Al Festival dei Due Mondi, entrando nel luogo teatrale dove lo spettacolo ESODO di Emma Dante si svolgerà – la chiesa sconsacrata di San Simone a Spoleto, spoglia, fatiscente, tutta buchi e ferite, e bellissima – gli spettatori trovano una pedana a mo’ di palco, strani oggetti metallici simili a scheletri di ombrello in scena e, sulle sedie, una lunga citazione dal Vangelo secondo Matteo (25, 34 – 40) sul debito di accoglienza che tutti abbiamo, e che dobbiamo dimostrare verso tutti: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Pensiamo di capire. Supponiamo di trovarci davanti a una rilettura della tragedia di Edipo orientata, in chiave contemporanea, ad accogliere il diverso, il lontano, l’inconoscibile, con coerenza e pietas. Intanto, gli attori entrano in scena. Marciano, veloci. Scendono dall’alto della platea, conquistano il palco, si dispongono in fila di fronte al pubblico. Silenzio. Poi ciascuno di loro, a turno, riproduce il verso di un animale – uccelli, di vario tipo, felini feroci, cani, scimmie, abitando, con suggestione, il silenzio. L’animale, però, non abbandona il suo attore. Quando Giocasta, Antigone, Ismene, vengono chiamate a parlare, lo fanno, riproducendo però, successivamente, di nuovo il miagolare, o l’abbaiare, che le contraddistingue. Tratto geniale, che ci aiuta subito a capire uno dei fili conduttori del lavoro: il caos. Scorre leggero, ma perenne, dentro alla celebre tragedia del logos. Gli uomini sono animali – dotati di parola: the talking Greeks, come asserisce John Heath. Animali parlanti, sì, ma animali. Così la Sfinge, animale multiplo, mostro collettivo a cui dà vita tutto il gruppo di attrici donne, che, con smorfie bestiali, “mi fa sempre la stessa domanda”, ironizza Edipo, “con le stesse parole”. E le attrici in seguito comporranno un nuovo animale multiplo, un coro folle, che porterà alla glossolalia più sgradevole e più seducente la litania meridionale – parole rese suono, acute, dissonanti, mentre le coreute si velano di nero e brandiscono lunghi rosari di corallo, nastri di sangue del miasma e segnali uguali e opposti alle bende bianche del coro supplichevole del testo sofocleo.
E proprio il caos è il filo conduttore, il caos dionisiaco che fa guizzare le donne in danze folli (che sicuramente debbono molto alle Baccanti andate in scena a Roma lo scorso gennaio): proprio il caos giustifica l’ennesimo ricorrere della regista ad una ricostruzione mediterranea astorica, eterna (tamburelli, danze, Creonte in veste ecclesiastica, Giocasta, laida e bellissima, in abito da sposa e poi in sottoveste provocante, le Sorelle Macaluso in sottofondo quando le valigie vengono spalancate, gli abiti esibiti, gli alberi metallici diventano stenditoi). Le radici dionisiache del Sud, quelle dell’abbandono e del disordine rituale, così pasoliniane del resto, funzionano da gancio di base. Pasolini è dichiaratamente citato, nel flauto che Tiresia suona rifiutandosi di rispondere alle domande di Edipo, identico a quello che Citti suonava nel film. E ancora di più, molto probabilmente l’abbondanza di canti, musiche, danze nello spettacolo di Emma Dante è molto simile al tentativo operato da Pasolini nella rilettura dell’Orestea, in cui aveva progettato di sostituire la musica alla parola, e di rendere il lamento di Cassandra una jam session in uno studio polveroso di periferia. Qui la musica insiste a evocare le radici dionisiache del Sud, lo spirito di una tragedia squilibrata verso il sangue e il caos, verso l’impurità e la bruttezza, verso un tono tragicomico quasi metateatrale che meriterebbe una riflessione più profonda e che è evidentemente una chiave della ricerca della regista siciliana.
Edipo, dunque, rivive la sua tragedia, davanti ai nostri occhi. “Io sono Edipo, uno che non ha certo una prospera e invidiabile sorte. La mia origine è orrenda”. Con lui, esule, maledetto, macchia umana, però, c’è tutta la sua gente, i cittadini di Tebe, la moglie, le figlie, Tiresia, Creonte, il vecchio Laio incartapecorito, a sfidare le leggi della vita e della morte. Sono con lui nel viaggio di espiazione, in una migrazione purificatrice che tutti noi conosciamo, accompagnati dai nostri personali fantasmi, qui, per il miracolo del teatro, visibili. Scatta un rituale profondo e perturbante, la relazione tra chi agisce in scena e chi osserva, radice primaria del bisogno di comunità. “Vi racconto la mia tragedia in cambio di ospitalità. Mi caverò gli occhi per l’ennesima volta. Io e il coro errante di anime, che sempre resta al mio fianco, vi preghiamo di accoglierci. Abbiate pietà, siamo nelle vostre mani, come nelle mani di un dio. Lasciateci varcare il confine e consentiteci di continuare a vivere. Non vi daremo disturbo, ci adatteremo, rispetteremo le vostre leggi adorandovi come salvatori dell’umanità”. Impossibile che il pubblico non accolga uno spettacolo che sa quanto porose siano le paratie tra sguardo e rappresentazione, e quanto rapidamente la bellezza conquisti dentro, abbattendo con una sola spinta i muri della lontananza e dell’indifferenza. L’accoglienza, forse inconsapevole, avviene. Perché apparteniamo a una stirpe comune, a una gente mediterranea che, cattolica o no, sa avere pietà di Edipo ‘meschino’? Più probabilmente, perché apparteniamo all’umanità. Non c’è muro che ci difenda dall’arrivo dell’autoconsapevolezza. Sono qui con la mia famiglia, dice Edipo. Qualche secolo, qualche mano tesa, qualche sussurro degli antenati, e la frase allude senza dubbio proprio a noi.
da Edipo Re di Sofocle
testo e regia Emma Dante
con Sandro Maria Campagna e gli allievi attori della “Scuola dei mestieri dello spettacolo” del Teatro Biondo di Palermo (Giulia Bellanca, Costantino Buttitta, Martina Caracappa, Chiara Chiurazzi, Martina Consolo, Danilo De Luca, Adriano Di Carlo, Valentina Gheza, Cristian Greco, Federica Greco, Giuseppe Lino, Beatrice Raccanello, Francesco Raffaele, Valter Sarzi Sartori, Calogero Scalici, Maria Sgro)
costumi Emma Dante
scene Carmine Maringola
luci Cristian Zucaro
assistente ai costumi Italia Carroccio
assistente di produzione Daniela Gusmano
si ringrazia Cesare Inzerillo per la realizzazione della scultura del Vecchio Laio
Foto Maria Laura Antonelli
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
produzione Teatro Biondo di Palermo / Spoleto62 Festival dei 2Mondi
Festival dei Due Mondi, Spoleto
14 luglio 2019