Fino a domenica 18 dicembre, in scena al teatro Lo Spazio, DIMENTICANDO L'IMPERDONABILE, adattamento teatrale e registico di Antonella Granata del testo omonimo dell’autrice tedesca Ulrike Pusch.
Lo spettacolo, nelle intenzioni del testo e della regia, vorrebbe parlarci di resilienza, della straordinaria capacità di sopravvivenza di Louise. La protagonista è raddoppiata in due corpi e in due spazi temporali: un presente che non è più il nostro presente, in cui incede incerta e instabile nelle sue vesti borghesi Paola Bellisari, e un passato, sia suo che nostro, quello che vede Karen Fantasia deportata in un lager nazista.
Ariana, antinazista ribelle, moglie di un ebreo, trova nella sua arte, quella del disegno, la possibilità di sfuggire all’alienazione e di superare uno stupro, l’uccisione del marito, il parto e la morte della figlia che ha in grembo, impressionando su carta i volti delle compagne deportate.
L’inedito spunto creativo da cui trae origine prima il romanzo dell’autrice tedesca Ulrike Pusch, poi il piano registico di Antonella Granata, finisce per essere unicamente pretesto d’avvio d’un’azione scenica che mostra l’olocausto attraversando segni, immagini e simboli assolutamente stereotipati, clichés. Non c’è resilienza.
La regia vuole costruire una drammaturgia metalinguistica: danza, recitazione, visual art, un’acustica che intreccia musica, voci fuori campo preregistrate e non, audio storici etc.., ma riesce solo a giustapporre i linguaggi senza creare relazioni.
Molto carente da un punto di vista recitativo, emerge con forza un’eccezione, Francesco Sciacca, migliore in scena, in un ruolo ambiguo e indefinito, forse presenza narrante, forse camaleontica, che infine alludendo ad una possibile ma incerta identificazione, delude e stizzisce il pubblico.
La parola, nell’adattamento estremamente facile, che arriva stonata all’ingenua metafora delle tre scimmiette in chiosa ad un climax tragico, è assolutamente superflua. I corpi danzanti invece, riescono a raccontare la vicenda con più efficacia e da soli bastano a conseguire gli scopi annunciati nella presentazione dello spettacolo. Degno di nota il passo a due che coinvolge l’SS-Stefania Biffani e Louise-Karen Fantasia.
Lo spazio scenico del teatro, due ambienti sopraelevati comunicanti che si toccano creando un angolo ottuso, è abitato da diversi oggetti, alcuni di forte valenza simbolica, che di certo suggestionano l’occhio dello spettatore. Prima dell’avvio dello spettacolo li si scorgono nella penombra di cui il palco è avvolto. Nel fondo, scuro, si distingue l’elemento più potente: un pianoforte. Essendo questo uno strumento, trattiene nella sua stessa ragion d’essere, ragion d’esistere sul palco almeno, l’energia d’un azione in potenza, al pari della celebre pistola di Cechov. Nel corso dello spettacolo, il piano non solo non viene mai suonato, ma addirittura viene completamente ignorato dagli attori tanto da far pensare che appartenga all’arredamento del teatro e che esuli dal progetto scenografico. La sua potenza viene sottovalutata dalla regia che lo lascia esposto ignorando le aspettative che la vista di un simile strumento crea nell’osservatore più attento. Con la stessa superficialità viene manipolata dagli attori una radio d’epoca. Nel momento della sua accensione si scopre che non viene usata come fonte sonora. Si sovrappone al tocco della mano una traccia audio che non solo parte fuori sync col movimento ma le cui fonti sonore sono multiple e dislocate in tre punti diversi dello spazio, riducendo di nuovo uno strumento a mero décor.
Il merito maggiore va sicuramente a Piero Pizzul per le sue formidabili scelte musicali che variano da Korke, gruppo polacco contemporaneo di ispirazione yiddish-klezmer, a Armand Amar, compositore israeliano, francese di origini marocchine, i cui brani creano un impeccabile contrappunto sonoro a delle scene chiave: Gerstein’s Theme – deportazione, La separation – parto e Cum dederit-stupro, alle songs nazional popolari tedesche degli anni del nazismo nella voce di Zarah Leander.
Ulrike Pusch, artista bavarese che ha già prestato le sue parole all’adattamento e alla regia di Antonella Granata per Frammenti di Lisa (2016), andato in scena al teatro Lo spazio, ci presenta con questo soggetto l’olocausto attraverso un cambio radicale di prospettiva: quello di una giovane donna, artista, tedesca, di razza pura che si trova a subire per amore e per la sua libertà d’espressione le conseguenze del totalitarismo nazista. Essendo tedesca anche l’autrice, lo sguardo che coglie la vicenda si trova in un’ulteriore postazione specifica e particolarissima, inedita.
In un momento storico in cui si rialzano muri, si ricreano segregazioni razziali e culturali, in cui il terrorismo rischia di far scivolare tutto l’occidente nell’isteria delle discriminazioni, riscoprire l’olocausto e tutte le circostanze che l’ha reso possibile diventa una necessità primaria al fine di risvegliare le coscienze. Purtroppo la realizzazione concreta dello spettacolo getta via quest’opportunità proponendo quelle immagini e quegli spunti che, entrati da tempo nella macchina fagocitante dei mass-media, ci ha resi impermeabili empaticamente, tanto da farci percepire quella tragedia come mero fatto storico, distante. La messa in scena non ci avvicina. Le coscienze rimangono assopite.
Info:
Dal 13/12/2016 al 18/12/2016 – TEATRO RM
DIMENTICANDO L'IMPERDONABILE
Luogo : Teatro Lo Spazio,Via Locri, 42/44
BIGLIETTO RIDOTTO (9 euro + 3 euro tessera) per chi PRENOTA COME LETTORE DI GUFETTO
tel.06/77076486
dal martedì al sabato ore 20.30;domenica ore 17.00
Scritto da Ulrike Pusch
Tratto da una storia vera
Adattamento Teatrale e Regia
Antonella Granata
Movimenti coreografici: Manuel Paruccini
Musica e video: Piero Pizzul
Con
Francesco Sciacca, Manuel Paruccini, Paola Bellisari, Luca di Nicolantonio, Karen Fantasia, Stefania Biffani,Antonella Rebecchi, Viola Centi,Francesco Ciani, Kamila Bigos, Giulia Ceccarelli e Martina Paruccini, Emma Bianchi e Annarita Chierici