BAZIN @Teatro della Pergola: dialogo tra teatro e cinema

Giancarlo Sepe porta al ridotto del Teatro della Pergola, sala Paolo Poli, a Firenze la sua ultima produzione, con cui festeggia cinquant’anni di attività dello storico Teatro La Comunità di Roma: BAZIN, omaggio a André Bazin, critico e teorico del cinema francese, creatore dei Cahiers du cinemà e della Nouvelle Vague. Lo spettacolo, che celebra la passione di Sepe per la settima arte, procede tra critica cinematografica e fantasia visionaria, di citazione in citazione da Truffaut e Renoir, da Lumière a Méliès, tra parole che furono, attimi che segnarono la storia della pellicola e incisi che fecero la differenza.

A cura di Martina Capacciolo (redazione Gufetto Bologna) e Alice Capozza

BAZIN: un sogno cinematografico

BAZIN, il cast

Giancarlo Sepe immagina l’ultimo minuto di vita di Bazin, Pino Tuffilaro, tra le braccia della moglie, un istante che sembra trattenere il tempo in una dimensione onirica, come in un film, lo puoi riavvolgere e mandare avanti a piacimento. D’altronde “la morte è un gioco” nel cinema e nella vita la vittoria del tempo. I sessanta minuti (o sessanta secondi) che seguono sono una girandola di immagini, ricordi, sogni, fantasie, passioni, ossessioni che scorrono e si intrecciano, in modo illogico e grottesco, con musica, canto, parole (poche e spesso in francese) e corpi in movimento; sullo sfondo uno schermo cinematografico in cui invece che immagini proiettate entrano i corpi degli attori, in un gioco di scambi tra cinema e teatro. Uno spettacolo curatissimo in ogni movimento in scena, poetico nella prossemica dei corpi, armonioso nei canti a cappella, colto nelle continue citazioni mutuate dal cinema francese, mutevole nei continui cambi d’atmosfera e di costumi della affiatata compagnia di attori.

RECAP! 3,2,1… si sopravvive?

BAZIN, una scena

Con una confidenza inizia il racconto del critico francese “questi sono gli ultimi momenti della mia vita”. BAZIN, vittima della leucemia morirà nel 1958 a soli 40 anni. Forsennata, gridata, nevrotica, angosciata, esteriorizzata e scossa è la narrazione del nostro primo attore Pino Tuffilaro, nel ruolo di André, con una recitazione sopra le righe; allo stremo delle energie di un uomo, allo stremo del serenamente digeribile da parte dello spettatore. Gambe che cercano il soffitto per poter respirare, così si presenta ai nostri occhi Bazin: debole e cagionevole nel petto crolla a terra (letteralmente a pavimento) nell’abbandono delle speranze nei confronti del cinema a lui contemporaneo e nauseabondo. Una forte sofferenza è quella che lo accompagna nelle montagne russe tra la verticalità e l’orizzontalità del suo corpo, parallelo del suo intimo. Cadute continue e continui allarmi negli occhi dei suoi affetti, quelle maschere del cinema che lo hanno accompagnato in vita, gli attori dipinti in volto – bianchi come i personaggi di Amletò, gravi incomprensioni alla Gare du Nord (altra intrigante regia di Sepe a cui Gufetto dedicò una intervista nel 2016) – e che in punto di morte gli si parano attorno per non farlo andare via: “non ancora, non questa volta”. Si respira aria di dicembre in scena, ghiaccio tra gli sguardi degli attori e ghiaccio nel dialogo tra l’accalorato Pino Tuffilaro e il pubblico. Nel mancarci di note basse (che certo ci avrebbero fatto abbracciare con più partecipazione la sofferenza dell’uomo) Bazin riesce comunque a tradire per un momento il freddo rapporto che inizialmente stabilisce con lo spettatore: scioglie le timidezze una accalorata telefonata a Francois (l’amato regista e suo allievo prediletto Truffaut, alla viglia delle riprese del film I 400 colpi su cui hanno lavorato assieme, ma di cui Bazin non vedrà la luce). Andrè confida il sogno di un cinema che avrebbe potuto evolvere fino alla perfezione nel folle desiderio di metterlo in mano ad un bambino. Una dolce opportunità per lasciarci investire dalla tenerezza che piega l’uomo di fronte allo spettacolare evento che è la vita e l’arte: “il cinema ci salverà”.

1,2,3… ciak, si gira!

