La Fondazione Teatro Metastasio di Prato ha proposto un ampio e meritato spazio all’arte di Saverio La Ruina, in scena nell’intimo spazio del Teatro Magnolfi con “Masculu e Fiammina” (recensito al Teatro delle Donne di Calenzano da Gufetto nel 2017), “Dissonorata”, “la Borto” e “Polvere (dialogo tra uomo e donna)”. Concentrando l’attenzione su questi ultimi tre spettacoli, abbiamo assistito ad un crescendo di emozioni rossiniano, in cui le capacità di La Ruina, di modulare corpo e voce, hanno messo a nudo la forza, le difficoltà e le paure delle donne: ieri come oggi, nella Calabria più primitiva così come in una moderna metropoli, vittime coraggiose del morboso bisogno maschile ed ancestrale di averne il controllo. La Ruina ci offre uno sguardo modernamente verista sul mondo femminile.
Saverio La Ruina è sicuramente uno dei principali volti del teatro italiano contemporaneo, vincitore di molti riconoscimenti tra cui il Premio UBU, ricevuto come miglior attore italiano nel 2007 e come miglior testo italiano sia nel 2007 sia nel 2010.
Sotto forma di monologo in marcato dialetto calabrese viviamo le storie di una donna vittima di un delitto d’onore, ingravidata e subito abbandonata, protagonista di Dissonorata e di una madre costretta a ricorrere all’aborto clandestino per interrompere la troppo lunga sequenza di gravidanze, protagonista de la Borto; Polvere, ovvero un dialogo costante tra uomo e donna, inscena invece l’evoluzione di un rapporto in cui si delineano i ruoli di vittima e di carnefice, sfiorando i caratteri di un thriller psicologico il cui finale è solo accennato ma facilmente intuibile.
In tutti e tre i casi è lo sguardo del drammaturgo sul mondo femminile che viene proposto cristallino, invadente ed emozionante. Tanto invadente che Saverio La Ruina non sceglie di guardare ognuna delle protagoniste dall’esterno, come fosse il narratore onnisciente di un romanzo ottocentesco, ma diventa lui stesso ognuna di loro esprimendosi con la loro voce, con le loro sensazioni, con le loro forze e debolezze. Una immedesimazione che parte dalla scrittura, per tutti e tre i testi, e che diventa totale quando l’artista si presenta davanti al pubblico su di una sedia, unico elemento scenico, indossando gli abiti e le anime delle protagoniste, come in Dissonorata e la Borto.
Scanditi da un abile gioco di luci, che definiscono cesure sia temporali sia emotive, hanno quindi inizio i processi alle vittime in un ribaltamento quasi surreale dei ruoli. Non importa che a giudicare siano il pubblico, il proprio fidanzato o addirittura Gesù con gli Apostoli: in ogni caso sul banco degli imputati sono finite le donne stesse. Sono loro che ogni volta su una sedia sono chiamate a raccontare, a giustificare, ad ammettere delle verità che, spontanee o estorte, non possono influenzare il giudizio finale. La condanna è già stata scritta e talvolta è anche già stata eseguita. E se nella Calabria di circa un secolo fa erano il contesto sociale, l’ignoranza e un’ingiusta legge a condannare le vittime, neanche l’emancipazione e la modernità hanno consentito alle donne di sfuggire all’inesorabile destino. E’ infatti in un perfetto italiano ed in un’odierna metropoli che la protagonista di Polvere si trova ad esprimersi e a crescere un rapporto in cui un fidanzato la giudica per ogni singolo gesto, ogni singolo movimento, ogni singola espressione del viso in una visione di lei fatta solo di particolari e mai capace di diventare una visione d’insieme. E’ stata superata la visione della donna intesa solo per il ruolo che ricopre di moglie o di madre, come molte attrici del cinema neorealista italiano ce l’hanno egregiamente mostrata, ma al pari della tradizione neorealista si percepisce costantemente la fragilità del loro mondo che viaggia costantemente al limite di un precipizio dove basta un soffio per crollare nel baratro. Un destino implacabile per queste protagoniste finché l’uomo non smetterà di interessarsi solo ai loro pezzi e non alle loro personalità, complete e complesse. In questo senso nulla è cambiato e il meccanismo che si instaura è sempre lo stesso: una spirale di violenza, fisica o psicologica che sia, atta ad annientare la dignità della persona attraverso il suo isolamento e il suo estraniamento dalla società. Qualora la donna cerchi di ribellarsi, lei e solo lei resta la vittima perché all’uomo basta pavidamente sapere che “dopo si fa l’amore e passa tutto”.
Saverio La Ruina, in questo complesso processo di analisi, non sbaglia un colpo a partire dalla gestione del corpo: nessun movimento e nessuna espressione risultano mai fuori posto anche laddove la tentazione di cedere alla retorica e al sentimentalismo si fa pressante. Il linguaggio stesso, significativo nella sua caratterizzazione territoriale inequivocabile, è tanto importante nella forma quanto talvolta si fa quasi superfluo nel contenuto. Bastano infatti gli sguardi, le movenze delle mani e il tono della voce a squarciare il velo dell’indifferenza per assistere alla cruda realtà dei fatti, ieri come oggi. Il tutto accompagnato sapientemente dai suoni e dalle melodie che, per i primi due spettacoli, sono state riprodotte dal vivo dal musicista Gianfranco De Franco, abile nell’utilizzo di vari strumenti a fiato.
