CUTE@Teatro Studio Uno: vedere attraverso la pelle

Lo sguardo dello spettatore attraversa gli archi bianchi fino al fondo della sala: lì è eretto un grande pannello fatto di pezzi di iuta, cuciti con un grosso spago o dilaniati in piccole fessure e lunghe aperture, sigillate da un tessuto fino ed elastico come da una membrana. Ricorda un quadro di Alberto Burri, anche in questa scenografia i materiali quotidiani e da lavoro portano con sé un’idea di usato, di vissuto.

L’inizio dello spettacolo “CUTE”, vincitore del premio Special Off e Nomination Miglior Regia al Roma Fringe Festival 2015 è quest’immagine, che man mano scopriamo essere più tattile che visiva. L’esperienza del vivere la scena sensorialmente viene accompagnata dall’intelligente e curioso uso del suono: Giada Bernardini, narratrice vocale e sonora che accompagna la coreografa e scenografa Lisa Rosamilia, è seduta in un angolo del palco. Strofina un panno ruvido direttamente sul microfono. Siamo immersi in questa ricetta di ingredienti crudi e grezzi quando da una delle fessure emerge cautamente una mano, avvolta nella sua doppia pelle di tessuto trasparente.

Lo spettacolo si articola come un graduale risveglio delle parti di questo corpo che ci è nascosto alla vista: affiorano o irrompono fuori le sue braccia, il viso, le gambe, la schiena. I tagli laterali illuminano le superfici plastiche della danzatrice in un gioco di controluce, creando immagini che richiamano nello spettatore le associazioni più diverse. Pare di assistere alle difficoltà di una creatura già formata a nascere da questo corpo tessile, che pare avere, esattamente come una madre, proprie funzioni fisiologiche: lo vediamo espandersi, stringersi, macchiarsi di rosso evocando il dolore e i segni necessari alla meraviglia della vita; una madre che assorbe in sé anche le caratteristiche della natura, della fertilità della terra, come quando da altre aperture sulla tela vediamo cadere a terra con uno scroscio un fiume di semi dorati. Altre volte, la creatura dall’altra parte del telo si muove sfiorando con le mani il confine della sua dimensione, i contorni morbidi e poco nitidi, la luce lattiginosa: pare di scorgerla muoversi nell’acqua aldilà di una lastra di ghiaccio. A rendere più forte la sensazione di essere separati da un ambiente acquatico sono le vocalizzazioni sorde e metalliche che danno voce alla scena.

Ma probabilmente la nota più forte di CUTE è l’immedesimazione che induce nello spettatore col corpo che è sul palco. Forse per la familiarità dei materiali scenografici, e per il contrasto visibile che c’è tra la sensazione che dà sulla pelle un tessuto simile a un collant femminile e un sacco di iuta, anche chi è rimasto seduto sulle panche del Teatro Studio Uno accompagna la performer nella sua esplorazione sensoriale, e questo diventa ancora più manifesto negli ultimi minuti dello spettacolo: la danzatrice, creatura matura e cieca, esce dal suo mondo prenatale, “partorita” in un lungo canale di tessuto elastico, lottando con le gambe e le braccia, stirando il materiale fino ad emergere come da una placenta, un pezzo alla volta, a questo mondo nuovo.
È proprio qui che ci scorgiamo insieme alla danzatrice destabilizzati, mentre lei osserva in un misto di ansia e curiosità, per la prima volta vedendo il suo corpo attraverso gli occhi, dopo un’ora, o un’esistenza, vissuta vedendo con la propria pelle.

E quando le luci si spengono segnando l’epilogo dello spettacolo, paradossalmente si può avere la curiosa sensazione che il buio possa non essere cecità, e che i nostri occhi siano distribuiti sulla superficie del nostro corpo. Avere coscienza del proprio “stare” al mondo, nel senso più semplice e fisico, è uno sguardo che spesso dimentichiamo, a cui ci riportano attraverso esplorazioni sensoriali ed evocative spettacoli di Danza-Teatro come CUTE.


Note stampa

CUTE
Il corpo porta con sé segni, resti, cicatrici, conseguenti tracce di un passo, un gesto, un’impronta. “Cute” narra del segno tracciato sulla propria pelle, seppur invisibile, di incontri, parole, sensazioni. Primo confine col mondo, la superficie cutanea riveste e protegge, assorbe e rilascia, regola e partecipa, conosce attraverso il tatto, sente e comunica, esprime, respira, custodisce e conserva.
Lo spettacolo nasce dall’idea di creare un quadro vivente che possa trasformarsi in un racconto di immagini e metafore legate alle sensazioni e ai vissuti di una superficie cutanea, confine tra il mondo interiore e la realtà esterna. La struttura scenografica prende spunto da artisti dell’arte povera nell’uso di materiali di riciclo assemblati seguendo un’ispirazione pittorica. La danza si muove in silenziosa comunicazione con il tessuto, in piccoli gesti o inaspettate apparizioni di forme dalla tela, in continuo dialogo di stimolo o risposta con la musica e sonorizzazioni eseguite dal vivo che seguono l’istante attraverso una ricerca improvvisativa e sperimentale.
Sul tessuto di un’enorme tela, appaiono i movimenti interiori, le pieghe della pelle, ferite come solchi, a narrare le trasformazioni, le separazioni e i ricordi, visioni necessarie ad un ciclico ricambio di pelle.

Per saperne di più su…La Compagnia Macros
La Compagnia Matroos lavora da circa dieci anni con un’attenzione rivolta alla contaminazione di generi, dalla danza alla musica, teatro, arti figurative, creazioni scenografiche e installazioni. L’atto performativo è una sinergia simultanea tra danzatrice, musicista e oggetto di scena, che coralmente danno vita e forma agli spettacoli.

Info:
Compagnia Matros
CUTE
Spettacolo di Teatrodanza con musica dal vivo
Premio Special Off Roma Fringe Festival 2015
Ideazione, coreografia e scenografia Lisa Rosamilia
musica e sonorizzazioni Giada Bernardini
tecnico alla scenografia Fabio Sabaino
Luci Pietro Frascaro
Dal 10 al 13 dicembre 2015 | Sala Specchi
Teatro Studio Uno, Via Carlo della Rocca, 6 Roma

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