FARSI SILENZIO @ Chiostro di Villa Vogel. Il sacro ascolto dell'altro

Teatro Cantiere Florida di Firenze porta nel chiostro del Parco di Villa Vogel FARSI SILENZIO la performance di Marco Cacciola per la drammaturgia di Tindaro Granata, una nuova produzione di Elsinor Centro di Produzione teatrale in collaborazione con Armunia Festival Inequilibrio.

FARSI SILENZIO è stato uno degli appuntamenti nella Estate Fiorentina per valorizzare la periferia e luoghi meno battuti dell’affollato centro turistico della città: Marco Cacciola porta lo spettacolo nell’antico chiostro rinascimentale nel quartiere Isolotto, là dove non ti aspetti, circondato dal parco cittadino affollato di bambini.

L’attore e ideatore del progetto, in una scena vuota decorata solo dalle pareti di pietra grigia, guida con le parole della drammaturgia poetica di Tindaro Granata, un piccolo gruppo di spettatori, una improvvisata comunità riunita in semicerchio di sconosciuti muniti di cuffie, nel delicato racconto del suo pellegrinaggio artistico da Torino a Roma, attraverso la via Francigena, alla ricerca di ciò che è rimasto di sacro nelle vite nervose di tutti noi.

Tra i rumori del traffico, le televisioni accese, il tintinnare delle tazzine del caffè, il fruscio ritmico dei passi del viandante, esiste il Sacro? Cosa è Sacro? La domanda trova risposte frammentate negli incontri dell’attore milanese (d.o.c. ovvero di origine controversa), ateo, agnostico (o non sa bene come definirsi), con un microfono in mano a registrare gli umori delle persone per strada di fronte a questa difficile domanda: davanti al Duomo di Milano, in un bar di Torino, sulla panchina di un piccolo paese dell’entroterra padano. «Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male» (Salmo 23)

Ascoltiamo il silenzio, noi spettatori, stiamo e guardiamo. Assistiamo al sacro che si crea nelle nostre orecchie, isolate dalle cuffie, nel sussurro della voce vellutata e nervosa di Marco Cacciola, insieme a tanti altri suoni che da tappeto di rumori in sottofondo, come un disturbo sulla linea, si trasformano in musica. Notevole e di impatto lo studio accurato di Marco Mantovani, di sonorità e prolungati silenzi che accompagnano la narrazione: le cuffie ne amplificano sia i suoni che i momenti di silenzio lasciando allo spettatore la possibilità di metabolizzare e di ascoltare, come se fosse anch’egli sul cammino di Cacciola.

Sacro è qualcosa che esiste grazie alla “separazione dalla volgarità dell’esistenza”, gli svela nel primo incontro sul cammino con la variegata umanità, la voce ruvida del poeta Antonio Tarantino, autore di Quattro Atti Profani: un incontro tenero e mistico allo stesso tempo, una rivelazione che dà avvio al pellegrinaggio di Cacciola, nonostante avvenga in un affolato bar, tra cappuccini cinesi e bicchieri di bianco di mattina, con il mormorio sottostante dei programmi televisivi e lo schiamazzo delle ordinazioni alla barista. “Devi andare a dormire nelle stazioni” tra i miserabili, gli ultimi, i diseredati: là c’è il sacro, non nei templi o nei rintocchi delle campane delle chiese, nei fasti delle liturgie.

Il progetto nasce dall’esigenza di cercare ispirazione altrove, fuori dai luoghi di un teatro con più premi che spettatori per trovare qualcosa che sappia stupire, per scendere nella profondità dei rapporti umani, che siano sconosciuti viandanti o il padre, anziane contadine che parlano in dialetto o un libraio rasta che cita la Bibbia, o il bambino sulla panchina che ci ricorda con inconsapevole ingenuità Pasolini:“il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. Il tentativo, dichiarato e allo stesso tempo fallito è di uscire dalla religione del sospetto, della diffidenza dal prossimo, dall’altro sconosciuto e temibile, per accogliere il sacro che è in ogni dove.

Camminare unisce le persone: l’uomo è nomade, che ne dicano i venti razzisti nell’Europa di oggi, non c’è freno ad un’indole innata che spinge l’uomo a muoversi per conoscere dai tempi di Ulisse. È dunque l’umanità il sacro, coi suoi rumori, le sue imperfezioni, che ci hanno anche fatto sorridere durante il racconto, perchè alla fine ha ragione il vecchio adagio: col sudore si colgono le patate, col sorriso si raccolgono le giornate.

La drammaturgia di Tindaro Granata si riconosce nelle spinte poetiche e tenere che incorniciano i volti dei viandanti in poche parole, aiutate dalle testimonianze sonore del cammino. Tra le voluminose registrazioni di mesi di strada sono isolati istanti di sacro e profano: il fragile dialetto misterioso di una coppia di contadine, il cappuccino della barista cinese, la stanza tiepida che accoglie il padre che mangia una pera, la solitudine dei quadri di Hopper, il suonatore di violino, la musica di Vivaldi in bilico tra pianto e riso.

Ci conduce fuori il racconto di Cacciola per lasciarci sorprendere ad ascoltare il silenzio della sera nel giardino vuoto: voci in lontananza, fruscio del vento, il rombo sottile di un aereo. Il silenzio inghiotte, divora, costringe a pensare. Il sacro è nei nostri pensieri, a cui Cacciola concede spazio chiedendo al pubblico di lasciare un proprio messaggio registrato al microfono: «questo non è teatro che rappresenta la realtà, ma siete voi che l’interpretate».

Resta aperto il finale di FARSI SILENZIO lasciando ronzare allo spettatore la domanda nella testa: cosa è Sacro? Avremmo desiderato una sintesi, una conlusione del cammino, almeno un accenno di risposta, ma questo approccio senza conclusione di fronte alla vastità del questito, che lascia sospesi con la sensazione di non-finito, è forse la risposta più sensata.

«Dio o la Natura, a seconda di ciò in cui si crede, ci hanno dato una bocca e due orecchie: evidentemente perché ascoltassimo il doppio e parlassimo la metà!»

Info:
FARSI SILENZIO
progetto e interpretazione Marco Cacciola
drammaturgia Tindaro Granata
suono Marco Mantovani
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale con il sostegno di Armunia Centro di Residenza Artistica Castiglioncello – Festival Inequilibrio

Chiostro di Villa Vogel, Firenze
10 settembre 2018

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