Tra i vicoli di Roma si respira un refolo parigino. L’11 novembre è andato in scena la Belle Époque nel Teatro dove ormai mi sento o sono un habitué (qui il termine francese è eloquente e d’obbligo più che mai). Il Teatro Sophia mi ospita e accoglie con gentilezza. La storia è tratta dal romanzo di Octave Mirabeau “Journal d’un femme de chambre”, già portato al cinema anche da Louis Buñuel con Jeanne Moreau nel ruolo della protagonista. Diario licenzioso di una cameriera di Mario Moretti, racconta quel periodo tanto contradditorio, zuppo di vita della Ville Lumière d’Europa. Dagli Champs-Elysées, all’ Arc de triomphe de l’Étoile, sino ai vicoli di Sain German, fra locali e caffè: troviamo scintillanti luminarie tutto l’anno. La città, dunque, scintilla di Vita e la pièce con Giovanna Lombardi e la regia di Gianni De Feo fa altra luce su quello sfarzo ma soprattutto sulle ombre della opulenta borghesia mai sazia. Dai riflessi e fasci di luce del testo, dalla recitazione e dalla regia: emerge quel gretto patetismo della élite francese del primo novecento, che si celava dietro protocolli monotoni. La pièce buca quella paratia e ci svela con grazia e severità la verità che arriva sino a quel vicolo di via dei Coronari con intatta vivacità. Lo spettacolo ha replicato sino al 13 dello stesso mese.

Diario licenzioso di una cameriera, leggera rivoluzione
Célestine è la protagonista di un monologo anzi di una lunga confessione e ha la voce della Lombardi (una vecchia e gradita conoscenza di Gufetto). La pièce mi lancia con la forza di una legnosa catapulta a più di un secolo fa. Un giovane Novecento si è fatto vivo tra i curiosi abitanti del mondo e già si legge nei calendari. Cifra tonda e voglia ci cambiamento. Persino l’Arte fa sentire flebili e nuovi vagiti. L’impressionismo più razionale cede il passo all’arte Espressionista. C’è furore e voglia di cambiamento. C’è la Belle Époque che ha l’odore pungente della trasgressione a buon mercato. Ma le catene che la borghesia deve spezzare sono tante e troppo ferrose e solide: il Cattolicesimo, ad esempio, che da Roma arriva sino a Parigi. Si fa tutto o quasi ma religiosamente… di nascosto. Si gettano ampi e spessi veli sull’ipocrisia di quel periodo che diventa anche quella di oggi. Medesima ipocrisia e simili veli. Célestine serve un buon Liqueur d’anis ai suoi uditori e si confessa. La quarta parete vacilla per un attimo. È quella periferia parigina a venire a Roma o il personaggio ci invita a entrare a casa Lallaire? È ricca Cèlestine, ma di una ricchezza povera: il suo corpo. Diventa la fantasia e ossessione di tanti e poi d’un vecchio feticista tirato a lucido e morbosamente attratto dai suoi stivali rossi come il fuoco. Mi viene in mente l’immagine di un toro attempato dagli appetiti sessuali insaziabili. Poi c’è un’anziana donna che magari la desidera e nuda le mostra senza pudore e pudicizia le generose e strabordanti forme cadenti al basso per quella maledetta forza di gravità. Rotondità altrimenti contenute dai rigidi corpetti del periodo. Corpetti stetti come catene ma che ingannavano la vista.
Diario licenzioso di una cameriera: soprusi alla francese
La ricchezza povera di Celestine è in realtà la cronaca dei soprusi che la borghesia potentata dell’epoca usava nei riguardi dei poveri e deboli. Allora Celestine per bocca della Lombardi capisce che la sua avvenenza può divenire un’arma. Si muove all’inizio con indolenza in quel mondo clandestino. L’indolenza, grazie all’interpretazione e regia, mi arriva e tramuta in aponia epicurea. Si diverte poi. L’attrice fluttua sul palco a suon di dolci melodie francesi. Sembra aver perduto persino la sua anima. Ha solo urgenza di vivere e riscattare la sua misera condizione. Ma i conti sono solo in attesa d’incassare la loro tassa. Célestine si innamora. È ubriaca d’amore. Ma i suoi baci, quelli che riceve, hanno il sapore aspro dell’olio di laudano e della tubercolosi di lui.

L’estate è entrata nelle stanze della pièce: Diario licenzioso di una cameriera
L’estate è entrata di corsa nella storia e sembra davvero sentirla. L’avverto nella voce adesso briosa di Giovanna Lombardi. Nella musica. Poi l’attrice si muove ed è ferro contro l’incudine. Sono gambe nervose che si avvitano col racconto: le discese e salite di Moretti. Ci sono ancora parole che si infilano negli interstizi dell’anima. Un afflato di vita soffia dentro l’esistenza di Cèlestine che si incaponisce di vita. Quel tumulto di carne sensuale lo tocco e lo sento salire nitido sino alle poltrone grazie all’interpretazione che Lombardi fa con fiati e corpo. De Feo (anche lui vecchia conoscenza del giornale) pesca quel refolo di passione dal testo del drammaturgo, di Mario, lo instilla nell’interprete e mi torna integro e rivitalizzato. C’è il diavolo che la possiede che entra ed esce dal suo corpo parato di rosso. Nel quadro finale che ancora suona di graffiti: si consuma la lotta tra la ladra povera e l’assassino crudele e mi sembrano la dicotomia di quella turbolenta Époque…
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Diario licenzioso di una cameriera
di Mario Moretti
con Giovanna Lombardi
regia di Gianni De Feo
Teatrosophia dall’11 al 13 novembre