Fino al 28 gennaio è andato in scena al Teatro Duse ENRICO IV, una produzione Marche Teatro per la regia di Carlo Cecchi, scene di Sergio Tramonti, costumi a cura di Nanà Cecchi e le luci di Camilla Piccioni; con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Giorgio Morra, Roberto Trifirò, Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Chiara Mancuso e Remo Stella.
Il ruolo troppo idealizzato dell'attore nel gioco del teatro – “forse l'unico gioco serio rimasto” ci dice Cecchi – viene demolito. Il vecchio va distrutto per fare, finalmente, spazio al nuovo e Cecchi gioca fino in fondo, arrivando a includere nel suo copione parte della lettera che Pirandello aveva scritto a Ruggero Ruggeri, attore per il quale nel 1921 scrisse la parte di Enrico IV. Definito all'epoca “dannunziano”, con parole che useremmo adesso, Ruggeri lo definiremmo enfatico, eccessivamente impostato. Ruggeri era l'attore scelto da Pirandello, Cecchi è l'attore scelto dai nostri giorni: e la parte se la adegua, se la cuce addosso, per indossarla al meglio.
Cecchi ironizza con il personaggio che nella farsa all'interno della farsa interpreta il suo assistente di scena, palesando in modo inequivocabile la sua opinione: “quelle parole lui le ha scritte all'altro, non a me! Lui ha preso la sua strada, io prendo la mia!”, ci dice col suo leggero accento toscano, che emerge quando la fusione tra attore e personaggio (il personaggio “vero”, non quello che a sua volta finge con gli altri personaggi interpretando Enrico IV di Germania) diventa più profonda. Cecchi scimmiotta lo stile di recitazione impostato da accademia: “io sono un'attrice contemporanea, interpreto Pirandello, Ibsen, mica come lei che è un trombone stonato!” fa dire ad Angelica Ippolito. Per contrastrare uno stile solo tecnico e vuoto, lavora sugli attori e con gli attori, fuori e dentro la scena, mostrandoci così un assaggio del tipo di sperimentazione che porta avanti da decenni e che ha come risultato questa sua poetica semplice e fresca, moderna.
La sincera intenzione di Cecchi nel suo lavoro sull'attore è data anche dalla possibilità che dà agli altri attori di emergere: non sono più piccoli ingranaggi funzionali a Enrico IV/Ruggero Ruggeri come fu al tempo di Pirandello. Il drammaturgo aveva infatti scritto uno spettacolo che era in pratica un unico grande monologo, quelli che prima erano sullo sfondo ora sono personaggi a tutti gli effetti, caratterizzati ognuno dalla sua personalità e da un'opinione e un vissuto chiaro in rapporto al protagonista.
La scelta del cast è interessante: abbiamo da un lato attori consolidati come Angelica Ippolito, Gigio Morra e Roberto Trifirò; dall'altro giovani attori spalla di talento e con la freschezza dell'inizio carriera: Federico Brugnone, Davide Giordano, Dario Iubatti, Matteo Lai, Chiara Mancuso e Remo Stella.
Pirandello risulta solo il punto di partenza dal quale Cecchi è partito, della trama resta la base, un canovaccio sul quale Cecchi si è divertito a creare, improvvisare, ricostruire e rinnovare il testo, adattandolo a nuovi valori, a un nuovo modo di vivere e vedere le cose, a un teatro attuale.
Uno spettacolo che rompe le regole, smantella le convenzioni del teatro classico, rende leggera e brillante un'opera adattata a un linguaggio contemporaneo, anche qui arrivando fino in fondo senza la paura del fantasma di un mostro sacro del teatro, dove ci si può permettere anche di insultare senza riserve.
La cura per i costumi di scena, realistici per gli anni Venti, sofisticati ma senza cadere nel barocco, non distoglie dalla recitazione, così come le scenografie, imponenti per consentire i cambi scena, ma comunque essenziali: la scelta del minimalismo per non allontanare il pubblico dall'essenza dello spettacolo e dalla volontà di smantellare il vecchio e andare oltre, gli orpelli sarebbero inutili.
Allo stesso modo le luci sono funzionali alla narrazione senza esercizi di stile, tutta la partita è giocata dagli attori.
Se in Pirandello il protagonista resta intrappolato nella farsa da lui stesso orchestrata, qui è consapevole e gioca volutamente con l'ambiguità, il fatto che sia davvero pazzo o meno viene continuamente rimesso in discussione, la sovrapposizione tra maschera e realtà è palesata e scelta, non più imposta come triste destino nella menzona.
Il teatro nel teatro non è affatto una novità, ma Cecchi va ancora oltre, non solo il teatro nel teatro, la farsa nella farsa, ma il teatro nella vita, la farsa della vita, e poi il teatro e la vita, toccando vari gradi di finzione nella stessa scena, rompendo la quarta parete quando necessario, parlando al suo pubblico forte e chiaro.
A Cecchi il merito di creare spettacoli di spessore restando nella semplicità, il suo è un teatro per tutti, che arriva a tutti, che può essere letto a più livelli, ma che mostra chiaramente ciò che si ha davanti. Un Pirandello contemporaneo come se ne vedono pochi, uno svelamento delle regole del gioco del teatro fino alla perla del finale. Un finale di partita all'altezza dell'intensa ora e mezza trascorsa e, così, la partita è vinta su tutti i fronti.
Info:
MARCHE TEATRO
Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Gigio Morra, Roberto Trifirò
di LUIGI PIRANDELLO
adattamento e regia CARLO CECCHI
e con FEDERICO BRUGNONE, DAVIDE GIORDANO, DARIO IUBATTI, MATTEO LAI, CHIARA MANCUSO, REMO STELLA
scene SERGIO TRAMONTI
costumi NANÀ CECCHI
luci CAMILLA PICCIONI
assistente alla regia DARIO IUBATTI
assistente alle scene SANDRA VIKTORIA MÜLLER