E ALLORA CADI @ Teatro Flaiano: il dubbio amletico secondo Avallone

E allora cadi in scena al Flaiano fino al 19 maggio.

 

Il Teatro Flaiano, come un iridiscente scrigno, è confuso tra le strette e acciottolate vie del centro, e proprio per questo abbisogna d'un cartellone “buono” che spinga a se gli avventori da sfamare e saziare di cultura. E' questo il viatico per il viaggio nella civiltà o inciviltà moderna: ci viene in mente Gino Raya, intellettuale e critico letterario siciliano e la sua visione corporea e biologistica del Famismo. Scorre denso e letale un flusso urgente di questioni quotidiane che anestetizzano e ammutoliscono gli esseri pensanti. Lobotomizzati al non pensiero. Alla libertà. La necessità imperante di leggerezza ha finito per vuotare ogni sacca residua di poesia e amor proprio genuino.

Antonello Avallone, dirige il Teatro: dunque provvede a dotarlo di un “appetitoso cartellone, e questa commedia la interpreta armato di questi buoni propositi. L'idea è ravvivata dal tema della commedia “E allora cadi” che strappa la cultura dai polverosi scaffali, e le conferisce ruolo di indiscussa protagonista. L'autentica divina, come si usa dire nel gergo attoriale. Per una volta gli attori sono co-protagonisti dell'arte stessa. L'ambientazione è un tempio, non uno qualsiasi: una piccola libreria di periferia affastellata di libri che nessuno compra, letti solo da Gianmaria (qui Avallone) il gestore o il libraio, termine ormai desueto proprio come i libri. Nella storia tutto il peso dei sacrifici. Le difficoltà economiche. La testardaggine e l'esigenza di continuare a fare solo quello che si conosce. Quello quindi che si sa fare. Per Gianmaria la cultura ha il potere salvifico di cui l'essere pensante e frettoloso ha bisogno. Per l'attore è l'occasione d'oro per citare e Hermann Hesse, Shakespeare e interpretarlo anzi recitarlo. Sul palco c'è Elìas, un giovane Francesco Marioni con il suo irriverente personaggio: un ladro che irrompe col coltello di famiglia, tenta il colpo e, costretto tra la serranda abbassata e la strada fa il verso ai grandi letterati. Adesso è ostaggio dell'arte. Lui è un coatto, un diseducato di periferia che ci ricorda certe borgate posoliniane. Uno duro affetto da cronica e incurabile disoccupazione che vuole acchiappare quel che può con il coltello che porta il nome del nonno (macellaio di zona). La lama è la firma, la prova del reato mai consumato e questo non lo rende di certo un astuto delinquente. Tra i due personaggi nasce una dialettica. Le distanze tra i poli contrapposti si fanno brevi. C'è fusione. C'è a tratti empatia, quasi fiducia, armistizio di posizioni l'una dirimpetto all'altra. Il coltello teso contro la pistola non serve più: le armi sono deposte, gli animi aperti, le strade convergono verso le miserie dell'uomo e la voglia di riscatto d'ognuno mediate da un mezzo di comunicazione superlativo: l'arte della parola, la letteratura, la poesia. Anche qui riverbera tra palco e platea quel monito del bardo che istilla il dubbio. Amleto è l'opera del dubbio di chi deve “essere o non essere e poi quella frase del Giulio Cesare “e allora cadi” che svela solo alla fine il dramma di uno dei personaggi quando trova la risposta avallata dal gesto: E' giusto uccidere il tiranno?

 

La scenografia è essenziale ed evoca il luogo dove Marioni (autore e attore) ambienta la pièce. Pile di libri sono ovunque e senza un ordine apparente. Libri letti e consumati da Gianmaria nella lunga attesa del cliente.

 

Le luci del piazzato sono calde su tutta la scena e coniche sul personaggio quando serve. Le musiche giuste ed emozionali.

 

La regia è curata. Ci sono controscena motivati. Posizioni contrapposte studiate. Posture diverse come diversi sono i personaggi.

 

Spettacolo riuscito, da vedere.

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