BAZIN, La Régle de Jue

Sullo sfondo lo schermo, è il decimo attore in scena, amico e compagno del nostro protagonista, quadrato luminoso, più volte richiamato a gran voce da Bazin, con l’urgenza di enunciare come e perché sia così importante questo mestiere. Il potere del cinema è la forza verso la quale devolve il suo operato e con potenza ecco che nascono sulla scena quadri, figli del genio del critico: il coro di attori, si adopera a dar vita ad immagini e sequenze di sceneggiature del cinema, alla base della nascita della Nouvelle Vague, come L’Angelo del Male (La bête humaine) capolavoro di Jean Renoir. Fino alla riproduzione dell’intero intreccio de La Régle du Jeu di Renoir, con cui la ricerca della profondità dell’immagine corrisponde ad una sostanziale assenza di montaggio e una scrittura filmica che era quella teorizzata e amata da Bazin, tanto da rendere fruibile teatralmente il succedersi delle scene del film in una sola striscia di luce al centro scena, condensato negli sguardi, nelle posture e nelle parole degli attori, che interpretano il pilota André, la sua amante Christine e gli altri protagonisti. Rievocata anche una delle scene più interessanti del film, la battuta di caccia, resa da Sepe in BAZIN con un’inquietante marcia armata degli attori contro gli spettatori, a cui sparano come nel film alla cacciagione della prateria – Renoir firma La Regola del Gioco nel 1939, anno terribile, in cui incombe la guerra.

Gli attori di BAZIN: unità a sostegno della scena

È sensibilmente percepibile il lavoro di ensemble degli otto attori (molti sono oramai storici di Sepe) con diversi ruoli Giuseppe Arezzi, Marco Celli, Margherita Di Rauso, David Gallarello, Claudia Gambino, Francesca Patucchi, Federica Stefanelli, Guido Targetti, e Pino Tufillaro in André Bazin. La compagnia si spalleggia nel sostenere un compagno più grande e vecchio: lo spettacolo. Coralità nella recitazione, nelle partiture fisiche, e nel canto del repertorio francese, assunto in diversi momenti della pièce. Non è indifferente la spiccata sincerità, tanto ricercata anche da Andrè Bazin stesso, intellettuale dal carattere spigoloso per cui fu poco amato dai contemporanei. Nell’alternarsi, spesso difficile da seguire, delle citazioni cinematografiche, gli attori compongono e scompongono quadri in movimento come in un vecchio film muto in bianco e nero, suggestione confermata nel finale dai cartelli di lavagna con scritte bianche: uomini con donne, donne con donne e uomini soli che ballano, parlano, giocano alla visione del cinema a teatro in un dialogo sempre aperto tra le passioni del regista Sepe. Belli i costumi di Lucia Mariani che disegnano gli attori perfettamente organici con il periodo di rappresentazione; oggetti scenici precisi nei messaggi da portare; preciso il disegno delle luci di Roberto Bonfantini che si assume una responsabilità di spessore, diventando a momenti la vera ed unica scenografia di intere scene; preponderante il ruolo delle musiche, a cominciare da quella d’apertura di Trenet, di Davide Mastrogiovanni a confermare l’armonia dell’ensamble.

BAZIN, Pino Tuffilaro

BAZIN: Giancarlo Sepe stravolge i classici

Come per Amletò o The Dubliners – spettacolo riallestito al Teatro della Pergola con la compagnia de I Nuovi nel 2021 – Giancarlo Sepe stravolge in chiave surreale delle pietre miliari della classicità, stavolta è il cinema francese degli anni trenta e quaranta ad essere oggetto della sua inusuale visione sapiente e colta. Forte è il potere registico di un maestro, Giancarlo Sepe, responsabile di potenti immagini evocative e quadri che troppo velocemente scivolano verso la loro fine o verso il nevrotico rinnovo dell’ambiente scenico. Gli attori corrono come a dover aprire le finestre per far circolare l’aria senza respirarne quasi mai il suo buon odore. Ingranaggi che si incastrano con precisione grazie al sapiente lavoro del terzo occhio, accortezze che delucidano al pubblico la cura di una macinata esperienza registica.

«Siamo sicuri che quel che vediamo sia la realtà?» A. Bazin

Visto il 25 ottobre 2022, Teatro della Pergola, Firenze.

BAZIN

uno spettacolo di Giancarlo Sepe
con Giuseppe Arezzi, Marco Celli, Margherita Di Rauso, David Gallarello, Claudia Gambino, Francesca Patucchi, Federica Stefanelli, Guido Targetti e con Pino Tufillaro
scene Alessandro Ciccone
costumi Lucia Mariani
disegno luci Roberto Bonfantini
musiche Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team
di e per la regia di Giancarlo Sepe
produzione Teatro La Comunità coproduzione Teatro della Toscana in collaborazione con Diana OR.I.S
Le foto dello spettacolo sono di Manuela Giusto

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