CONTEMPORANEA FESTIVAL 2021 @Prato – report Gufetto – seconda parte

Dopo il primo Reportage sugli spettacoli di Contemporanea Festival andato in scena fino al 26 settembre 2021 a Prato, cura della Fondazione Teatro Metastasio continuiamo il viaggio nelle arti performative diverse forme performative, dalla danza alla prosa fino alla conferenze-spettacolo, lo sguardo sull’offerta internazionale del teatro contemporaneo è stato ampio in risposta ad un mondo che, nonostante il suo contrasto tra bianchi e neri, nasconde innumerevoli sfumature tutte da indagare per evitarne l’omologazione.

Negli spazi del Teatro Fabbricone e il suo ridotto Fabbrichino, Teatro Magnolfi, ex Cinema Excelsior e SpazioK abbiamo assistito a: L’ultima eredità di/con Oscar de Summa, La fabbrica degli stronzi di Maniaci d’Amore/Kronoteatro, Punk. Kill me please di Foscarini/Lopalco, Walking memories di Elisa Pol e Be Arielle F di Simon Senn. (Seconda parte reportage di Gufetto Firenze. Leggi anche la prima parte)

L’ULTIMA EREDITA’: l’elaborazione del lutto secondo Oscar De Summa

Luci calde rivolte verso il centro che illuminano il palco nero, col suo protagonista, anch’esso scuro. Oscar de Summa parte, senza troppe esitazioni, nel suo racconto che ci accompagnerà per un’ora scarsa. La prende con comodo ed entra in loop: è su un autobus che porta verso il centro di Bologna, si ferma sempre ad un bar sgangherato in cui il caffè non è nemmeno buono; nel frattempo ci racconta anche come Berlino rappresenti la città del futuro, l’ideale a cui tutti si affacciano, ma lui rimane lì a Bologna perché non sa neanche l’inglese. Una narrazione molto comica e suggestiva, quando ad un certo punto, mentre è lì, sull’autobus per il centro, riceve la chiamata di sua madre: il padre sta male, soffre di Alzheimer da anni, ma oramai gli resta poco tempo. E’ da qui che il monologo vero e proprio prende forma. L’attore inizia a riflettere sulla morte, sul fatto che ha sempre deciso di scansarla, forse proprio per questo decide di scendere giù a Brindisi, la città del suo passato, per andare a vedere il padre. Solamente due luci calde puntate sull’attore e l’intimità si allarga: è lì col padre, a cui riesce solo a dire che gli vuole bene. La musica del pianoforte si fa più avvolgente, ma tutto si ferma, il padre se n’è andato. Finalmente il figlio è di fronte a quella morte che aveva rifuggito, grazie anche a un dialogo inaspettato con un giovane prete può gridare il suo dolore sciogliendosi in un pianto liberatorio e cantando una canzone e c’è spazio anche per risate fra sua madre e la commare, loro vicina di casa e amica fraterna, ripensando ai momenti buffi passati insieme. Le luci bianche e fredde si rialzano e l’attore ci lascia con la canzone Falling Slowly.

LA FABBRICA DEGLI STRONZI: non è tutto oro ciò che è familiare

Caustico e tragicomico lavoro di Maniaci d’Amore e Kronoteatro che nello spazio dell’ex Cinema Excelsior mettono a nudo frustrazioni ed idiosincrasie in un vortice di humour che abbiamo trovato piacevolmente irriverente (concordemente con le reazioni prevalenti del pubblico in sala). A partire dalla scomparsa della madre di tre fratelli (sul palco Tommaso Bianco, Francesco d’Amore, Luciana Maniaci) si snoda un processo di recupero della memoria che accompagna i passaggi di vestizione e preparazione del cadavere per l’inumazione in un continuo andirivieni di flashback che si materializzano nello spazio scenico riempito solamente dalla barella su cui il corpo della “donna” (Maurizio Sguotti) alternativamente giace o interagisce. Persino di fronte alla morte della propria genitrice, i fratelli trovano spazio per il battibecco in una sottile lotta per la coppa di dannato caduto più in basso nell’inferno fatto di animali sociali che sono gli uomini.

Un processo che vede momenti di confronto con la madre, affettuosa e causticamente realistica nei ricordi, inconsapevolmente tra le figure che più hanno rovinato la vita dei figli, tutti soli e condannati al “Faccio quello che posso”. Ma quali le possibilità di riscatto e di emancipazione? Un figlio ha ereditato il mestiere dal padre, un altro ha rinnegato la propria omosessualità supportato da una psicoterapeuta televisiva da strapazzo, mentre la figlia ha ricacciato nel cassetto il sogno di diventare una cantante, vittima di insicurezze e piccole nevrosi.

