidio che prosegue ancora oggi con l’avvio di un importante nuovo progetto di azionariato popolare per una reindustrializzazione dal basso, per rispondere a tante domande. Una su tutte: quale futuro?
IL CAPITALE: operai ed operaie in scena

Una macchina per produrre capitali, un ingranaggio di un’enorme catena di montaggio globale che bullone dopo bullone alimenta la disumanità di un sistema che ha già più volte dimostrato la sua precarietà. Può apparire impossibile che la materialità fisica di attrezzi e macchinari possa cedere alla volatilità di una finanza spregiudicata e ingiusta, capace di trascinare nel gorgo del fallimento anche la solidità della produzione industriale. Ma tra le righe del testo di Karl Marx – uno di quei testi che “ci sembra di averlo letto anche se non l’abbiamo fatto” (Luisa Bosi), come recita il sottotitolo dello spettacolo – sembrava che fosse già scritto e la cronaca della GKN appare l’ennesima dimostrazione lampante. Perciò, quale miglior modo per drammatizzare l’opera esemplare del filosofo tedesco se non portare sul palco del prestigioso Teatro Metastasio le vittime di quel Capitale? Stavolta è toccato a Tiziana De Biasio, Felice Ieraci, Francesco Iorio e Dario Salvetti ma su quel palco erano con loro, in anima e spirito, tutti i lavoratori della ex-GKN che alla fine non hanno mancato di far sentire la loro voce e la loro caparbietà. Per anni hanno conferito alla loro ferraglia il potere di dar loro dignità, di mantenerli all’interno di quel sistema che ci costringe in una categorizzazione forzata. E ora che ne sono stati espulsi, e non certamente per loro incapacità o incompetenza, non si sono voluti rinchiudere nel silenzio, nell’ipocrisia del “Va tutto bene, grazie”.
IL CAPITALE ed il motore della narrazione
Ognuno di loro è pronto a gridare al mondo la propria indignazione con l’immancabile megafono presente in scena dal primo istante, fin dall’ingresso del pubblico in platea a sipario aperto e semivuoto: oltre al megafono, una copia de Il Capitale e i lampadari industriali calati dall’alto davanti ad un fondo che è un po’ tenda a larghe frange, da magazzino, e un po’ schermo proiettore. I lavoratori si alternano, restando spesso insieme sul palcoscenico, con i banchi da lavoro, i carrelli, le attrezzature e i loro travagli. Le loro strade si sono a tratti incrociate, a tratti hanno viaggiato parallele fino a quel 9 luglio, che come un punto di accumulazione ha raccolto la precarietà ed è poi esploso in un bigbang di rabbia che travolge anche noi seduti in platea sulle eleganti poltroncine rosa cipria. Sul palco i toni non sono mai troppo propagandistici o sensazionalistici perché basta la freddezza di quella maledetta lettera a strapparci qualcosa, a portarci con i lavoratori ai cancelli per impedire che venga spazzata via anche un’ultima speranza di futuro. E quella lettera resterà sempre lì sul palco, in decine di copie che la fotocopiatrice sprezzantemente sforna e lascia lì come uno spettro che aleggia, involontario motore della narrazione, racconto dopo racconto. La sua leggerezza e superficialità sembra rappresentare molto efficacemente il Capitale, il motore che ininterrottamente accresce il benessere di una minoranza spregiudicata.
La riconquista del tempo e le contraddizioni del sistema

E poi viene Nicola Borghesi, l’attore che nel tempo di permanenza e condivisione al presidio è finalmente entrato in una fabbrica, anche lui in fondo solo per “produrre”, come fosse un’altra vittima e indirettamente carnefice del sistema. Come in una catena di montaggio ben congegnata, Borghesi ha impercettibilmente definito il ritmo di lavoro, come un capovoga in una gara portata avanti con precisione e buona sincronia tra le parti secondo un disegno, quello della drammaturgia del duo Baraldi/Borghesi, che non manca di mostrarci anche alcune contraddizioni. Se il plusvalore marxista definisce lavoro anche il tempo libero in cui il lavoratore continua ad alimentare ed oliare la macchina del capitalismo, con i propri consumi e con il riposo che gli permetterà di continuare a produrre, allora per i lavoratori il presidio è stata finalmente l’occasione per riavere il proprio, di tempo, mentre sarà qualcun altro che “fa le merci”.
Il CAPITALE: non solo drammaturgia
“Siamo un futuro non scritto”. Così si definiscono gli attori-operai in scena, in bilico tra vittoria e sconfitta, tra ieri e domani, in un fitto velo di nebbia – fumo in scena – dove i contorni si sfuocano e le ombre che si intravedono nel forte controluce dei fari sul fondo dimostrano la fierezza di chi ha saputo riconquistare una propria umanità, fuggendo dal Capitale e dai suoi schemi precostituiti. Neanche Marx sa fornirci indicazioni: gli operai della ex-GKN hanno sbaragliato e se la vittoria significa “commettere errori nuovi”, loro sono pronti a metterci cuore e testa, come ai ringraziamenti finali in cui gli striscioni e i cori del presidio invadono palco e platea a ritmo di tamburo, tra gli applausi del pubblico – o almeno della maggior parte.

Crediamo convintamente di non aver assistito ad un capolavoro della drammaturgia contemporanea ma riconosciamo a tutti dei meriti: alla coppia Baraldi/Borghesi di aver creduto in un progetto che andasse oltre le pagine dell’originale per esplorare l’ignoto che sta oltre, tra le tende del presidio dei lavoratori, e di averlo realizzato con umiltà, coscienza e professionalità; agli operai ed alle operaie che si sono messi in gioco, in primis per dimostrare che il diritto alla dignità non può essere cancellato con una mail e che esiste l’uomo oltre alle merci; ed infine al Metastasio che ha scommesso su un’apertura di stagione che è anche chiara scelta politica: un teatro pubblico che torna ad essere luogo di fermento non solo culturale ma anche sociale e civile, un altro elemento “fuori dal coro”, presidio anch’esso di legalità e umanità.
Visto al Teatro Metastasio (Prato) il 19 ottobre 2023
IL CAPITALE
un progetto di Kepler-452
drammaturgia e regia Enrico Baraldi e Nicola Borghesi
con Nicola Borghesi
e Tiziana De Biasio, Felice Ieraci, Francesco Iorio – Collettivo di fabbrica lavoratori GKN
e con la partecipazione di Dario Salvetti
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale