GRIEF & BEAUTY @Teatro Metastasio: l’insostenibile bellezza della morte di Milo Rau

Apre con uno spettacolo di incredibile profondità la stagione del Teatro Metastasio di Prato. Con GRIEF & BEAUTY il drammaturgo e regista Milo Rau mette in scena la seconda parte della sua Trilogy of Private Life, affrontando la questione dell’addio, del lutto e della morte, della memoria e della solidarietà, del sorriso al finale di partita. Si può rappresentare in scena la scelta della morte, la sparizione, il timore e il tremore, la bellezza? Rappresentarla, o viverla? Quali sono i confini? E ci sono, poi?   

GRIEF & BEAUTY: la casa della vita e della morte

La scena-casa di GRIEF & BEAUTY

All’alzarsi del sipario, inizia tradizionalmente una recensione – ma il sipario non si alza, qui. È già tirato il sipario, ed il palco è occupato da una zona divisa in tre stanze – bagno, camera, cucina – l’appartamento in cui il protagonista anziano vive ed è assistito da tre altre figure, diversissime per aspetto, storia, provenienza geografica, passato. Così diverse, sono comunque capaci di fare gruppo, di fare famiglia, di ululare insieme come fanno i lupi, che sembrano ognuno chiuso in se stesso e sono invece un branco forte, resiliente, invincibile. Il loro ululato di gruppo, che Clémence, la musicista, ci fa ascoltare su diretta richiesta di un personaggio, crea suoni melanconici che tuttavia parlano di speranza, parlano di futuro; e gli attori ululano effettivamente tutti insieme in contrappunto col coro lupesco, in una magica scena. La zona casa, realistica all’estremo, fitta di oggetti che sono “buone cose di pessimo gusto” ricordi di una vita che li ha tesaurizzati, appare tuttavia, sollevata com’è dalle tavole del palcoscenico, teneramente favolistica: una specie di casa di bambola di cartone dalla triplice piegatura, in cui le bambole, però, si muovono ed agiscono. Si incrociano, anche, fisicamente: pochi invece gli scambi dialogici: la drammaturgia si sgrana in monologhi inquadrati dalla telecamera che ingrandisce il volto dell’attore, e la rete di collegamento, fortissima e invisibile, è affidata al pubblico, che è testimone vibrante di uno spettacolo magistrale.

L’intero cast di GRIEF & BEAUTY

GRIEF & BEAUTY: la sostenibile pesantezza del dolore

Dolore, certo, e nella parola inglese “grief” la corposità è innegabile: il dolore è qualcosa che precipita verticale dall’alto, la lastra che si chiude, la diagnosi che taglia la vita, il corpo che fatica a muoversi, la casa che affonda, le gambe che vanno sollevate, in generale il senso della caduta dall’alto di una conseguenza fatale, tombale. Ma, e la bellezza “beauty”? “La morte è la madre della bellezza”, scrive Donna Tartt in un celebre romanzo, e continua: “E che cos’è la bellezza? Terrore”. Di morte è intessuto tutto lo spettacolo. Ogni personaggio riferisce della sua morte incombente, delle numerose morti che hanno costellato la propria avventura esistenziale: le persone care che sono mancate, gli animali che ci hanno preceduto di là, ma anche i rapporti in cui credevamo che si sono dissolti, le storie d’amore che ci hanno scrollato via, le terre da cui abbiamo dovuto migrare, tutto il grande viaggio costruito sulla perdita che è la nostra vita. La morte ci segue, indossa i nostri vestiti smessi, rimette in scena le tappe della nostra storia, abita le nostre case vuote, prende per mano coloro che abbiamo perduto. È certo la madre della bellezza, se vivere è comunque incantevole, se il flusso di attimi che ci porta avanti genera in noi uno struggente amore, un legame inesprimibile che rende la collana di momenti che ci attorcigliamo fra le mani incantevole, irrinunciabile vita

GRIEF & BEAUTY

Morte e resurrezione: il palcoscenico di GRIEF & BEAUTY

Ogni personaggio, uscendo dalla zona/casa ed emergendo sulle tavole di legno del palcoscenico, riferisce di aver dimestichezza col teatro, di aver fatto scuola di recitazione, di aver recitato. Naturalmente, visto che questa che si menziona qui è effettivamente la vita degli interpreti e che pochi attori oggi riuscirebbero ad eguagliare il senso profondo e la naturalezza dei performer della Scuola di NtGent. Ma nella complessa trama di rimandi e di agganci, nella rete che drammaturgicamente sostiene uno spettacolo apparentemente giustapposto e invece infinitamente strutturato e coeso, il teatro è un vettore di morte e resurrezione. Si muore in scena, come ci dimostra il giovane, lunare interprete de Il Piccolo Principe, che esegue su richiesta una perfetta caduta dalle punte dei piedi a terra.

GRIEF & BEAUTY: sorridere alla morte, rivivere la vita   

Però si può sorridere alla morte. Sullo schermo che sovrasta il palco il viso di Johanna B. ce lo dimostra. L’eutanasia da lei realmente vissuta viene mostrata in video, mentre più in basso l’anziano protagonista recita la sua. Le immagini sono incredibili, perturbanti. Il sorriso con cui si affronta una morte stabilita è persino troppo luminoso di bellezza, commovente: il minuto dopo, quando la morte entra in circolo, il dolore pesantissimo deforma i lineamenti, che cadono, privi di qualunque slancio: carne. La dolce danza che segue al finale ci rassicura ancora: nulla è perduto. I nuclei del nostro corpo e della nostra anima rientreranno semplicemente in circolo, saranno riutilizzati, conosceranno ancora la bellezza, il dolore. Abbiamo qualcosa in comune con la terra e con le nuvole, siamo trafitti da una profonda nostalgia delle stelle da cui proveniamo. Che altro sostenere di più terribile? Di più intenso, di più consolante, di più disperato?

Visto l’8 ottobre 2022

GRIEF & BEAUTY

regia Milo Rau
testo Milo Rau & ensemble
con Arne De Tremerie, Anne Deylgat, Princess Isatu Hassan Bangura, Gustaaf Smans, Johanna B. (in video)
drammaturgia Carmen Hornbostel
scene e costumi Barbara Vandendriessche
musica dal vivo Clémence Clarysse
camera & video design Moritz Von Dungern

Teatro Metastasio, Prato

luci Dennis Diels

produzione NtGent in coproduzione con Tandem Scéne Nationale Arras – Douai, Kunstlerhaus Mousonturm Frankfurt, RomaEuropa Festival, Teatro Nazionale di Genova

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