Un quadro surreale e di strisciante esasperazione che gli attori hanno sostenuto con ritmo, scatenando ripetutamente un’ilarità a tratti fuori luogo per l’amarezza di fondo che ripercorre l’intera messa in scena, da quando i figli truccano la madre come Nicoletta Orsomando in versione clownesca fino al battibecco dilatato nel tempo sui gusti dei ghiaccioli al mare. In chiusura capiamo di aver assistito al cazzotto che le due compagnie hanno voluto assestare al mondo benpensante che vede sempre e comunque la famiglia luogo sicuro e caposaldo della buona educazione. In un mondo fatto di sfumature e di complessità, nessuno che si senta sicuro tra le mura domestiche può ricevere di diritto la patente di persona civile.

PUNK. KILL ME PLEASE: il redivivo spirito liberatorio del punk

Due donne, Francesca Foscarini e Melina Sofocleous, accompagnate da una luce fredda e vestite da una coperta che le copre dalla testa ai piedi, saltellano perché hanno caviglie legate insieme dallo scotch. Si liberano ed una di loro mette una canzone col giradischi, unico oggetto di scena, insieme a due montagne di rotoli di scotch e inizia una canzone decisamente punk: le protagoniste si liberano dai loro lacci, una luce rossa ci avvolge ed iniziano a ballare freneticamente. Questa la chiave dello spettacolo, il punk come liberazione. Da questa intro iniziano una decina di sotto-scene in cui le artiste usano efficacemente i pochi mezzi che hanno: una coperta e lo scotch, oggetti con i quali rappresentano personaggi diversi e creano altrettanti luoghi. Particolarmente avvincente è la scena “Bodies” in cui le interpreti ricreano una passerella e scimmiottano lo sfilare delle modelle e il bieco maschilismo degli uomini che mostrano “il pacco” per affermare la propria forza. Tutto è chiaramente accompagnato dalla musica punk, ma non solo, abbiamo anche Beethoven e una lettura di Carducci in italiano e portoghese. Non manca la provocazione e la sensualità, fatta di nudi parziali  con le natiche delle protagoniste e la scritta “se” impressa. Le danzatrici concludono la performance lanciando sul pubblico le palline di scotch accumulate durante la rappresentazione. Uno spettacolo dissacrante, come del resto è stato il punk nello scenario musicale, coreografie incantevoli per quanto forti, un’energia e una simbiosi delle ballerine ed interpreti formidabile, un grande sforzo fisico visibile ed apprezzabile lungo i 40 minuti di rappresentazione, che sarebbero risultati ancora più godibili se privati di qualche scena perché alcune di queste, come ad esempio “You Eternal Fascist” o “Vivienne Uber Alles” risultano un po’ troppo cervellotiche e il pubblico rischia di perdersi nell’analisi, invece di gustarsi la performance in sé.

WALKING MEMORIES: il potere ammaliante delle alte vette secondo Elisa Pol

Un piano color panna come la neve con la luce radente dei fari/sole e qualche nube di fumo sospesa a mezz’aria. In sottofondo il rumore lontano di una valanga. Non è però la neve a provocarla ma il flusso di coscienza di Elisa Pol che per l’intera durata dello spettacolo si destreggia tra il monologo e il soliloquio mentre il suo corpo sembra guidato da energie e tensioni, invisibili burattinaie. Nella contemplazione della vastità che il panorama figurato offre all’attrice, lo spazio perde la sua accezione fisica, soggetto ad un processo di interiorizzazione nel quale ogni metro non è più unità di misura ma di pensiero. Il silenzio si impone, interlocutore fin troppo logorroico, una sorta di Grillo parlante con il quale ci si trova a confronto senza possibilità di sottrarsi alla propria coscienza. L’importante è riuscire a trovare la propria quota prediletta alla quale sintonizzarsi con l’immensità che la montagna esprime, atto di sublimazione dell’anima. Elisa Pol, con il suo stile di recitazione pulito e a tratti accademico, nonostante qualche piccola scivolata in dizione, ci ha portati con sé in alta quota per farci respirare quell’aria dove ogni molecola di ossigeno racchiude una storia, scritta per ognuno di noi.

BE ARIELLE F: il travestitismo, dalla maschera all’identità aumentata

 Il recondito istinto di ogni uomo di giocare a vestire i panni di qualcun altro ha trovato espressione in centinaia di esperienze drammaturgiche ed antropologiche, dalla Commedia dell’Arte al Carnevale. L’opportunità di indossare una maschera, stavolta non figurata ma reale, dietro la quale ricacciare i problemi per immergersi in un ruolo, altro dal nostro e profondamente desiderato, non ci ha mai abbandonati. Ma cosa può succedere se quel gioco si spinge a tal punto da assumere corpo ed identità di questo altro?

La risposta ce la fornisce Simon Senn con il suo Be Arielle F (non un richiamo alla Christiane F. di qualche decennio fa, ma indicazione che lo spettacolo è in lingua francese), conferenza-spettacolo in cui l’artista ginevrino ha raccontato con dovizia di particolari la genesi del suo progetto. A partire dall’acquisto, letteralmente inteso, per soli 10$, della versione digitale del corpo di Arielle, ragazza inglese che si è lasciata scansionare il corpo in 3D per renderlo disponibile sulla piattaforma 3dscanstore.com, fino alla totale identificazione, con l’utilizzo di un sistema di visione amplificata di cui ci dà dimostrazione in diretta.

