In apertura del Festival Fabbrica Europa – XXX edizione (fino al 12 ottobre) – la breve e folgorante performance DOMANI di Romeo Castellucci direttamente dall’ultima Biennale di Venezia. Dopo il primo reportage dedicato a WOE e Speaking Cables, l’attenzione si sposta sul lavoro del drammaturgo romagnolo ambientato all’interno della Palazzina Reale di Firenze, capolavoro razionalista inserito nel complesso della Stazione di Santa Maria Novella. Mentre la vita dei passeggeri fluisce sullo sfondo, gli spettatori in piedi assistono dapprima con curiosità e stupore, fino al disagio sensoriale e al silenzio all’uscita dall’elegante salone a vetri. Ancora una volta Castellucci non lascia via di scampo e solo alla fine torniamo a gustare quella libertà che per solamente 30 minuti ci è stata tolta, soffocati all’interno di una gabbia col mondo fuori che ignora il nostro disagio.
Articolo a cura di Leonardo Favilli e Susanna Pietrosanti
Prossimamente in programma un reportage su Coefore Rock&Roll della Compagnia Enzo Cosimi.
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DOMANI: la maschera e l’inizio del Calvario

Come una bestia in vetrina, una figura mascherata al di là del vetro trascina il peso del proprio corpo e di quello di un lungo ed esile albero, le cui radici sono piantate all’interno di una comune scarpa da ginnastica, che i giovani chiamerebbero sneaker. Lo stridio della gomma sul lucido marmo del pavimento si accompagna, nella sua discontinuità, agli echi provenienti dagli ultimi binari della stazione retrostante. Nessuno sembra accorgersi di noi spettatori, come davanti ad un acquario in cui i pesci non si preoccupano del fuori. Anche l’attrice non pare lasciarsi influenzare dalla nostra presenza nel suo vagare in linea retta avanti e indietro. L’albero, per lo più secco, appare quasi leggero, di una leggerezza che però cela la gravità che si percepisce dalla fatica compiuta per guidarlo. Un po’ timone, capace di direzionare, un po’ bastone, sostegno per il corpo, anch’esso apparentemente pesante nel suo trascinarsi inesorabile, l’albero è la croce che nel suo personale Calvario la protagonista è costretta a sopportare.
Il disagio della protagonista invade lo spazio del pubblico

Ma il Calvario non resta solamente suo. Non appena l’impermeabile indossato finora lascia spazio ad una candida sottoveste e la maschera ad un volto stravolto dalle pupille diafane della cecità, il girovagare della protagonista invade anche il nostro spazio, il vetro dell’acquario sembra rompersi e noi ci troviamo travolti dall’angoscia che il pianto sempre crescente diffonde nel salone. Impossibilitati a prevedere il percorso, ci spostiamo continuamente per cercare quell’angolino che ci permette di assistere ma senza implicazioni. Perché in fondo non ci sentiamo pronti per una vera compassione. Si contorce la protagonista nella percezione – o nel ricordo – di un dolore viscerale risvegliato forse da quella scarpina da bambino che finora si nascondeva all’interno dell’altra, più grande, ai piedi dell’albero. Non resta che la rabbia per potersi liberare dal peso, scaricata contro i pilastri del salone ed accompagnata dai tuoni risonanti e disturbanti, terremoto sensoriale ed emotivo costruito da Scott Gibbons. Dallo stupore iniziale fino al disagio di corpo e spirito, la rassegnazione e la consapevolezza sembrano vincere quando la donna, sempre col sostegno del suo albero, sguardo lontano, finalmente si acquieta e veniamo invitati a lasciare la sala, in un silenzio assordante.
Il mistero allegorico di DOMANI
Come ogni proposta del geniale regista, è vero che anche questa sposta gli spettatori altrove: che sia sull’asse temporale oppure, o contemporaneamente, all’interno di un gioco di piani culturali e simbolici armoniosi e antitetici. La performance sfida l’interpretazione, si pone impermeabile e porosa come una paratia tra pubblico e messaggio. È emblematica, allegorica, forse, ma di un inaudito genere di allegoria, dove la rispondenza al simbolo è comunque mistero. Del resto l’arte non è sempre comprendere, e theaomai significa, appunto, vedere: se una reazione al vedere ci è chiesta, è meravigliarci, non comprendere.
L’albero di DOMANI e la potenza primordiale della metafora

Un Cristo laico, donna, solo nell’affrontare la sua Passione mentre noi, la folla del popolo, ci sentiamo spettatori increduli, pronti a giurare che siamo innocenti, che non siamo stati noi a scegliere Barabba. Un Messia che avrebbe potuto redimere il nostro domani e che abbiamo preferito sacrificare. O magari Tiresia, prima uomo poi donna, Tiresia il mutaforma, ovviamente cieco, perché dotato di ben altra vista, potrebbe essere il personaggio che geme e lacrima mentre sposta ansante questo alberello ossimorico, senza radici ma con foglie verdi. Tiresia che vede e conosce il domani, ma non ha parole per comunicarlo, qualora volesse, perché gli restano solo i respiri affannosi, il balbettio del pianto, il volo muto delle dita, lo strisciare stridulo della scarpa. Se il legno della Croce veniva dall’albero cresciuto dalla bocca di Abramo seppellito sul Calvario, qui il fusto ha affondato le sue radici in una scarpa. Dal mezzo della parola, della comunicazione, della intelligibilità all’estremità che collega corpo e terra, spugna delle energie che da lei siamo in grado di assorbire senza nessun filtro.
DOMANI: lasciarsi riempire dall’impulso
Se ne Il Terzo Reich (analizzato qui da Gufetto) la parola ancora assumeva un ruolo, seppur nella necessità di ridefinire i paradigmi basilari della sua natura, qui ormai la comunicazione è giunta – o ritornata – ad una primordialità, dove la visceralità vince sulla sensorialità. L’emblema che infine ci viene offerto è muto, la metafora è vuota, e il riversarsi della musica in scena fa rimbombare appunto proprio questo: questo immenso non sapere. Il pubblico assiste, non è chiamato a capire, non ha fili in mano, deve, e lo fa, riempirsi come un bicchiere vuoto, riempirsi dell’impulso regalato da un geniale uomo di teatro per un altrove che forse, in altro tempo, in altro modo, raggiungeremo. Forse, domani. La sfida lanciata ha del resto un valore commovente. Il mito evoca i nostri ieri, ma si fa freccia e slancio per una prosecuzione che riusciremo a compiere aprendoci, inglobando, comprendendo, lasciandoci cadere. Nessuna resistenza, neppure quella della comprensione. Forse, chissà, l’albero, insieme secco e verde, siamo proprio noi.
DOMANI
concezione e direzione Romeo Castellucci
musica Scott Gibbons
coreografia Gloria Dorliguzzo
con Ana Lucia Barbosa
direzione tecnica Eugenio Resta
progetto sonoro Claudio Tortorici
props Andrei Benchea
direzione della produzione Benedetta Briglia
promozione e distribuzione Gilda Biasini
produzione e tour Caterina Soranzo
organizzazione Giulia Colla
amministrazione Simona Barducci, Elisa Bruno, Michela Medri
Una produzione di Triennale Milano e Societas commissionata in occasione della 23ª Esposizione Internazionale Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries (15 luglio – 11 dicembre 2022)