Al Piccolo Bellini di Napoli, il 7 aprile 2016, è andato in scena DaAMARU', spettacolo di danza e musica dal vivo a cura di Maria Grazia Sarandrea.
In scena, ad apertura di sipario, un musicista, seduto su uno sgabellino e vestito con abiti esotici, circondato da strumenti musicali diversi per forme, colori e grandezze, che il pubblico in sala per lo più non conosce. Il musicista inaugura il gioco scenico suonandone alcuni, ed intreccia quei suoni inediti con la grana della sua voce suggestiva, in flussi sonori regolati da una loop station.
In questo ambiente sonoro, si aprono le danze. Due corpi di donna entrano in scena e incrociano i loro movimenti coreografici, portando una serie di oggetti che suggestionano la visione del pubblico, che condizionano il movimento e coinvolgono lo spettatore a livello visivo ma anche olfattivo. Dal proscenio, l'incenso pervade la sala: è un diaframma che si vorrebbe ipnotico tra i corpi in platea e quelli sul palco.
La coreografia, come spiega la coreografa, regista e danzatrice Maria Grazia Sarandrea, "rivisita in chiave moderna antiche danze religiose, come la danza di offerta pendet indonesiana; la danza del pavone, legata ai riti della fertilità, eseguita con le maschere originali indiane del Chhau di Seraikella; la danza del serpente che evoca l'energia pura; la danza con i ventagli, simbolo del volo dell'anima immortale".
La performance si conclude con un gesto eloquente: il lancio dei fiori sul pubblico, che esprime il senso ultimo del lavoro. E' un rito in forma di spettacolo che, attraverso il riferimento all'oriente dalla sacralità e dalla spiritualità pervasive, non intende intrattenere lo spettatore, bensì omaggiare la divinità che è in lui, come nel saluto indiano namastè, che vuol dire appunto "mi inchino a te".
Un intento nobilissimo, ma quanto realizzato nello spettacolo?
Il legame tra teatro e rito non è nuovo al teatro contemporaneo, i padri riformatori del Novecento lo hanno richiamato con forza, una tradizione che da Artaud passa per Grotowski, Peter Brook e Eugenio Barba, i quali hanno fatto anche ampio riferimento alle arti sceniche orientali per elaborare i loro linguaggi.
Ora, è proprio guardandoDAMARU' da quest'ottica retrospettiva che lo spettacolo appare più debole, perchè il movimento coreogafico, pur ben eseguito dalle due danzatrici, manca di quel rigore crudele e di quella densità energetica che questi maestri ci hanno detto essere indispensabile al movimento scenico e all'atto rituale. Gli sguardi rivolti alla sala di Emanuela Mastandrea Discenza sono al limite dell'ammiccante e, insieme a un trucco troppo marcato, ne traducono un atteggiamento quasi televisivo, molto lontano dalla generosità del dono performativo o dalla trance liturgica. Le maschere e gli oggetti sortiscono effetti visivi interessanti ma non riescono a ipnotizzarci, come nelle migliori tradizioni teatrali orientali. Il movimento coreografico che ne risulta è allusione solo superficiale alla gestualità di quei riti, privati tra l'altro dei loro significati contestuali e simbolici.
La parte migliore della performance, quella che meglio riesce a esprimere l'intento votivo, resta la musica polistrumentale prodotta da Oscar Bonelli. Ma anche in questo caso, una presenza scenica che avrebbe potuto essere densa, perde energia quando il movimento per rimettere a posto uno strumento ne causa la caduta involontaria, e se la cosa avviene più di tre volte nel corso di una sola serata, non è più perdonabile.
Per sortire "come in una preghiera" gli effetti ambìti da questo spettacolo, ci sarebbero voluti una precisione, un rigore e una generosità nel lavoro, oltre a una maturità spirituale, che evidentemente i suoi animatori non hanno dedicato alla sua preparazione.
INFO
Damarù – Piccolo Bellini di Napoli
7 aprile 2016
Damarù
regia e coreografia
Maria Grazia Sarandrea
musica dal vivo
Oscar Bonelli
con
Emanuela Mastandrea Discenza, Maria Grazia Sarandrea
produzione
Balletto90