FALSTAFF @ Teatro Vittoria: icona vanagloriosa senza tempo

Il Teatro Vittoria ha il dono raro della festa. Ci sono quelle solite luci mescolate al brusio del pubblico in fila al botteghino, che sanno mantenere vivo il carattere della sorpresa. Ogni volta che vado lì non mi perdo. Anzi mi trovo. Sento la sensazione che già conosco e che ha tuttavia un retrogusto nuovo. Mi pare di vedere ancora Leonardo Sciascia, seduto al caffè accanto, sorpreso e forse compiaciuto di come il suo volumetto: “Una storia semplice”, sia diventato Teatro sonoro. Non fogli di romanzo, non per questo meno interessanti. Le tavole sono state spolverate, lucidate e fatte pronte per ospitare dall’11 al 23 aprile uno dei personaggi più irriverenti e vanagloriosi del Bardo. John Falstaff entra negli abiti di un attore di razza come Edoardo Siravo, diretto da una vecchia conoscenza: Carlo Emilio Lerici.

Edoardo Siravo – Falstaff

FALSTAFF È EDOARDO SIRAVO

Sul palco si presenta in tutta la sua ingombrante fisicità, il lollardo per antonomasia che mantiene un appetito mai sazio. È una fame atavica che sembra non avere né misura, né genere: Falstaff divorerebbe cibo, vino e donne. E lo farebbe ordinatamente o disordinatamente. Questa incontrollabile bulimia bene assortita, lo riduce a essere grottesco e comico che Siravo ci restituisce con quel brillio che certi personaggi devono avere per il piacere della platea. Un lucore abbacinante affidato al personaggio e all’attore. Personaggi così sanno essere maledettamente moderni a prova del fatto che l’uomo non sa cambiare. Rimane piantato. Il Teatro torna a essere specchio del presente. Contemporanei tutti e tutto: personaggi e storia. I drammaturghi hanno sempre sfruttato la “corda buffa” dei tanti Falstaff in giro tra certi testi famosi e molti altri dimenticati. Nel testo del Bardo ci sono echi Platoniani. Anche Plauto dalla sua Sarsina, racconta già nel II secolo a.c., le vanterie del suo fanfarone Pirgopolinice nel Miles glorious. Non vi rinuncia neanche Arrigo Boito e Roberto Lerici (padre del regista), nella sua versione e adattamento del 1988, finirà la commedia con un monologo del librettista padovano di Verdi. Le parole di Boito in bocca a Siravo assumono lo stesso peso della pietra miliare. O solo della poesia (e non è poco). In questa versione, il grande drammaturgo (che pensò il testo per Mario Carotenuto) non trascura l’aspetto umano di Falstaff. È un personaggio tragicomico che non rinuncia a vivere e finisce in un baule tra mutande striate. C’è una acuta e tristemente attuale riflessione sull’impero delle false notizie e calunnie che dettano anche questi nostri giorni. Forse più che mai, se pensiamo al terrorismo dei media.

FALSTAFF, SCENOGRAFIA MOBILE

La storia di Falstaff è nota. Si sviluppa in più scene e luoghi: ed è per questo che il regista con Giacomo Celentano, inventano lo stratagemma delle porte che gli attori muovono senza pudore, con grazia, davanti agli occhi del pubblico. Non è un segreto. È una magia che deve svelarsi a sipario aperto, senza rimandi e inutili indugi. A ogni movimento prende consistenza un luogo nuovo sul palco e nell’immaginazione dello spettatore, suggerito ad arte. Una suggestione diversa. È da lì che entrano ed escono i personaggi, tutti puntuali di battuta. Il ritmo sembra cadenzato da quei simpatici infissi che aleggiano sopra il palco e dentro la scena. Ed è un ritmo incalzante che cattura il pubblico.

CHARLESTON BEN VESTITO

Mi piace l’idea di Lerici d’esordire con una danza divertente e divertita. Disarticolata. Irriverente come tutta la commedia del millantatore più famoso del Teatro. Il più simpatico. Il Charleston rimanda la storia agli anni ’20 (i ruggenti) suona per tutto il tempo e muove i sorrisi, le battute e i movimenti dei personaggi, che sembrano avere oltre i costumi adatti (di Annalisa Di Piero) anche le phisique du role. Le musiche sono di Francesco Verdinelli. Madame Quicly è Francesca Bianco che ho già recensito in Anne Frank. Qui è brillante, divertente. Ha una sorprendente energia che mette al servizio del suo opportunista personaggio. Roberto Bonetti mi piace e sa essere un buon Sciapito. Fabrizio Bordignon qui è un ottimo caratterista e da voce a Bardolfo e Fenton e un simpatico facchino dal sapore nordico. Gabriella Casali ci delizia ogni volta (l’ho già recensita ad esempio in Prometeo); qui è una delle allegre comari, la Ford. Bravo Giuseppe Cattani nel suo buffo e goffo Carente. Beatrice Cappolino è la giovane Anna Page. Mi piace Alessandro Laprovitera: Simplicio; poche battute ma ben dette insieme alla mimica di chi deve sembrare un sempliciotto appunto. Ruben Rigillo, l’ho visto in più commedie, mi convince a ogni uscita e tiene saldi i nervi del personaggio quando è chiamato Beccaccione da Falstaff. Dopo è una furia che parla disperatamente alla platea. Sgattaiola tra le porte fuori copione quando probabilmente una di queste s’inceppa. Anche questa è arte dell’improvvisazione. Bravo Germano Rubbi con la sua voce precisa e ben portata. L’altra comare è Susy Sergiacomo, brava e diabolica in coppia con la Casali e nei suoi monologhi. Roberto Tesconi mi diverte. Ottimo caratterista tanto da impersonare due ruoli e tutti diversi: Pistola e il francesissimo Caius con tanto di borsa da medico condotto. Tonino Tosto l’avevo già recensito in altri spettacoli: qui è conferma di bravura. Spettacolo consigliato.

Visto l’11 aprile 2023

CAST E INFO SPETTACOLO

Dall’11 al 23 aprile 2023

Edoardo Siravo

in

FALSTAFF E LE ALLEGRE COMARI DI WINDSOR

di

William Shakespeare

versione e adattamento di Roberto Lerici

con

Francesca Bianco e Ruben Rigillo

e con

(in ordine alfabetico)

Marco Bonetti, Fabrizio Bordignon, Gabriella Casali, Giuseppe Cattani,

Beatrice Coppolino, Alessandro, Laprovitera, Germano Rubbi,

Susy Sergiacomo, Roberto Tesconi, Tonino Tosto

musiche Francesco Verdinelli

costumi Annalisa Di Piero

regia Carlo Emilio Lerici

Produzione Teatro Belli di Antonio Salines

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