FAMILY GAME VR @Teatro Fabbrichino: la catarsi del virtuale

PRIMA ASSOLUTA per una nuova produzione firmata Teatro Metastasio di Prato insieme a 369gradi. FAMILY GAME VR (testo e regia di Mimosa Campironi) è uno dei primi spettacoli in realtà virtuale in cui lo spettatore è immerso in una scenografia che si sviluppa intorno a sé in una dimensione immaginifica. Nella sua circolarità e nella sua molteplicità di palcoscenici che scompaiono e ricompaiono tutto intorno, lo spazio scenico assume un carattere onirico a tratti spiazzante e sorprendente, tanto quanto il finale con l’attore Alessandro Averone dal vivo. Un’esperienza immersiva che nell’intimità del Fabbrichino di Prato ha stupito con il suo fragile equilibrio tra reale e virtuale.

ELEMENTI DELLA STORIA RACCONTATA IN FAMILY GAME

Nessuna gradinata ma solo un grande spazio vuoto con le sedie disposte a cerchio. L’equipaggiamento fatto di cuffie e visore già disponibile per ognuno. Dopo alcune verifiche tecniche ed alcune istruzioni preliminari, è tutto pronto. Da quel momento si salta in un altro spazio, ovattato nei suoni e nei colori, profondo e ampio, che con i suoi “tendaggi trasparenti” visibili sullo sfondo resta confinato e assume un carattere vagamente asettico. I limiti sono definiti, reali ma nella virtualità la sensazione di indeterminatezza è tangibile, netta mentre tutt’intorno il visore ci mostra i personaggi raccolti nella immaginaria nicchia creata per loro. La sceneggiatura si squaderna passo dopo passo man mano che ognuno prende la parola senza preoccuparsi di aiutarci ad orientarsi e fornendoci un tassello del puzzle che ognuno per suo conto gradualmente costruisce. La storia è fatta di pochi e semplici elementi: un terremoto dove un uomo perde la propria famiglia, uno scambio di persona di cui tutti sono consapevoli, tranne l’appuntato dei Carabinieri che si trova coinvolto nel caso, ma che conviene a tutti, compresa la donna con figlio e madre che accoglie l’uomo. Nel mezzo l’amica e collaboratrice domestica della donna che entra nel meccanismo, suo malgrado. Sullo sfondo un segreto tra le due amiche aleggia e tinge di mistero il tutto.

FAMILY GAME E LA SUA NON-TRAMA

Convinti di essere immersi in un giallo con qualche sfumatura noir, ruotiamo con la sedia intorno alla nostra posizione per raccogliere le testimonianze dei personaggi, tutti ugualmente interpretati con efficacia da Alessandro Averone, opportunamente truccato ed abbigliato, circondato dalle suppellettili di scena, prima tra tutte una bicicletta da bambino, perennemente illuminata quanto ignorata. Sebbene ci sentiamo al centro della scena virtuale, restiamo incapaci di interagire con i personaggi le cui azioni e battute restano in una dimensione altra, sempre più identificabile col sogno. Si innesca un meccanismo per cui la sceneggiatura, mentre inizia ad assumere una forma, si dirada nella direzione di una non-trama in cui l’interazione è ridotta ad un insieme di singoli, tanti fili che faticano a trovare l’ordito capace di saldarli insieme. Nella scarna scenografia virtuale la solitudine si traveste e inventa mille storie con l’obiettivo di riempire forse un vuoto o più semplicemente di divertirsi. Cerca magari di colmare un gap generazionale, di accontentare una mamma pedante e oppressiva: è il disperato e maldestro tentativo di concedersi una vita borghese fatta di cene, elettrodomestici di ultima generazione indistruttibili, la domestica per le faccende di casa e la presenza maschile. Allo stesso livello si consuma il dramma dell’uomo che ha perso la famiglia, sepolta tra le macerie della propria casa terremotata mentre il Carabiniere che l’ha aiutato a ritrovarsi insegue l’ambito quanto illusorio riscatto sociale che la visibilità in un noto talk show può regalargli.

LA VIRTUALITA’ NON E’ SOLO ILLUSIONE

I colori pastello sono ovattati in un’atmosfera nebulosa che, per quanto legata alla tecnologia della virtualità, crediamo sia funzionale all’onirismo diffuso che prende persino vita in scena con una molteplicità di uomini-cane minacciosi che popolano il sonno dell’uomo “ritrovato”. Un’esplosione di piani narrativi intrecciati nella nostra mente che cerca un filo conduttore, una catena logica fatta di causa-effetto. Proprio quando tutto sembra assumere dei contorni definiti, ci priviamo dei visori e siamo catapultati indietro in un mondo che ci sembra di nuovo quello reale perché ritroviamo le sedie, gli altri “spettatori” e il teatro. Compare però al centro quella madre su vecchia sedia a rotelle che fino a poco fa, davanti alla TV, canticchiava musiche di Orietta Berti, ora premurosa nell’assicurarsi che i visori non ci abbiano causato troppo fastidio. Il monologo di chiusura è un bel lavoro di distruzione delle certezze acquisite fino a quel momento, fatto di travestitismo e di espoliazione. Averone, con maestria e capacità di ammaliarci, si muove seguendo un copione che a parer nostro assume a tratti i caratteri di un canovaccio, lasciando libertà all’attore di stravolgere il finale replica dopo replica, e di dare così vitalità allo spettacolo che merita di sfuggire al rischio della serialità, come un prodotto da catena di montaggio. L’uscita di scena, in senso letterale, che chiude la rappresentazione è una doccia fredda che dopo qualche secondo ci ridesta rigettandoci nell’hic et nunc. Una ciliegina sulla torta di uno spettacolo che viaggia costantemente sul filo di un fragile e precario equilibrio onirico fatto di fantasia e ammiccante al grottesco.

Il visore, come una maschera che permette di mimetizzarsi sulla scena, ci carica della responsabilità di rivestire un ruolo scomodo all’interno della rappresentazione. Come testimoni impotenti che non devono rompere gli equilibri ed ai quali è assegnato un posto d’onore, perdiamo gradualmente la capacità di distinguere il confine tra reale e virtuale restando con un senso di solitudine che crediamo sia in definitiva la ragione prima della drammaturgia stessa, firmata da Mimosa Campironi. Il risultato è la consapevolezza che lo spettacolo va vissuto di pancia rinunciando alla tentazione raziocinante con cui siamo soliti approcciare un giallo. Family Game è sì un gioco, ma nel quale la posta sono i nostri sentimenti. Non nascondiamoci dietro l’illusione che la virtualità sia solo un divertissement perché quando si torna alla realtà, l’effetto catartico può essere ugualmente travolgente. E Family Game non fa eccezione.

FAMILY GAME VR

testo e regia di Mimosa Campironi
con Alessandro Averone
disegno luci Massimo Galardini
scene e costumi Paola Castrignanò
make up artist Bruna Calvaresi
musiche Bertrand
produzione Teatro Metastasio di Prato e 369gradi
Testo selezionato da
 Italian and American Playwrights Project 2020/22
Ringraziamenti FiloQ, Davide Toffolo, CTB – Centro Teatrale Bresciano, Amedeo Guarnieri
PRIMA ASSOLUTA

Teatro Fabbrichino – Prato
mercoledì 17 novembre 2021

Teaser

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