DELITTO E CASTIGO @ Arena del Sole: una messa in scena anticonvenzionale e antiretorica

Nuova recensione della redazione bolognese di Gufetto: siamo tornati all'Arena del Sole per raccontarvi DELITTO E CASTIGO, andato in scena fino al 28 maggio tratto da Fëdor Dostoevskij, un adattamento e regia di Konstantin Bogomolov. Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione.

Un Delitto senza il Castigo in questa versione irriverente, provocatoria, spesso impietosa e grottesca, anticonvenzionale fino in fondo e senza compromessi nel continuo dialogo tra ieri e oggi.
Non c’è pentimento, non c’è pietà, ma una visione cinica e disillusa della storia narrata dal romanziere russo, lo spettacolo prende fin da subito una direzione e piaccia o no continua su quella strada. Qui non c’è nessun protagonista che si misura con sensi di colpa e struggimento, c’è un ragazzo nero (fintamente nero, l’attore è truccato e tutto è già palese), un immigrato, che non ha voglia di fare, che non brilla per le sue idee e che si lascia portare dagli eventi così, alla come viene viene, vuole derubare la sua padrona di casa e la deruba… il resto va come deve andare, questo Rodion vive alla giornata e prova solo a cavarsela come può. Del romanzo russo sono rimaste l’impalcatura e le parole che vengono proiettate nella realtà di oggi con un’ironia disarmante in un continuo gioco tra presente e passato.

Le parole sono quelle di Dostoevskij se non in rare battute aggiunte in punti strategici, il testo è stato tagliato, ma non riadattato, a riprova del fatto, per chi ancora avesse dubbi, che il teatro è il luogo del come: non sono solo le parole ad essere importanti, ma è soprattutto come vengono dette ad esserlo, tutto può diventare un’idea, un’immaginario, una visione, ma anche il suo opposto, il suo esatto contrario. Il significato dipende da come quelle stesse parole vengono pronunciate, quali intenzioni muovono quei suoni. Il giovane regista moscovita Kostantin Bogomolov (classe 1975) sfida il pubblico, lo spiazza, la storia chi più chi meno nel dettaglio la conosciamo in molti, probabilmente tutti i presenti a teatro quella sera, ma eravamo continuamente messi nella condizione di porci la stessa domanda: e adesso come ci verrà presentato quello che deve ancora accadere? Cosa si sarà inventato?

Tra una danza e un pompino, uno sputo sotto il cuscino di un salotto un po’ anni ’70, non ci si pone nessun problema morale, anche se nella forma molte cose cambiano nella sostanza il mondo è sempre stato uguale a se stesso in fin dei conti e adesso non è proprio il momento di porsi questioni superate, appartenenti alla società di allora, come il senso di colpa e l’espiazione tramite la giusta pena: qui e ora infatti non c’è nessun pentimento. L’approccio non è più quello classico a cui siamo abituati, cioè la scelta indubbiamente più semplice di una messa in scena struggente e che vuole creare empatia portando lo spettatore nel dramma esistenziale di un protagonista sofferente. Assolutamente no, al contrario, la scelta è quella meno facile di una visione anticonvenzionale e antiretorica  senza mezze misure, portata avanti con coerenza fino in fondo, “la paura dell’estetica è la più grande impotenza” dice Raskol’nikov, una chiara dichiarazione di estetica e di intenti.

È tutto ciò che lo spettatore medio non si aspetta, sorprendente e chiassoso, peccato per il calo di ritmo centrale, anch’esso inaspettato dopo un inizio così potente, una perdita di ritmo che fa perdere frizzantezza e che non torna più al picco iniziale. L’ambientazione è sia coerente con le parole e il contesto del romanzo sia coi nostri giorni, la sfida è proprio quella del riuscire a fare dialogare due realtà, quella passata e quella di adesso. Tutto si svolge in Russia, i nomi sono russi, ma abbiamo una scena con gli occhi amplificati delle TV di oggi, realizzata nel laboratorio di Emilia Romagna Teatro Fondazione, abbiamo la Nutella (e sulla Nutella ci sarebbe da scriverne a parte), abiti e shopper di marche note, ulteriori agganci per la riflessione sulla società contemporanea.

Toccante e profondo il monologo di Marco Cacciola, un’energetica Anna Amadori, nel ruolo della madre del protagonista, una Diana HÓ§bel tutta d’un pezzo e un’efficace interpretazione di Renata Palminiello in un ruolo maschile. Un giovane attore protagonista che dà vita a un Raskol’nikov che parla al limite del cantato, quasi rappando, per confutare o confermare lo stereotipo che “i neri hanno il ritmo nel sangue”, ma lui sappiamo essere un nero un po’ vero nel patto del teatro e un po’ palesemente finto (esilarante la ditata in faccia per smascherarlo dal fondotinta!); e così tanti altri stereotipi vengono piano piano sia confermati che distrutti. Leonardo Lidi è sul pezzo di una giovinezza schietta e veritiera, un Rodja di ieri dentro un Rodja di oggi, che vive così, sottovalutando un po’ tutto, senza farsi troppi problemi, ma mostrando anche, solo quando vuole, una consapevolezza disarmante.

Raramente chi vi scrive, ha assistito a uno spettacolo che divide le platee come questo: c’era chi bisbigliava che il delitto era stato trattare un classico in quel modo, per di più un classico russo, e che il castigo era stato il nostro; c’era chi è rimasto colpito senza per forza sapere in che modo (io stessa a volte); c’era chi ha apprezzato l’osare senza paura ridendo di gusto (di nuovo io); c’era anche chi si è ritrovato confuso trovando il tutto senza senso; c’era chi si sentiva stupido perché non capiva; e c’era anche chi ha detto che era tutto un sacrilegio nei confronti di un testo tradito… ma la fedeltà al testo c’è, se Dostoevskij ne apprezzerebbe l’ironia non ci è dato sapere.

È uno spettacolo che sconvolge e che graffia con le unghie, che non lascia indifferenti e che, nel bene e nel male, a differenza del noioso teatro di maniera che ci viene troppo spesso proposto sa evidentemente toccare il pubblico nei punti giusti e, al di là delle provocazioni e delle apparenze dissacranti, sa davvero raccontare qualcosa e far riflettere con onestà.
Da vedere, anche solo per vedere uno spettacolo che ha il coraggio di essere diverso e capire l’effetto che fa su di sé, che tipo di spettatore e di persona crediamo di essere e siamo, quanto siamo liberi e quanto siamo moralisti. Riflettiamoci cogliendo questi spunti, contribuiamo a completare lo spettacolo, è questo che il regista ci chiede. A ognuno i suoi delitti e i suoi castighi.

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