CIRANO DEVE MORIRE @Teatro di Rifredi: dialogo critico freestyle 

Andare a teatro è un’esperienza sempre nuova e sfidante, anche quando un’opera la si è vista tante volte. E questo non solo perché ogni allestimento, ogni replica costituiscono un mondo a sé, ma anche perché siamo noi per primi a cambiare momento dopo momento. Si viene a creare così una sinergia irripetibile tra spettatore e scena che muove reazioni, sentimenti e riflessioni diversi in ciascuno di noi. CIRANO DEVE MORIRE in scena al Teatro di Rifredi fino al 26 marzo, con Paola Giannini, Michele Eburnea, Giusto Cucchiarini e la regia di Lorenzo Manzan, ha suscitato reazioni opposte in due redattrici di Gufetto, Francesca Valente e Sandra Balsimelli, che provano in questo dialogo critico freestyle ad andare oltre quello che è un giudizio di pancia, cercando di sondare che cosa nello spettacolo risuona al di là della percezione individuale. CIRANO DEVE MORIRE con la sua provocatoria e dissacrante polemica contro il teatro contemporaneo ci chiama a questo: vivere il disagio suscitato dalla sua patina volutamente aggressiva, ma anche cogliere l’entusiasmo per un’attualizzazione estrema di un testo classico.

CIRANO: Dispiacere mi piace, dell’odio mi diletto!

CIRANO DEVE MORIRE: la scena iniziale
CIRANO DEVE MORIRE: la scena iniziale

Francesca Valente: già dal nostro ingresso troviamo in scena i protagonisti maschili in costume seicentesco e con un naso posticcio; i due, a luci accese in sala, iniziano a  scambiarsi meccanicamente colpi di fioretto, come se fossero marionette o parti di un metronomo difettoso; finché non interviene Rossana, che in una macchiettistica scena li uccide a bastonate. Lei stessa racconta poi brevemente la vicenda e dice di volerla vivere un’ultima volta, mettendo in scena i ricordi di una storia ancora dolorosa. Il titolo CIRANO DEVE MORIRE, leggiamo nelle note di regia, è una dichiarazione di intenti: dopo quest’ultima rappresentazione, Cirano sarà definitivamente morto. Il personaggio ma anche l’opera stessa. È questa la chiave di lettura dello spettacolo: nel rimettere in scena i suoi ricordi, Rossana li rivive facendo emergere tutta la gamma di sentimenti che ha provato nei confronti degli uomini che l’hanno ingannata. Innanzitutto la rabbia, che connota tutta la prima parte dello spettacolo, una lunga (infinita!) freestyle battle tra Cirano e il pubblico (per lo più giovane ed evidentemente divertito), in cui emerge una violenta polemica contro tutti: il mondo del teatro; il pubblico, che cerca verità facili; la critica. Rossana, vera regista dello spettacolo, Cirano troppo polemico e il bello ma stupido Cristiano, si muovono tra palco e sala a ritmo di rap e a suon di turpiloquio e battute sessiste di dubbio gusto… omaggio al linguaggio trap? I più giovani in sala assicurano che nelle battaglie freestyle l’offesa è fondamentale, ma forse il tono è un po’ calcato. La violenza verbale scorretta e misogina urta profondamente, crea un senso di disagio profondo e i movimenti dei personaggi tra il pubblico sembrano minacciosi. Nasce anche il dubbio che in fin dei conti quella del rap sia una scelta sorniona, che strizza l’occhio al mondo dei giovani senza mai agganciarlo veramente.

Sandra Balsimelli: Sì, però, a cosa sta davvero strizzando l’occhio il regista e la sua caricaturale attualizzazione di un mito fatto a brani? Anche il Cyrano di Rostand rovescia disprezzo e aggressive zampate preventive a chi (non sia mai!) osasse giudicarne il valore, affermando proditoriamente: “Sì, questo è il mio difetto! Dispiacere mi piace, dell’odio mi diletto! Se tu sapessi come s’incede più gagliardi sotto il fuoco di fila dei malevoli sguardi”. E infatti, guarda un po’, c’è sempre un pubblico plaudente e intimorito che ne accompagna le sbruffonate: per essere qualcuno a cui non piace piacere, Cirano con il suo finto naso appare una ben sottile maschera, rap o non rap, dell’egoico bisogno di attenzione, nella cui trappola sembrano catturarci gli eroi maledetti di tutti i tempi, primi in classifica nonostante l’inclinazione misantropa. E quale miglior modo di smascherare la finzione degli haters piacioni che quello di ingaggiare una sfida col pubblico indotto ad un paradossale scroscio di applausi da una greve litania di reciproci insulti? Quanto al sessismo delle provocazioni scambiate in sala, anche in questo caso, trovo funzionale il dissacrante riflettere sugli stereotipi di genere che caratterizzano la storia di Cirano, anche quella classica, zuccherosa e, sì! lo ammetto dannatamente commovente e romantica. Ne emerge definitivamente svelata l’ipocrisia annidata nelle relazioni ancora popolate da  bulli e pupe, nerd e bruttine con gli occhiali. Il ripetersi reiterato di allusioni falliche al naso dell’eroe guascone mi suggerisce un arguto riferimento al paradigma della mascolinità in profonda trasformazione nel nostro tempo.

