EASY TO REMEMBER @Off/Off Theatre: raccontarsi per ritrovarsi

In programmazione fino al 23 dicembre presso gli eleganti spazi del Off/Off Theatre in via Giulia, EASY TO REMEMBER, il nuovo atteso spettacolo scritto da Stefano Ricci e Gianni Forte, è un omaggio all'eccezionalità della vita e dell'opera della poetessa Marina Cvetaeva.

Spettacolo sulla memoria, EASY TO REMEMBER non propone allo spettatore una pedissequa ricostruzione della biografia della donna Marina, mirando piuttosto a suggerire per allusioni sentimenti e struggimenti relativi al suo vissuto. Come le istantanee di radiografie di diverse parti del corpo proiettate durante alcuni cambi di scena, le suggestioni stimolate sono fulminee e frammentarie, lontane da qualsivoglia progetto di narrazione strutturata. Dalle parole, che dell'opera sono materia essenziale, certamente fatti e vissuti dell'esistenza della poetessa emergono, a descrivere però un sentire più ampio, che è quello dell'inquietudine sempre patita che nella rievocazione proposta prende forma.

Una parete di garza bianca chiude e racchiude la scena, definendo la stanza dell’interiorità della donna, dei territori del suo intimo più protetto, ma creando contestualmente una superficie in grado di raccogliere e restituire la luce invocata sin dall’inizio della rappresentazione e che, nelle sue tonalità rarefatte di un bianco opaco abbacinante al limite del fastidioso, finisce per essere anch’essa determinazione e perfezionamento delle parole che attornia. Candore scomodo più che delicato, che allude agli interni di una clinica mentre ambisce alla spiritualità di una fine imminente.

Anna Gualdo, l'attrice che a meraviglia interpreta Cvetaeva, è seduta su una sedia a rotelle, immobile, ad occupare metà del palco. Dall'altra parte Liliana Laera, nelle vesti di un'infermiera, ma ad impersonare nel corso della messa in scena anche la figlia della poetessa e, sovente e più credibilmente, una sorta di suo alter ego, di anima chiamata al dialogo, di istinto represso e finalmente desideroso di uscire allo scoperto. Ad apertura dello spettacolo tira fuori da una grossa bara di legno grezzo una montagna di girasoli, così che la liberazione possa aver inizio. E la liberazione avviene appunto per opera dello straripare di parole per bocca della protagonista.

In una condizione contigua alla malattia e alla morte, la poetessa rievoca la lontananza dal proprio compagno e la mai esaurita attesa di lui, rievoca il difficile rapporto con una mamma vittima delle consuetudini del buon costume, rievoca l'intensità e il dolore del legame con la figlia Ariadna (in quanto legame inevitabilmente frutto di uno strappo), rievoca tutto il suo fastidio per il perbenismo e le buone maniere, parallelo e corrispondente al bisogno di autenticità e di senso vero da dare alla propria esistenza. Rievoca soprattutto l'importanza della scrittura, come strumento salvifico specialmente in quanto strumento di analisi, sì da dichiarare: «Ho sposato un ruolo, un quaderno e una penna, per paura di restare senza specchio».

Intensamente poetica la questione esposta circa la fine delle parole, il chiedersi dove vadano a posarsi una volta dette, se in fondo ad un pozzo o piuttosto su un tappeto di foglie. Quale la zona di ricezione al termine dello scambio tra dialoganti. Quesito peraltro utile all'interno di uno spettacolo che fa della concretezza della parola una delle scelte registiche preponderanti e che prevede un riecheggiare delle parole anche al termine dello stesso, per il vigore che le ha caratterizzate, per la proliferazione importante che le ha riguardate, nonché per l'intensità di tematiche che esse hanno descritto. La dimensione onirica e visionaria resta tutta esterna al dialogo/monologo, pur non essendone per nulla scalfita.

Ad inframmezzare il racconto, di tanto in tanto le parole appaiono scritte, proiettate sulla parete di garza che in questi casi diviene nera. Ad eccezione di una lunga lettera alla figlia, sono brevi sentenze esplicative, una fra tutte quella iniziale: «C'è sempre stato l'inverno nella mia gola». Il verbalizzare è necessità, ma gelida necessità. Di contro, il corpo tenta, con un linguaggio tutto suo, di compiere la catarsi. Mostrato a pezzi dalle radiografie, si ricompone nel corso dello spettacolo e finisce per cantare la vittoria della liberazione in un ballo a due eseguito dalle donne. La sedia a rotelle ormai abbandonata, dopo un simbolico avvolgerla con un nastro rosso. Quella che si preannunciava come la morte finisce per essere una rinascita, una redenzione dal ruolo vissuto e presentato di inappagabile tormentata donna. Esorcizzata l'ansia della fine, la bara diviene amica, rifugio e supporto per l'accettazione del proprio essere ed essere stata. La memoria è così compiuta.

 

 

Info:

Ricci/Forte

EASY TO REMEMBER

drammaturgia Ricci/Forte

con Anna Gualdo, Liliana Laera

assistente di regia Ramona Genna

direzione tecnica Danilo Quattrociocchi

regia Stefano Ricci

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