Un percorso che lo ha coinvolto e ci ha coinvolti attraverso i passaggi anche più spinosi della progettazione, dalle implicazioni burocratiche e legali dell’uso del corpo di un’altra persona, non molto salvaguardato in termini contrattuali, fino alle pieghe psicologiche derivanti dal poter indossare un corpo femminile che lentamente diventa una nuova pelle. Simon Senn ci ha mostrato la sua nudità sdoppiata in una sorta di dicotomia in cui le due parti si interscambiano fino all’esperienza di un’identità aumentata. L’una non sostituisce ma alimenta l’altra fino alla sovrapposizione dei due fenotipi, fino all’apparizione in videochiamata della vera Arielle in diretta.

Un progetto capace di aprirci scenari dicotomicamente affascinanti e spiazzanti con sprazzi di vuoto, legislativo e non solo, che ci catapultano in un futuro fatto da tratti di impotenza e onnipotenza in base al ruolo che si ricopre. “Prima di diventare uomo o donna, siamo tutti soggetti”: non è pertanto una questione di genere quella che ci sottopone Simon Senn ma in particolare uno stimolo a valutare dove la tecnologia ci sta conducendo e quale futuro potrebbe attenderci, senza nostalgie né revisionismi. Senn non si pone mai col piglio del maestro o del profeta ma si limita onestamente a riportare la sua singolare, ma certo non unica, esperienza lasciando a noi, stupefatti all’uscita, il compito di capire quale direzione vogliamo intraprendere.

CONTEMPORANEA FESTIVAL 2021 – GLI SPETTACOLI

L’ULTIMA EREDITA’

di e con Oscar De Summa
progetto luci Matteo Gozzi
ambiente sonoro e arrangiamenti Matteo Gozzi, Oscar De Summa
produzione La Corte Ospitale
Teatro Fabbrichino – 23 settembre 2021

LA FABBRICA DEGLI STRONZI

drammaturgia Maniaci d’Amore
con Tommaso Bianco, Francesco d’Amore, Luciana Maniaci e Maurizio Sguotti
regia Kronoteatro e Maniaci d’Amore
scene e costumi Francesca Marsella
disegno luci e responsabile tecnico Alex Nesti
produzione Kronoteatro
coproduzione Teatro Nazionale di Genova
con il sostegno di Residenze PimOff Milano
Ex Cinema Excelsior – 23 settembre 2021

PUNK. KILL ME PLEASE

ideazione e creazione Francesca Foscarini, Cosimo Lopalco
interpretazione e co-creazione Francesca Foscarini, Melina Sofocleous
disegno luci e cura della tecnica Maria Virzì
SpazioK – 23 settembre 2021

WALKING MEMORIES

di e con Elisa Pol
collaborazione artistica Raffaella Giordano
testi* di Elisa Pol
disegno luci Pensiero Di Maggio
frammenti sonori da Sleep by Max Richter
elaborazione del suono Flavio Innocenti
costumi Sofia Vannini
direzione tecnica Mattia Bagnoli, Theo Longuemare
produzione Nerval Teatro, Sosta Palmizi
con il contributo di Emilia Romagna Teatro Fondazione, progetto vincitore del bando ERT- Spettacolo in Emilia Romagna Performing Arts under 40
con il supporto di Armunia, Olinda, E Production, KOMM TANZ/PASSO NORD progetto residenze Compagnia Abbondanza/Bertoni in collaborazione con il Comune di Rovereto
un ringraziamento particolare Paola Bianchi, Barbara Caviglia, Franco Caviglia, Elena Marinoni e Michele Bariselli – Rifugio Quinto Alpini
foto di Debora Costi
immagine di Daniele Villa Zorn
*testi ispirati alle letture di La montagna Vivente, Nan Shepherd; Wanda Rutkiewicz, la signora degli ottomila, Gertrude Reinisch; Tutte le opere, Antonia Pozzi; Il leopardo delle nevi, Peter Matthiessen; La montagna e il suo simbolismo, Marie Davy Madeleine; Sensi soprannaturali, Cristina Campo
Teatro Fabbricone – 24 settembre 2021

BE ARIELLE F

concept e regia Simon Senn
con Simon Senn Arielle Fe un corpo virtuale
produzione Compagnie Simon Senn
coproduzione Théâtre Vidy-Lausanne, Le Grütli, Centre de production et de diffusion des Arts vivants Théâtre du Loup
distribuzione Théâtre Vidy-Lausanne
con il supporto di Fondation suisse pour la culture Pro Helvetia Fondation Ernst Göhner Pour-cent culturel Migros Porosus
foto di scena Ilaria Costanzo, Fabio Gervasoni, Luca Del Pia, Elisa Larvego
SpazioK – 24 settembre 2021

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