DA PROMETEO @Fabbricone: indomabile è il mito per De Summa

Nuova fatica autorale, attoriale e registica per Oscar De Summa che ha debuttato in prima assoluta al Fabbricone di Prato con DA PROMETEO – Indomabile è la notte. L’attore premio UBU ha completato la sua riflessione, iniziata con La cerimonia, ispirandosi al mito del titano che sfidò Zeus per portare il fuoco agli uomini e consentire loro di emanciparsi e di evolversi. Nuova moderna interpretazione quella di De Summa in cui l’eroe si fa giovane donna per incarnare la propria condizione di solitudine e inarrendevolezza nell’epoca della egoistica modernità social.   

Che cos’è il mito, ci chiediamo, e di solito è un mondo, un universo. Un pensiero e un’espressione opposta a quella rigida del logos, un approccio vitale, irrazionale e serissimo a quanto di più vero ci appartiene e ci abita. Il mito, in fondo, vive proprio perché attualizzato. Si rinnova nell’albero delle varianti da sempre: da quando Eschilo innestò l’Areopago ateniese a concludere la caccia furiosa delle Erinni – inventata e tramandata secoli, secoli prima. Se non ci fosse attualizzazione, il mito morirebbe: e non muore mai. Si piega, flessibile, nella direzione che l’artista intende raggiungere, e così il Titano in Prometheus Landscape di Jan Fabre diventa The All-giver, il grande donatore, crocefisso in scena fra fuochi liberi, mentre il Prometheus di Lowell andato in scena all’ultimo Napoli Fringe Festival fa virare il personaggio verso l’eroe del dolore, deformato e sofferente, torturato e deciso a non cedere mai, umano troppo umano. Multiforme e sfaccettato, Prometeo è un prisma per ogni artista, capace di cedere ad infinite interpretazioni. A patto che il paradigma interpretativo si riveli efficace. Per quanto il mito abbia concesso la fama esclusivamente all’eroe, l’atto di donare agli uomini il fuoco a costo della inevitabile punizione divina rappresenta un gesto di generosità assoluta. Non solo concessione una tantum ma chiave evolutiva dell’intero genere umano, quarto elemento mancante per la tékhne. Ininterrotto da allora, un fil rouge ci ha condotti alla contemporaneità fatta di quella stessa tékhne sposata al logos, alla ragione, genitrice del nostro presente dove alla concretezza degli elementi opponiamo la virtualità dei social media. Perdere il contatto fisico significa rinunciare all’empiria, all’esperienza, e rintanarci nella conoscenza dell’altro non in quanto sé stesso ma in quanto proiezione, avatar creato dalla propria immaginazione, privo di corporeità.

