EMMA B. VEDOVA GIOCASTA @ OFF/OFF Theatre : Metamorfosi del ricordo

Andiamo sempre volentieri alle prime dell'Off/Off Theatre perché corriamo sempre il rischio di assistere a casi esemplari di buon Teatro. Quindi senza attendere conclusioni, considerazioni, riflessioni dichiariamo da subito il nostro apprezzamento per questa piéce per il motivo che da "subito" ci arriva la necessaria percezione. Subito: spente le luci di sala, scemata la musica, alle prime battute di Alberto Savino in bocca a Elena Croce. Il buon Teatro dunque non indugia. Non c'è attesa per chi sta comodo in platea. La razza della Croce è evidente. Ma torniamo al nostro lavoro: la commedia ha debuttato il 16 febbraio e rimarrà in scena sino al 18 febbraio. Pochi giorni.

Dopo quindici anni arriva la lettera del figlio. Emma B. assapora il gusto della fine di quella lunga ed estenuante attesa. Troppo per questa madre, e per qualsiasi altra. Le pagine sono fitte. Devono contenere e raccontare quel silenzio tra portatori del medesimo sangue. Emma lancia quei fogli in aria: è felice. Lui annuncia che verrà a trovarla. C'è ancora un tempo tra l'incontro e il ricordo di quella esistenza appesa alla creazione umana di quell'unico figlio. I fatti emergono dolci come zucchero e ispidi come la barba del canuto; si affastellano nella fragile mente di Emma. Un fondale di tende bianche è interrotto dalla figura severa di un grande armadio di legno bruno: è il muro dove tutto si ferma. Il corpo e i pensieri del personaggio. Ogni cosa vi rimbalza. Ostruisce la fuga ed Emma che intanto vi inveisce contro e batte i palmi sulle ante secche e sorde. Le parole scivolano giù agevolate da quel peduncolo di palco scosceso verso il pubblico. Lo spazio scenico voluto da Riccardo Gargiulo e Valeria Foti (che firmano anche il disegno luci) è voluto. Pensato. Partorito come il figlio di questa storia. E in quel pendio di scena, il personaggio abilmente si inerpica, cade e ricade, sorretto e oltraggiato dalle sue parole stesse. Appare a noi della platea come un minuscolo sassolino sulla battigia. Ci sono le onde del pensiero e dei ricordi che la muovono.

C'è un tuffo nel passato: dolce e torbido. Tutto insieme a ritmo alternato. Ecco: proprio come la forza di certe onde marine. Lei rivive gli amori del figlio mai benedetti, anzi maledetti. Non autorizzati. Autonomi. Per Emma sono un tradimento. Nel lungo monologo affiora lenta la confessione di un amore morboso. Forse incestuoso. Si delinea l'idea ossessiva della madre: il figlio è il maschio. Emma trasfigura il suo amore. La realtà le arriva a tratti nitida tanto da costringere la misura dei desideri ridotti ormai a forme senza vita. Sono miniature di pulsioni dove soffitti e pareti hanno assunto altre proporzioni. Diverse. Sono adesso strette. Eppure Emma, riconosce a posteriori durante l'attesa, che ella era contenta. Non era Felice. Contenta, e non è poco. Ma quella gioia dura poco: adesso gioca di nuovo con quello che le fa male. Apre quel muro simile ad un armadio e vi scova dentro i testimoni di quei ricordi. Le si affastellano altre memorie. Stringe a se quel piccolo vestitino, unico, senza cuciture che avrebbero potuto offendere la pelle fresca del figlio. In quel periodo quando era solo suo. La mano affonda nel guardaroba. Emergono altre immagini mai sbiadite. Sono sorrisi. Sono pianti, specie quando arriva a quel vestito serio d'uomo. Uomo, non più bambino. Uomo per tutti. E' un trauma averlo visto in quell'abito del padre. Anche lui, il compagno, è maschio: silenzioso e nero. Esaminatore. Emma doveva fissarlo. Non poteva staccare gli occhi pur volendo. Ma poi quel corvo nero si imbianca. Non la schiaccia più. Emma passa dallo stato solido a quello morbido e capisce che quel compagno è uomo, ma estraneo. E' il maschio fittizio. Non è genuino, sincero perché è venuto da fuori: il maschio autentico è il figlio perché creato, fatto nascere come il fiore. L'attesa si riduce. Lo specchio denuncia per riflesso lo stato del corpo ed Emma paventa quell'incontro che incombe. Si getta nel cassetto dove mescola gli indumenti della sua gioventù che ha il coraggio di calzare sul quel corpo attempato. Come nella tragedia umoristica pirandelliana si trucca per piacere al giovane.

La recitazione della Croce è vera, senza orpelli. Autentica. Le parole dell'autore grazie anche alla regia Alessio Pizzech arrivano, vibrando, dal palco alla platea e attraversano tutti.
Il disegno luci ci piace. Muta dolcemente all'interno della stessa scena dando sostegno al personaggio.
La figura severa di Elisabetta Furini ci accoglie a sipario aperto e ci crea quel disagio di cui è capace solo il Teatro: perché la necessità dello spettatore è quella di emozionarsi e non solo riempire la poltrona rossa.

Spettacolo da vedere.

 

Associazione Sicilia Teatro

EMMA B. – VEDOVA GIOCASTA

di Alberto Savinio

con Elena Croce ed Elisabetta Furini
regia di Alessio Pizzech
assistente regia  Elisabetta Furini
luci e spazio scenico Riccardo Gargiulo Valeria Foti

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