Un apostrofo rosa tra le parole TI AMO

CIRANO DEVE MORIRE: Rossana tra Cristiano e Cirano
CIRANO DEVE MORIRE: Rossana tra Cristiano e Cirano

FV: Paradigma della mascolinità fissato nel passato, direi, e confermato dal patto che stringono i due protagonisti e che porta alla definitiva umiliazione di Rossana: in una scena pesantissima, dopo che Cirano e Cristiano si accordano per ingannarla, dall’alto della struttura metallica che occupa la scena, i due pisciano in testa alla giovane donna, o meglio lo simulano (per fortuna!) usando due bottiglie. E poi di nuovo umiliazione e dolore nella iconica scena del balcone, risolta in un monologo dalla sola Rossana, che recita tutte le battute (io-lui-l’altro), come se la rivivesse nella sua testa. Le meravigliose e romantiche parole del Cyrano di Rostand diventano pietre scagliate per accusare, per smascherare l’inganno, per abbattere ciò che di poetico esiste nell’originale: le parole sono menzogne e vengono dunque urlate, svuotate di ogni valore romantico. Anche in questi momenti, che concettualmente si inseriscono in un discorso coerente, la mano appare troppo calcata, i toni eccessivi.

SB: Eppure graffia con provocatoria saggezza il parossismo di queste scene urticanti, anche per il loro sovrapporsi al cliché collettivamente interiorizzato di una poetica scena d’amore al balcone (Che cos’è un bacio un apostrofo rosa tra le parole TI AMO?). Rossana, unica sopravvissuta a questa storia di menzogne, rivive tutto per comprendere l’inganno che le ha sottratto la possibilità di un amore reale, consacrandola, (per orgoglio?, illusione? o masochistico autocompiacimento di affascinante lutto autoimposto?) ad un cimitero di fantasmi idealizzati e fasulli. E la rabbia con cui distrugge il cielo di carta delle sue illusioni è un rito necessario che conduce, forse, ad un’assunzione collettiva di responsabilità: tutti hanno tessuto l’inganno, (anche lei ne ha sorretto la trama), per non correre il rischio di essere visti e amati per se stessi, abisso spaventoso dell’anima che nemmeno il più temerario degli spadaccini, Cirano, ha saputo affrontare.

CIRANO: Vorrei tornare e dirti, Ricominciamo

CIRANO DEVE MORIRE: La verità al di là delle maschere
CIRANO DEVE MORIRE: La verità al di là delle maschere

FV: Poi finalmente il ritmo si allenta per lasciare spazio a un lungo finale dolente e quasi elegiaco, in cui i due protagonisti maschili salutano la donna distrutta dichiarando, per la prima volta in un modo che sembra sincero, il loro amore per lei, Cristiano prima di morire e Cirano dopo la sua morte, guardandola dalla luna e dicendole che vorrebbe ricominciare tutto da capo. È a questo punto che Cirano muore davvero: Rossana gli rimette il cappello seicentesco e il naso, lo maschera dopo averlo smascherato e lo lascia finalmente andare. Quando i toni si stemperano, emerge l’attesa verità dei personaggi oltre la menzogna: la rabbia e l’umiliazione lasciano spazio al rimpianto, alla nostalgia, al finale superamento. E forse a questo punto il quadro è chiaro: ciascuno di noi, davanti a un amore non vissuto, deve affrontare un duro percorso, che passa attraverso lo scherno, la rabbia violenta, l’umiliazione, il dolore. Chi ci ha deluso diventa un mostro orribile nel ricordo, i tratti negativi del suo carattere diventano parossistici. Solo attraversando la memoria straziante degli inganni subiti, finalmente si può recuperare l’umanità propria e altrui, riuscendo infine a lasciare andare chi abbiamo amato di un amore inconcluso e i sogni di una vita non vissuta. Forse è rivivere questo percorso che smuove dentro di noi (ha smosso dentro di me) tanti sentimenti negativi, stretti in un nodo allo stomaco che fatica a sciogliersi alla fine della catarsi teatrale.

SB: E forse ciò che brucia è proprio la smitizzazione del passato, il suo travestimento eroico con cui eludere il rischio di osare essere felici, anche imperfetti, con o senza naso. Cirano dall’aldilà con voce vera e vibrante dal cuore, non più scandita dai suoi versi arrabbiati e di facciata, confessa a Rossana “vorrei tornare e dirti Ricominciamo”. Ma per farlo si deve lasciare sulla carta gli eroi posticci, i vestiti con le crinoline, i buffi pennacchi e anche quel naso tanto amato da ogni attore che abbia avuto l’onore e il brivido di indossarlo e mostrarsi a volto nudo all’altro, magari arrossendo per il tremore.

Due voci per CIRANO DEVE MORIRE

Ecco la nostra lettura articolata di CIRANO DEVE MORIRE: uno spettacolo brillante, disturbante, controverso, chiassoso e toccante, contraddittorio come le atmosfere fumose e metalliche da DJset di periferia, in cui si trapianta questa storia immortale, che è riuscita a toccarci, a farci discutere, a sollevare dubbi, fastidi e riflessioni come, forse, solo il teatro contemporaneo sa fare, anche al prezzo di qualche velatura narcisista che il regista Leonardo Manzan riconosce autoironico in se stesso. “Dispiacere mi piace, dell’odio mi diletto”.

CIRANO DEVE MORIRE di Leonardo Manzan – trailer

Visto il 23 marzo 23 al Teatro di Rifredi, Firenze

CIRANO DEVE MORIRE

liberamente ispirato a Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand
regia Leonardo Manzan
con Paola Giannini, Michele Eburnea, Giusto Cucchiarini
musiche Alessandro Levrero, Franco Visioli
eseguite dal vivo da Filippo Lilli
drammaturgia Leonardo Manzan, Rocco Placidi
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
luci Simone De Angelis
adattamento Paride Donatelli
progetto sonoro Franco Visioli
produzione de La Biennale di Venezia nell’ambito del progetto Biennale College Teatro – Registi Under 30 con la direzione artistica di Antonio Latella
produzione nuovo allestimento 2022 La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Elledieffe, Teatro della Toscana

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