Nuova produzione in prima assoluta per il Metastasio di Prato: ALLE ARMI di Hombre Collettivo per la regia di Riccardo Reina ha calcato la scena del Teatro Fabbricone per una rappresentazione che si dispone tra il serio ed il faceto, tra il gioco e la guerra in un paese dove il fatturato delle armi comuni equivale a quello dei giocattoli. Un presupposto che ha consentito al collettivo parmense di riflettere e di divertirsi in uno spettacolo dove ogni suggestione è affidata esclusivamente alla mimica, ai contributi audio-visivi e ai giocattoli di scena, veri protagonisti capaci di interagire con gli artisti creando un’intesa col pubblico grazie al meccanismo dei ricordi evocati. Un carnevale poetico che col sorriso sa disegnare le ipocrisie e la paradossale naturalezza del rapporto uomo-armi sin dalla notte dei tempi.
ALLA ARMI: introduzione al teatro di figura di Hombre Collettivo

Arma da armus ovvero òmero. In sostanza un prolungamento del braccio. Sarebbe sufficiente l’etimologia per comprendere lo stretto rapporto tra l’uomo e le armi, nato per necessità di sopravvivenza e divenuto nel tempo strumento d’offesa, feticcio per barricare il proprio onore dietro lo scudo della spavalderia. “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”: così Salvatore Quasimodo avrebbe sintetizzato con la potenza indiscussa della poesia la premessa della messa in scena di Hombre Collettivo in cui la naturalezza di questo rapporto millenario viene declinata in tutti i suoi molteplici aspetti attraverso l’altra innata predisposizione che l’uomo ha per il gioco. Il risultato è una parata dal sapore carnascialesco costruita in diretta attraverso suoni, luci, contributi multimediali e gli agili passaggi degli artisti all’interno dell’affollato spazio scenico, sufficientemente camaleontico da apparire tanto fluido quanto strutturato. Un teatro di figura che si evolve così come le reazioni del pubblico, inizialmente sospettoso ma condotto gradualmente ad una confidenzialità tale da renderlo indifeso, pronto ad accogliere la gravità del messaggio senza grevità.
La fluidità della scenografia in ALLE ARMI
Sul ledwall scorre la scritta “”aperti 24/24 7/7” in più lingue mentre a ritmo di musica gli attori sembrano divertirsi con le scaffalature a ruote, spostandole, affiancandole, posizionandole a modulare lo spazio scenico secondo le loro esigenze. Una costante per l’intera durata dello spettacolo insieme alla postazione del fonico/regista in diretta, sulla sinistra, pronta all’occorrenza a diventare anche banco per gli oggetti di scena. La fluidità degli artisti sul palco è estremamente dinamica, nonostante la geometria degli elementi esprima solidità e rigidezza, e si interrompe solo per interagire con i veri protagonisti, i giocattoli di cui sono affollati gli scaffali. Il pubblico è così proiettato in una scenografia dedalica multidimensionale in cui i contributi audio si intrecciano ai video che, registrati o acquisiti in diretta, attraggono e stupiscono, nell’attesa iniziale di una parola, un sussulto, una voce che non arriveranno mai. Gli attori sono e resteranno corpi in perenne movimento accompagnato da un’efficace mimica con un continuo interscambio con il fonico/regista pronto in ogni momento a rendersi anch’egli elemento di una geometria in continua evoluzione.
ALLA ARMI: il rapporto uomo-armi e la successione dei quadri di scena
La successione di quadri per i quali ogni volta gli attori costruiscono la cornice si apre con il celeberrimo incipit di 2001 Odissea nello spazio proiettato sul monitor in alto al centro, sospeso nel vuoto. Si ribadisce con forza l’innato rapporto tra l’uomo e l’arma, di cui lui stesso è inventore nella notte dei tempi, un filo rosso che non è mai stato reciso e che unisce milioni di generazioni sin dalla prima infanzia. Chi infatti non ha, almeno una volta, giocato alla lotta o magari usato una pistola ad acqua nelle afose sere d’estate con gli amici? Quadro dopo quadro, capitolo dopo capitolo Hombre collettivo racconta con grave leggerezza l’evoluzione di un rapporto millenario, dalla preistoria fino ai giorni nostri, quando ormai la guerra è indiscutibile motore tecnologico e finanziario. Insieme alle scaffalature con cui gli attori danzano, restano protagonisti indiscussi gli inconfondibili cubotti colorati pronti ad essere incastrati e disincastrati all’occorrenza dalle mani degli attori per evocare ed interagire con la tecnologia di scena. Perché in fondo vittima e carnefice è sempre l’uomo, burattinaio e burattino capace di autodistruggersi mentre in uno dei quadri da noi più apprezzati, i potenti della terra, vanitosi come fotomodelli sulla passerella dei media, si divertono, a tempo di musica e dollari, ad arricchire i loro armamenti come fossero al supermercato con carrello alla mano.
