È andato in scena fino al 2 aprile CLITENNESTRA DEVE MORIRE, una rilettura moderna del mito tragico ne ribalta le forze motrici e i significati profondi.
Mentre aspetta il compimento del suo fato, ossia la vendetta delle Erinni, che il suo destino si scontri col destino di suo figlio che deve ucciderla, Clitennestra lascia che gli anni passino e che i ricordi e il crimine commesso – l’omicidio di suo marito Agamennone, di ritorno dai 10 anni di guerra di Troia, con l’aiuto dell’amante Egisto – si amalghimino in una patina spessa di ossessione, rimorso e follia.
È dunque arrivato il grande giorno, Oreste è infine tornato al porto, e Clitennestra si sveglia dal solito vecchio sogno, per tornare, da sveglia, a ripercorrerlo ancora una volta; l’ultima. Così si apre la scena: su ombre di barre-finestre nell’interno della stanza di Clitennestra, una circonferenza inclinata con al centro una vasca coperta da un telo rosso.
Mentre la regina si appresta ad iniziare la giornata, un altoparlante sgangherato fa rimbombare dei suoni: il rumore della pioggia, il canto degli uccelli, una vecchia, romantica canzone francese piena di ricordi dei tempi che furono… ma la musica suona davvero, o la sente solo Clitennestra, nel suo amarcord, nell’allucinazione che invoca tutta la sua storia? Questa è l’ambiguità su cui si fonda il monologo che compone la spina dorsale dell’atto unico: tra dialoghi e soliloqui, il racconto del passato prende progressivamente possesso della scena e del presente.
Eppure non si tratta di reale follia: davanti all’incomprensibilità del fato, Clitennestra espone le sue ragioni: un delitto passionale, un delitto per eccesso d’amore, dice lei, che dovrebbe quindi assolvere se stesso, perché dettato dal più puro sentimento.
Ma sta forse solo cercando di convincere se stessa? Inltre si smentisce, si corregge: il motivo del suo omicidio è stata l’umiliazione subito dall’indifferenza, dalla scomparsa dell’amore di Agamennone: il movente, dunque, è stato il cambiare delle cose, l’invecchiare del corpo, ossia: del tempo che passa.
Allora forse il dramma parla d’altro: lo scorrere del tempo, la banalità della vita che si srotola tra un picco e l’altro del fato personale. In questi interstizi il tragico non c’è più, ma si intromette il prosaico del quotidiano, svelato in una lettura moderna che riduce il mito a dramma borghese.
Ecco allora che l’interpretazione ondeggiante tra il concitato e il sofferente di Patrizia Milani prende le forme di una controllata isteria emotiva dai molti sospiri e dalla voce rotta, di grande contrasto davanti alla freddezza marmorea dell’interpretazione di Gisella Bein, la serva Alcina che assiste alla crisi di coscienza della sua padrona Clitennestra. I ricorrenti accenni di metateatro e di rottura della quarta parete, culminanti col mischiarsi dal lato del pubblico della regina del re dei re, arrivano ancora più profondamente a convertire la tragicità del mito greco in quotidianità riguardante ogni spettatore.
La regia di Emiliano Bronzino è riuscita a conciliare la classicità mitologica della vicenda con la rilettura moderna in chiave borghese del testo di Osvaldo Guerrieri, mescolando così il tragico al prosaico e ribaltando le forze motrici del dramma.
Info:
Dal 29 Marz al 2 Aprile
CLINNESTRA DEVE MORIRE di Osvaldo Guerrieri
regia Emiliano Bronzino
con Patrizia Milani, Gisella Bein
scene Francesco Fassone
costumi Augusta Tibaldeschi
luci Mauro Panizza
produzione Fondazione Teatro Piemonte Europa
Al Teatro ASTRA (Via Rosolino Pilo 6, Torino)