FERDINANDO DI ANNIBALE RUCCELLO: CARNE DI UN SUD ANCORA VIVO @ Teatro San Ferdinando

Un tripudio di applausi per Ferdinando di Annibale Ruccello, nella regia di Nadia Baldi con Gea Martire e Chiara Baffi, carnalissime interpreti.

 

Ci vuole coraggio a mettere le mani su un classico contemporaneo come Ferdinando, capolavoro indiscusso della cosiddetta nuova drammaturgia napoletana, quella del post-Eduardo. Ruccello è autore ormai riconosciuto come grandissimo drammaturgo non solo al Sud: dopo le fortunate tournées di Isa Danieli in tutta Italia, la sua opera è ormai a pieno diritto accettata come parte integrante del patrimonio letterario dell'intero paese.

Nadia Baldi ha il coraggio di riprendere quest'opera rischiosa, anche perchè scritta in una lingua originalissima: un napoletano crudo, antico, a tratti reinventato da Ruccello negli anni '80 dello scorso secolo. Il rischio è innanzi tutto quello di appiattire questa lingua meravigliosa con una dizione-interpretazione che non sia all'altezza dei cromatismi infiniti del testo, ma la regista scongiura il pericolo scegliendo due attrici come Gea Martire e Chiara Baffi che combinano la loro esperienza nell'ambito del teatro sia in lingua napoletana che italiana, con una grandissima sensibilità scenica e una notevole capacità di penetrazione dei personaggi. Ma il rischio è anche quello di non essere, con la regia, all'altezza della carnalità di questa lingua, di questa trama, di questi personaggi. Ma nche questo rischio è scongiurato nella traduzione scenica della Baldi, che semmai accentua e valorizza questi aspetti, puntando sull'essere femmine (donne, ma anche animali femmine) delle sue due attrici, sulla loro sanguigneità, che si traduce in un'eccezionale e pervasiva fisicità dell'azione e della dizione. E' una regia estremamente femminile quella della Baldi, capace di trasmettere al pubblico la sensazione di struggimento amoroso e ferimento carnale che forse solo le donne possono cogliere ed esprimere in pieno.

Tratto caratteristico e originale di questa regia è poi la scelta di un attore siciliano per il personaggio di Don Catellino. Scelta interessante, capace di mettere ancor più in risalto un aspetto centrale del testo: il suo essere una grande allegoria della Storia d'Italia. Mentre la versione ufficiale della Storia ci presenta l'unità d'Italia come un momento positivo dell'evoluzione di un popolo, Ruccello assume un atteggiameto decisamente, violentemente meridionalistico, facendo apparire la fondazione della nazione come un sopruso, una violenza. Infatti, il personaggio di Clotilde si scaglia con tutta se stessa contro "sta lengua 'e 'nvasore, straniera"; la sua malattia è giustificata dal testo come un volontario rinchiudersi nel proprio microcosmo e rifiutare gli eventi della Storia; il libro che sua cugina Gesualda le legge recita "vale chù na parola Napoletana chiantuta ca tutte li vocabole de la Crusca"; ancora, il nome dell'adorato nipote è proprio quello di Ferdinando, come il re borbone e, dulcis in fundo, quando il ragazzo si rivela un impostore sul finale, ecco il suo vero nome: "Filiberto, Vittorio Emanuele Filiberto… unico erede d' 'o studio Trinchera… 'a primma famiglia burbonica veramente fedele ai Savoia". Da questo punto di vista è lecito intendere l'intera vicenda di Ferdinando come una allegoria della storia dell'Italia Unita: l'impostura del ragazzo equivarrebbe quella dei Savoia che, come lui, ammantarono di salvificità la propria venuta al Sud, un Sud che venne invece massacrato e depredato esattamente come la vecchia casa di donna Clotilde. Se questa lettura della storia (dell'opera) è plausibile, è lecita anche la lettura della Storia (d'Italia) in questo senso? Moltissimi studi recenti – ad esempio quelli di Antonio Ciano e Pino Aprile – offrono argomenti in questa direzione.

Ora, se apparentemente la storia di Ferdinando sancisce il tramonto del vecchio Sud con la rovina dei suoi personaggi e dei loro valori, la scrittura di Ruccello ne sancisce paradossalmente la rinascita. Per lo stesso fatto di esprimere la sconfitta del Sud, di esprimerla in questo modo, se ne sancisce paradossalmente la vittoria. Ruccello reinventa la lingua napoletana nel ripescarne sapientemente, da antropologo e studioso delle tradizioni popolari, le sonorità radicali, i significati immaginifici, il sapore terroso. E questa lingua è ancora reinventata dallo spettacolo della Baldi, dove il misto di napoletano e siciliano ci fa ricordare che la lingua napoletana è la lingua di un regno che si chiamò "delle due Sicilie".

La terrosità di questa storia meridionale è meravigliosamente resa dall'interprete di donna Clotilde, Gea Martire, che soprattutto nel primo atto pervade letteralmente la scena con la sua corporeità: il costume per lei pensato da Carlo Poggioli la salda al letto in cui sprofonda ammalata, così la sua attorialità bestiale diventa un terremoto per l'intera scena, finanche per la platea, dove il pubblico ne è frastornato, come testimoniano continue risate in sala.

Il secondo atto, che vede più protagonista anche il bravo interprete di Ferdinando, il giovane Francesco Roccasecca, vede poi emergere in modo imponente l'attorialità di Chiara Baffi, che se riempie tutti i suoi silenzi di un'intensità rara per un'attrice sull'orlo della maturità, è anche capace di prorompere con le battute in vibrazioni emotive che lasciano la bocca aperta, gli occhi umidi, il sesso in disordine e il cuore in subbuglio.

Le scene di Luigi Ferrigno e le luci della stessa Nadia Baldi incorniciano questa generosa performance in atmosfere suggestive ed essenziali. La scelta di mimare molti oggetti, infine, pone l'accento sulla possibilità di identificare ancora di più Ruccello con la sostanza della sua drammaturgia e della sua lingua, la lingua palpitante del Sud.

 

FERDINANDO
di Annibale Ruccello
regia Nadia Baldi
con Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio, Francesco Roccasecca
scene Luigi Ferrigno
costumi Carlo Poggioli
musiche Marco Betta
progetto luci Nadia Baldi
aiuto regia Rossella Pugliese
assistente scenografo Fabio Marroncelli
assistente costumista Maria Carcuro
fotografia Davide Scognamiglio
realizzazione scena Alovisi Attrezzeria
produzione Teatro Segreto

 

Nadia Baldi firma la regia di Ferdinando, il testo forse più famoso di Annibale Ruccello, andato in scena per la prima volta il 28 febbraio 1986. L’opera ha vinto due premi IDI: uno nel 1985 come testo teatrale, il secondo nel 1986 come miglior messinscena.
Donna Clotilde, baronessa borbonica, si è rifugiata in una villa della zona vesuviana, scegliendo l’isolamento come segno di disprezzo per la nuova cultura piccolo borghese che si va affermando dopo l’unificazione d’Italia. È con lei una cugina povera, Gesualda, che svolge l’ambiguo ruolo di infermiera/carceriera. I giorni trascorrono uguali, tra pasticche, acque termali, farmaci vari e colloqui con il parroco del paese, Don Catellino, un prete coinvolto in intrallazzi politici. Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché non arriva Ferdinando, un giovane nipote di Donna Clotilde, dalla bellezza “morbosa e strisciante”. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella casa, a mettere a nudo contraddizioni, a disseppellire scomode verità e a spingere un intreccio apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado.

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