Il Teatro Trastevere continua a offrire come un caldo forno di borgo, deliziose pietanze artistiche. Il 30 aprile ha debuttato “Di tanto amore” da ÄŒechov nell'adattamento e riscrittura di Giancarlo Moretti che ne firma anche la regia. In scena: Simone Bobibi, Giovanna Cappuccio, Ines Le Breton, Ornella Lorenzano, Alessio Maria Maffei, Natalia Simonova. Il sapore è allettante.
Il Gabbiano è senza dubbio uno dei lavori più rappresentati dopo quella prima volta nel tardissimo '800 ed è anche uno dei più controversi o chiacchierati del medico drammaturgo russo: basti pensare che alla prima il pubblico rispose con fischi e insulti così forti da traumatizzare l'attrice protagonista e toglierle la voce. Dovette arrivare il genio di Stanislavskij e la cultura immensa di NemiroviÄ-DanÄenko (soci fondatori del Teatro d'Arte di Mosca) per decretarne il successo e consacrarlo come opera immensa del Teatro e cultura tutta.
In questa riscrittura ardita, Masha dopo le vicende accadute nel Gabbiano, è stata internata in una struttura psichiatrica a causa la morte del suo amato. Ha un baule dal quale estrae gli abiti dei personaggi. Lo fa come un rito quando arriva sera. Quegli abiti prendono vita e si gonfiano dei personaggi. Parlano. Si muovono. Si appasionano.
Moretti, artista colto e studioso, ha impiegato parecchi anni per partorire questo lavoro che opera tagli chirurgici di scene e ne innesta di nuove senza che questo cagioni rigetto fisiologico, anzi c'è una fusione armonica tra la versione primigenia e questa che vediamo. Sono come nuove parti e diventano un altro corpo. Almeno così sembra dalle poltrone. Qualcuno ha parlato di modernità, ma noi non ne avvertiamo nessuna. Ma non è un limite. Anzi.
I mobili sono dell'epoca, i costumi anche, la parola quella dell'autore russo: dunque sono i drammi degli esseri umani qui personaggi a tornare attuali e intramontabili. C'è un ripasso della storia universale che cambia e poi torna uguale: quella dell'uomo. C'è un vortice di passioni non corrisposte come nel Gabbiano, una catena di legami malati e veri, c'è il Teatro nel Teatro, c'è il percettibile substrato dell'arte, la follia dei personaggi legati nel loro intimo conflitto, il rapporto insano tra una madre e il figlio, l'illusione e la relativa disillusione con il suo puntuale recapito, e molto altro già voluto da ÄŒechov. Si aggiunge e non si toglie. La pièce di Moretti si muove a ritmo alternato tra passione di corpi e d'arte: qui si replica la voglia di Konstantin (qui Kostja) drammaturgo, di inventare nuove forme di Teatro e di contro quella di Trigorin e Irina di conservarlo nella forma classica: ogni partito ha i suoi sostenitori in antitesi nell'arena polverosa di legno. Naturalmente c'è il Gabbiano, animale alato: simbolo di libertà d'espressione artistica.
La recitazione è fluida. Le luci sono ben dosate proprio come le musiche. Si perde qualche volta il filo: il testo a nostro parere andava asciugato, forse questo lo avrebbe reso più moderno se questo era il desiderio. Qualche stereotipo tuttavia necessario: lo scrittore sempre armato di taccuino per saccheggiare vita da tradurre in versi. Quel vestito nerissimo di Masha che ne denuncia da subito l'umore.
Commedia riuscita.
Di tanto amore di Giancarlo Moretti, libero adattamento e riscrittura de Il gabbiano di Anton ÄŒechov
regia di Giancarlo Moretti
scene e costumi: Paola Salomon
interpreti: Simone Bobini, Giovanna Cappuccio, Ines Le Breton, Ornella Lorenzano, Alessio Maria Maffei, Natalia Simonova;
produzione: Extravagarte – in coproduzione con il Teatro Trastevere