Dopo la vanità del potere, il deserto

Qualsiasi velleità di potere e controllo è comunque destinata all’oblio eterno, alla rovina inesorabile. “My name is Ozymandias, king of kings:/ Look on my works, ye Mighty, and despair!”. Affidandosi ancora alla potenza della poesia, il viandante di P. B. Shelley in uno sconfinato deserto di fronte alle vestigia ruinose del passato, legge nell’iscrizione quale tristo destino è stato riservato al potere, sopraffatto dalla sabbia. Ed eccola la sabbia in scena a ricordarci che “Pulvis es et in pulverem reverteris”: dalla distruzione e riduzione in polvere di documenti a ritmo de La gazza ladra fino alla cascata finale dall’alto, la sabbia andrà ad arricchire quel deserto in miniatura che su una piattaforma anch’essa mobile è popolato da soldatini, modellini di carrarmato e armi miniaturizzate. Uno scenario che grazie alle riprese ravvicinate da cellulare proiettate in diretta potrebbe provenire dall’Iraq o dallo Yemen con un effetto matrioska che strizza l’occhio alla geometria dei frattali. Il fatto che la rappresentazione avvenga in piccolo, come se fossero dei bambini a giocare alla guerra sulla spiaggia, non ci spaventa dalla nostra prospettiva ma attraverso il monitor realizziamo che da vicino ogni cosa riprende la propria dimensione e le proporzioni vengono ripristinate come la crudeltà della violenza.
Musica e tecnologia, ingredienti di ALLE ARMI
Passando per l’11 settembre e per la guerra in Vietnam, gli attori di Hombre Collettivo ci conducono a braccetto attraverso un percorso dedalico come quello che si trovano loro a percorrere attraverso le scaffalature in scena con ritmi diversi in base al contesto sonoro in cui sono e siamo inseriti. Dal valzer Sul bel Danubio Blu alla Sexbomb di Tom Jones fino ai brani originali, i contributi musicali sono elemento fondamentale per dare ritmo e vitalità alla rappresentazione, con non poche difficoltà per il fonico/attore (Riccardo Reina) che ha saputo ben districarsi nella regia tranne piccoli trascurabili inghippi. Gli attori(Angela Forti, Agata Garbuio, Riccardo Reina, Aron Tewelde), senza particolari differenze, si sono coordinati con perizia senza perdite rilevanti in termini di scambi e di interazione tra di loro e con gli oggetti di scena, inclusi i più automatici e tecnologici, dal nastro trasportatore per produrre armi in miniatura oppure per raccogliere i documenti compromettenti da distruggere fino ai mezzi telecomandati, drone in primis. Come le armi primitive sono etimologicamente nate come prolungamento del braccio così l’uomo ha saputo mantenere una certa confidenzialità con le armi moderne, arrivando a danzare un valzer accompagnandosi al drone sospeso al centro della scena.
ALLE ARMI: un efficace cambio di prospettiva
ALLE ARMI ha il pregio di non scadere nella “banalità” della violenza e nel naturale bisogno di pace ma offre un letterale cambio di prospettiva su un tema pluriennale dibattuto a vari livelli. A noi è lasciato il giudizio su ciò che il mercato delle armi comporta mentre è degli attori il compito di chiudere la pièce con maschere antigas e una bandiera lacerata laddove ricompare quel simbolo che a più riprese si è preso la scena. Il tradizionale segnale di attenzione per radioattività giallo e nero si sdoppia, si completa riempiendo gli spazi vuoti e divenendo un simbolo compiutamente circolare ed oculare, come un Grande Fratello che al termine ci osserva: tra la minaccia e il giudizio dobbiamo sentirci responsabili e non crediamo di sfuggire allo sguardo discreto ma inquisitorio della Storia come a quello degli artisti. Con le stesse miniature usate durante lo spettacolo ci rappresentano infatti in chiusura in una fedele riproduzione della sala teatrale dove siamo comodamente seduti, ancora forse un po’ inconsapevoli ma sicuramente convinti di aver assistito ad una drammaturgia di figura e di azione costruita con maestria, precisione e freschezza.
Visto al Teatro Fabbricone (Prato) il 22 marzo 2023
ALLE ARMI
di Hombre Collettivo
regia Riccardo Reina
con Angela Forti, Agata Garbuio, Riccardo Reina, Aron Tewelde
disegno luci Gianni Staropoli
scene, oggetti e costumi Hombre Collettivo
produzione Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione con Associazione Culturale Malerba
si ringrazia Leonardo Delfanti per il contributo alla ricerca
PRIMA ASSOLUTA