Mai nulla nel trittico a cui abbiamo assistito è apparso stonato ed evidente è il lavoro di cura e affinamento che hanno preceduto la scrittura di ognuno dei tre testi, a partire dall’esperienza con i centri antiviolenza per raccogliere testimonianze e confessioni.
La drammaturgia impietosamente vera di Saverio La Ruina diventa pertanto un’autentica forma di Verismo contemporaneo: l’inesorabilità degli accadimenti travolge gli esseri umani che diventano spettatori e vittime degli stessi, come nelle pagine di Verga oltre un secolo fa, ed a pagarne le conseguenze sono sempre le donne a tal punto da ritenere che la parola aborto non possa che essere femminile. E’ infatti una violenza di una donna contro una donna, in una sorta di lotta intestina tutta interna al mondo femminile (è la donna che si sottopone alla pratica e la donna che clandestinamente interviene sul feto), ma provocata comunque dall’uomo carnefice. Tale visione giunge ad essere ancora più verghiana quando la modernità e l’emancipazione, che dovrebbe rendere la donna artefice del proprio destino, diviene invece foriera di subduzione morale e sociale. Ieri come oggi, a travolgere mogli, madri e tutto il genere femminile sono le convenzioni sociali e l’onore, secondo primitive leggi dettate dalla debolezza dell’uomo e mai davvero superate. Leggi per le quali non puoi restare incinta fuori dal matrimonio, sperando di essere perdonata di una colpa non tua, e nemmeno uscire in una notte d’estate solo con un vestitino per fumare una sigaretta, sperando di non essere violentata.
In questo lungo percorso, compiuto quasi completamente in solitaria, spicca, oltre alle suggestioni delle musiche di De Franco, l’interpretazione sommessa ed efficace di Cecilia Foti in Polvere. La sua insegnante, piena di amici e di vitalità, si inaridisce lentamente accompagnata da movimenti sempre più rallentati e da un tono di voce sempre più cantilenante ed estenuato. Anche in questo caso una prestazione fatta di una gestualità attenta, che non sfiora mai la caricatura, nel rispetto del profondo dissidio interiore che la protagonista sta vivendo e subendo. Proprio per questo abbiamo notato (ed apprezzato) la tenerezza affettuosa con cui Saverio La Ruina ha accarezzato la mano dell’attrice al momento del saluto finale, quasi a voler chiedere scusa per il genere maschile che lui rappresenta nello spettacolo.
Chiunque possa pensare che quello proposto al Magnolfi sia un trittico riservato ad un pubblico esclusivamente femminile, compie un grosso sbaglio. Saverio La Ruina, infatti, sfrutta le storie di tre donne, eroine a loro modo, per smascherare quanto ancora manca all’evoluzione del pensiero maschile per poter raggiungere quello stesso livello di forza e dignità. Se le spettatrici escono dalla sala con la rabbia dell’ingiustizia che sono storicamente costrette a subire, ogni spettatore ne esce denudato, impoverito di tante certezze e arricchito di indignazione verso il proprio essere tanto da vergognarsi a guardare negli occhi le donne alla riaccensione delle luci in platea. Ogni emozione ed ogni sensazione instillano un desiderio di rivalsa e di cambiamento che rendono il teatro di Saverio La Ruina un potente mezzo di introspezione personale e collettiva, fine ultimo di quello che noi intendiamo il Teatro.
Info:
DISSONORATA Un delitto d’onore in Calabria
di e con Saverio La Ruina
musiche dal vivo Gianfranco De Franco
collaborazione alla regia e contributo alla drammaturgia Monica De Simone
luci Dario De Luca
organizzazione e distribuzione Settimio Pisano
produzione Scena Verticale
– Premio UBU 2007 “Migliore attore italiano” e “Migliore testo italiano”
– Premio Hystrio alla Drammaturgia 2010
– Premio ETI – Gli Olimpici del Teatro 2007 – Nomination “Migliore interprete di monologo”
– Premio Ugo Betti per la drammaturgia 2008 – “Segnalazione speciale”
– Premio G. Matteotti 2007 – “Segnalazione della commissione”
LA BORTO
di e con Saverio La Ruina
musiche composte ed eseguite dal vivo Gianfranco De Franco
contributo alla drammaturgia Monica De Simone
disegno luci Dario De Luca
organizzazione e distribuzione Settimio Pisano
produzione Scena Verticale
– Premio UBU 2010 Migliore testo italiano
– Nomination Premio UBU 2010 Migliore attore
– Premio Hystrio alla Drammaturgia 2010
– Testo selezionato per il progetto Face à Face 2010
POLVERE Dialogo tra uomo e donna
di Saverio La Ruina
con Saverio La Ruina e Cecilia Foti
musiche originali Gianfranco De Franco
contributo alla drammaturgia Jo Lattari
contributo alla messinscena Dario De Luca
aiuto regia Cecilia Foti
disegno luci Dario De Luca
audio e luci Mario Giordano
realizzazione quadro Ivan Donato
organizzazione e distribuzione Settimio Pisano
produzione Scena Verticale
con il sostegno di Mibact, Regione Calabria, Comune di Castrovillari
si ringrazia il White Dove di Genova
– Premio Lo Straniero 2015
– Premio Enriquez 2015 alla drammaturgia
– Premio Enriquez 2015 Miglior Attore
– Premio Annibale Ruccello 2015 alla drammaturgia
Teatro Magnolfi, Prato
16-17-18 febbraio 2018