Io è un altro” ripete come un mantra Oscar De Summa in scena in veste di cabarettista/presentatore col microfono ad asta in un asettico e plumbeo spazio scenico che delimita nettamente i confini tra il dentro e il fuori. Ed ancora Epimeteo (Luca Carbone), fratello di Tea, la Prometeo donna protagonista (Marina Occhionero), chiede alla sorella: “per te chi è l’altro che ti guarda?”. E lo chiede proprio a lei che è rimasta vittima dell’inganno di un uomo che credeva la amasse ed invece ha approfittato della sua bellezza e della sua ingenuità per schiaffare la sua intimità su quella rete dove “i corpi non hanno odore”. Per quella giovane così anarchicamente ribelle e guerrafondaia, a tratti fin troppo scurrile, restare vittima di un sistema precostituito è allo stesso tempo una sconfitta e una provocazione. Una “titano” dei nostri giorni che a differenza di Prometeo tenta di chiedere aiuto più volte, gridando ripetutamente come incatenata all’indifferenza e all’egoismo (“saremo liberi solo quando saremo totalmente nel corpo dell’altro”). Paradossalmente l’unico personaggio con cui riesce ad instaurare un dialogo è Aetos, l’Aquila (Oscar De Summa), che si manifesta nella vita di Tea, unico essere in grado di interpretare il suo registro comunicativo, fatto da corpo e voce, con una complicità ruffiana che sembra instillare in lei un dubbio penetrante e inesorabile tanto da spingerla a progettare il suicidio. Ma non può finire “semplicemente” così: la punizione non può annullarsi e allora Aetos interviene per salvare la ragazza, certi che tornerà a provocarla e a confonderla (“non ci si capisce nulla, eh, non ancora…”) in un processo ciclico la cui fine è solamente un inizio. Un processo di umanizzazione, quello compiuto sulla Tea/Prometeo, che non è estraneo neanche a Pandora (Rebecca Rossetti), inviata nel mito da Zeus con il suo vaso e oggi invece carica essa stessa dei mali del mondo che riversa sull’umanità con un grido che improvvisamente lacera la scena. Non più quindi metafora della tentazione e genesi della rovina ma allegoria di una strisciante vendetta che talvolta il destino sembra stia prendendosi con il genere umano, riservando alle donne la parte più dolorosa. Se la tecnologia è fine e causa, durante lo spettacolo si fa anche mezzo laddove le registrazioni dei monologhi di De Summa si sovrappongono durante la recitazione, riverberandosi nell’aria cupa con effetti sonori come se quel cabarettista/presentatore in frac, “axis mundi”, fosse un deus ex machina, comunicativo nella forma ma letteralmente sibillino nei contenuti. Ad alternarsi sono le scene che vedono i personaggi muoversi al centro dello spazio, consapevoli di essere fuori dalla realtà, come osservati da un Grande Fratello, accompagnati dal tema ricorrente della Space Oddity di David Bowie e tempestati di richiami al rosso fuoco.

Giunti alla fine di un percorso così eterogeneo, a salvare tutto, anche lo spettacolo stesso, non resta che la poesia che in chiusura Tea ci regala. Vero fuoco che l’eroina dona agli uomini a fronte di una modernità che richiede ancora il suo intervento per evitare che la paura, una “terra antica”, possa provocare l’involuzione del genere umano. Se anche la notte è indomabile, fatta di pensieri che si arrovellano e che pascolano come pecore nel gregge, basta “armare” un verso per riportare la luce. Croce e delizia della drammaturgia moderna, il mito può fornire mille modi di leggere una realtà multiforme scomponendola come un raggio di luce che si fa iridescente attraverso un prisma. Pur restando lontani da rigurgiti di purismo, resta però fondamentale lasciare ben distinti i vari colori senza farsi sopraffare dalla tentazione di rimescolarli a piacimento. Al termine di questo Da Prometeo crediamo che la prova registica e attoriale nel complesso sia meritevole ma che l’aggiunta della sola preposizione “da” non basti per salvare in toto l’operazione drammaturgica in cui il mito perlopiù si insabbia e si perde, sbriciola i suoi codici in una modernità a tratti fin troppo pop. Gli indizi si perdono, i conti, frequentemente, non tornano: c’è una ybris prometeica nel progetto, forse, che fatica a incarnarsi, un filo che gli spettatori frequentemente perdono, uno specchio in frantumi come le catene che Eracle alla fine, nel mito, spezzerà, e che qui le più volte non riusciamo ad inquadrare.

Info:
DA PROMETEO Indomabile è la notte
di e con Oscar De Summa
e con Marina Occhionero, Luca Carbone, Rebecca Rossetti
regia Oscar De Summa
scene Francesco Fassone
luci Matteo Gozzi
assistente alla regia Tommaso Massimo Rotella
produzione Teatro Metastasio di Prato, Arca Azzurra produzioni, La Corte Ospitale
con il sostegno di Fondazione Luzzati Teatro della Tosse
foto Manuela PellegriniTeatro Fabbricone, Prato
27 febbraio 2020
PRIMA ASSOLUTA

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