DIE PANNE @ Caracol. La solitudine del senso di colpa e della commedia umana

In scena al Caracol Contemporanea Casa del Popolo di Pisa, DIE PANNE di e con Valentina Bischi e con  Francesca Sardella e DJ Spif; la pièce è tratta dal romanzo breve “Die Panne” di Friedrich Dürrenmatt del 1956.

Da subito si avverte il senso d’incertezza che permane per tutto lo spettacolo. Le luci fragili delle candele rischiarano di volta in vola le porzioni di realtà che vivono per poi subito scomparire per dare spazio ad altro. Si vive il paradosso della realtà. Il paradosso di una giustizia carnevalesca, bislacca e ubriaca che sembra non fare male, ma che invece fa male davvero perché realizza quel taglio interiore che fa emergere gli aspetti molteplici della realtà, le visioni soggettive, gli stati emotivi. La pièce ha la forza moltiplicatrice del labirinto e della maschera che l’interprete indossa, che diventa sorgente di conoscenza e realizzazione della propria inconoscibile immagine. La pièce è nata all’interno di una residenza del Teatro Rossi Aperto di Pisa e quindi in mezzo al pubblico che l’ha fatta circolare. Da 3 anni il progetto circola in vari spazi off e siamo alla cinquantesima replica. Un progetto nato in mezzo alla gente ed è la gente stessa che fa la distribuzione. La maschera, di grande impatto, è creazione del mascheraio Fernando di Pisa, celebre in tutto il mondo.

La maschera con la sua potenza moltiplicatrice ti mette davanti a chi sei senza infingimenti. La maschera ti toglie la maschera e rimani solo davanti al disorientamento implacabile. Ci sono 4 vecchi: un giudice, un pubblico ministero, un avvocato difensore, un boia. Tutti in pensione che mettono in scena un processo durante un’allegra e sfrenata bisboccia con un ospite atteso e inaspettato che s’immedesimerà nel suo ruolo di imputato.
Tutto diventa caricatura: caricatura dei giudici e dell’imputato. Un tavolo per un banchetto, candele, sedie vuote: manca qualcuno, si attende l’ospite. Un fantasma, una segretaria, un’istitutrice, qualcuno insomma che ne sa più di tutti, si aggira per la sala, portando una maledizione sulla festa con il suo colletto bianco immacolato, nell’interpretazione di Francesca Sardella, asciutta e  coerente con la messa in scena. Arrivano il padrone di casa e gli invitati, manca solo l’ospite d’onore. Una figura cammina all’indietro, nera, con guanti bianchi e maschera: il diavolo, colui che divide, che analizza, che separa la realtà rendendola multiforme e inafferrabile, sfuggente.
Valentina Bischi riesce con pochi tratti e gestualità a rendere tutti i diversi personaggi con una delicatezza e compostezza da direttrice d’orchestra. Con la gestualità raffinata riesce a differenziare tutti i personaggi, a dare il senso del processo e della gozzoviglia carnevalesca.
Le mani suonano il piano e danno il ritmo alla parola e ai personaggi in un linguaggio frammentato e ubriaco della crapula. Le mani inguantate parlano e il volto mascherato la rende bislacca, marionetta dal naso adunco e mefistofelico. Le gambe e le mani fanno i personaggi e l’interprete ammanta tutto di una delicata energia che apre all’incubo. Il banchetto da crapula si trasforma ben presto in una veglia funebre, in un incubo per il Sig. Traps, rappresentante della ditta Efestion, che ricorda la caverna, l’antro della divinità dominatrice del fuoco che forgia e distrugge, e ospite-imputato tanto atteso.

La morte, figura silente, si aggira testimone dell’apertura del paradosso e del gioco che minaccia di diventare realtà nella trasposizione di un gioco bislacco. Lo spettatore avverte sempre su di sé la minaccia di una condanna che può essere eseguita. La bellezza del gioco teatrale è il rischio di farsi realtà.

Tutto si trasforma nel suo opposto: un impiegato diventa un mostro assassino, un banchetto di vini pregiati e prelibatezze culinarie diventa un processo capitale, dei vecchi ubriachi e sfrenati giudici e avvocati. Il sig. Traps, l’impiegato-imputato, ha un nume malvagio che lo possiede e le scarpe risuonano di un ticchettio che suona la sua ora estrema, terminale. Ci vuole un delitto per avere un colpevole e tutto viene scandagliato nella mente, nella vita, nei ricordi dell’imputato per far emergere un probabile/non probabile delitto, perché senza delitto non vi può essere colpevole.
L’automobile, la Studebaker rossa, che il sig. Traps si è potuto comprare grazie alla promozione a seguito della morte improvvisa del suo superiore assume un ruolo centrale, la macchina tanto desiderata e mitica lo conduce al processo e alla rivelazione grazie al suo ritrovarsi in panne.
La macchina lo mostra ancora più mediocre e avido e grazie alla panne l’automobile crea quel taglio nella realtà inamidata del rappresentante da cui fuoriesce il contraddittorio, tutto ciò che si vuole nascondere di sé e che non si può arginare.

La maschera da’ un’amplificazione di potenza dell’incertezza e del disorientamento in un contesto in cui non c’è univocità nelle relazioni, nelle azioni, nei pensieri. Grottesca è tutta la situazione del processo condotto al di fuori da ogni regola, al servizio di una giustizia strampalata e seria allo stesso tempo che ribadisce il trionfo della realtà multiforme, che varia sempre, di luce e ombra come nella messa in scena.
I vecchi pur sguaiati e bislacchi dell’interpretazione della Bischi mantengono una serietà fuori dal carnevale con la loro giustizia liberata dai vincoli pur nella gozzoviglia che fa paura, che allude continuamente alla morte. Un’interpretazione efficace senza eccessi e si esce dallo spettacolo confusi e senza più certezze. I 4 sono dei balordi, ma mortiferi, perché fino alla fine non si capisce se se il gioco finirà in burla o nella condanna a morte, in cui trova espressione la libertà dell’uomo o la risoluzione narcisistica nella solitudine del suo senso di colpa. Nella conclusione convivono conclusioni contrastanti come la Studebaker tanto desiderata e amata che sarà il mezzo della sua fine.

Proprio dalla coesistenza di tutti questi elementi contrastanti e inconciliabili scaturisce il paradosso che fa vivere costantemente la contraddizione nella pièce. Trasposizione riuscita che ha mantenuto tutti gli aspetti contraddittori dell’originale letterario. La giustizia trova radice nella sua vicinanza con la morte e Traps rimane estraneo al gioco, non vi entra davvero, ma nella sua serietà di efficienza industriale da innocente scava nella sua colpevolezza e nella solitudine connaturata del senso di colpa, e crede di aver trovato la redenzione di una via superficiale in una prospettiva ancora egocentrica e diversamente superficiale.
I suoi atti risultano quindi inutili all’interno del paradosso del carnevale dove ogni asimmetria viene continuamente ribaltata; ma nella sua prospettiva egocentrica Traps non sa cogliere il disordine carnevalesco e paradossale.

 

Info:
DIE PANNE
di Friedrich Dürrenmatt
di e con Valentina Bischi
e con Francesca Sardella e Angelo Lazos, Dj Spif
Foto di Dania Gennai

Caracol Contemporanea Casa del Popolo, Pisa
12 dicembre 2019

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF