Perché andare solo Oltralpe a cercare testi teatrali quando in Italia ci sono autori e attori che sanno dare vita a piccoli gioielli elegantemente sfaccettati e ricchi di sfumature come la ‘pièce’ FINCHÉ GIUDICE NON CI SEPARI in scena fino al 27 novembre 2016 a Milano presso il Teatro San Babila che ha trovato un buon ritmo grazie a scelte ponderate ed equilibrate?
Andare a teatro per dimenticare i propri guai e trovare quelli altrui declinati con stile elegante, simpatico, vivace, arguto, frizzante e variopinto aiuta ad assumere un tono scanzonato e divertito verso i propri e a constatare come realtà paradossali e contraddittorie s’intersechino e s’aggroviglino nel quotidiano di tutti.
Cosa c’è di più attuale delle separazioni che si moltiplicano in modo esponenziale complici un distorto modo di considerare la libertà, una diminuita attitudine ad approfondire e ponderare i problemi, un’ignoranza direttamente proporzionale al dilagare di titoli di studio vuoti e conseguiti senza fatica… e che ne è delle tessere di mosaici spezzati e scomposti sopravvissute a drammi che lasciano segni o meglio ferite nei cuori e nella psiche non solo dei figli, laddove ci siano, ma anche nei protagonisti di tali strappi? Perché non essere prudenti prima di ‘cucire’ per poi trascinare sconsolati la propria solitudine in modo spesso superficiale e vuoto?
È quello che sperimenta una combriccola di quattro amici che condividono tale triste destino e si trovano a dovere arginare le reazioni esasperate dell’ultimo di loro cui è toccata siffatta sorte che lo ha trasformato da tranquillo intellettuale a depresso e disperato avanzo di umanità desideroso di privarsi di una vita misera come quella in cui l’ha ridotto anche economicamente la sentenza di un giudice donna. Inevitabile, quindi, una visione al maschile dei problemi il cui capro espiatorio diventa l’ignobile essere femminile che nelle varie sfumature e accezioni rappresenta il male, pur se agognato.
In un fatiscente ‘buco’ di 35 mq a livello scantinato, nuova ‘dimora’ dell’ultimo divorziato, si dipana la sua accorata disperazione mentre i cari amici si affannano a consolarlo disvelando il proprio vissuto – ciascuno attraverso caratteri, temperamenti e personalità singolari, specchio della varietà umana – e montando con titubanze i pezzi di una libreria Ikea, unico mobilio in mezzo a una scatola-armadio, mucchi di libri e un disordine angosciato, emblema dello stato d’animo di Massimo, interpretato egregiamente da Augusto Fornari, anche coautore e regista di questo arguto lavoro teatrale che contiene molte problematiche in un testo dinamico ed esuberante senza eccedere mai nei toni e nella misura, anche quando si scatenano incomprensioni e litigi, e senza perdere mai il ritmo.
Non sono da meno le interpretazioni di Luca Angeletti nelle vesti di Paolo, il più equilibrato e meno astioso nei confronti dell’ex moglie, Toni Fornari in Roberto, un separato in casa e impenitente gaffeur incapace di frenare la propria lingua che ha l’arte di dire ciò che ciascuno pensa sia giusto, ma non ‘deve’ dire per salvare i rapporti con gli altri e Nicolas Vaporidis – con tale nome amante ovviamente dell’ottima cucina greca – nei panni di Mauro superficiale nelle reazioni da tombeur de femmes, ma non esente da disagi psicologici esattamente come gli altri.
Un gruppo coeso e ben diretto che dà il giusto valore a un buon testo che si conclude con l’apparire di una vicina di casa, l’altrettanto valida Laura Ruocco nei panni di Sylvie, un vulcano di sorprese.
Una pièce da non perdere!