Nuova PRIMA ASSOLUTA per il Metastasio di Prato che insieme al Teatro Piemonte Europa ha prodotto CIRCO KAFKA, ultimo lavoro di Claudio Morganti ispirato al celeberrimo romanzo dello scrittore ceco, Il processo. Testo di denuncia sulla giustizia fatta dagli uomini, traditrice della Madre Giustizia. In uno spazio scenico completamente rivoluzionato per l’occasione si muove il “mattatore” Roberto Abbiati che con una recitazione fatta di luci e suoni, purché non si tratti di parole, cattura e stupisce il pubblico. Un’atmosfera genuinamente kafkiana che lascia esterrefatti e forse anche un po’ divertiti nella consapevolezza che ognuno di noi, in fondo, è certo di salvarsi, oggi. Ma domani?
A chi potrebbe toccare essere Josef K. oggi? A chi il compito di essere l’imputato di turno nella lotteria della giustizia e del destino? Si distribuiscono i biglietti tra gli spettatori e oggi tocca a Roberto Abbiati. Nessuna interazione verbale col pubblico ed una volontà di giocare che contrasta con la sua intimorente divisa militaresca. Intorno un baraccone dal carattere fortemente provvisorio che ricorda a tratti una pittoresca sagra di paese, quando non emerge il suo aspetto più povero e trasandato come il rifugio di un senzatetto. Il tutto sistemato nello spazio della platea che è stata ruotata di 90° per accogliere un palco posticcio, da compagnia teatrale itinerante di un tempo passato.
Cosa è kafkiano nel III millennio? Ciò che circa un secolo fa appariva inquietamente irreale agli occhi dell’uomo tra le due guerre, oggi ha assunto l’aspetto dei tanti che finiscono imprevedibilmente accusati e condannati, siano essi in un’aula di tribunale o nel fòro dei social media. Con le parole l’uomo si abitua quotidianamente alla scomposizione della realtà per vederla distrutta o ricostruita malamente. Qui con una lingua che si fa post-grammaticale, lo stupore è indotto non più dal contenuto ma da una forma che diventa crescentemente significante. Solo le note e i suoni non intelligibili possono alfine davvero esprimere quella commistione di rassegnata accettazione ed ostinata incapacità di resa.
Laddove la parola dovrebbe regnare sovrana ed aiutare a discernere tra bene e male, giusto e sbagliato, innocente e colpevole, si fanno spazio strumenti musicali ed emissioni vocali accompagnati da una straordinaria mimica facciale. Un quadro smaccatamente farsesco dove il banco dell’imputato e la cattedra del giudice sono la testata del letto su cui giace, già oramai tumefatto, il fantoccio della vittima di oggi. Vittima sacrificale che nell’amoralità del contemporaneo non riesce a distinguere la colpa e pertanto non può definirsi davvero innocente.
In mancanza di categorie, alla ricerca di nuove monadi, si assiste all’esercito della giustizia, finora asserragliato dietro alla robustezza dei propri tribunali e adesso relegato tra le pareti precarie di un baraccone, come un circo itinerante di infimo livello. Da figura capace di incutere rispetto, il giudice si trasforma facilmente in una caricatura che decide il destino delle sue “vittime” con una ruota di bicicletta come fosse una ruota della fortuna. Neanche confidare nella scienza e nella tecnica di una perizia che finisce fisicamente schiacciata dalla suola di una scarpa, può salvare un accusato già in stato di decomposizione.
Roberto Abbiati ha la straordinaria capacità di mantenere costantemente sul piano ludico la profonda inquietudine che permea l’originale kafkiano. La sua mimica, la sua capacità di modulazione di suoni e rumori, la sua abilità nell’utilizzo degli strumenti musicali definiscono i contorni della rappresentazione conferendole un carattere malinconicamente clownesco. Non c’è soluzione di continuità nei passaggi da un ruolo all’altro e anche il cambio d’abiti, perlopiù in scena, assume tratti carnascialeschi come di chi non si immedesima in un personaggio ma lo sta spudoratamente deridendo, sia esso buono o cattivo, debole o forte. Del resto l’intento di stravolgere l’ordine costituito delle cose passa anche dalla trasversale volontà di demolire. Il rischio che si corre è quello di restare circondati dal vuoto.
L’allestimento di Claudio Morganti è spietato e non lascia scampo allo spettatore che, come in un improvviso strappo nel cielo di carta, si rende conto che davanti a lui la rappresentazione non è sogno né chimera. L’intervento in scena del musicista Johannes Schlosser, rappresenta l’unico intermezzo parlato dello spettacolo e ci richiama inclementemente ad un hic et nunc. I contributi musicali, strumentali e non, appaiono fortemente funzionali al fine di restare concentrati, oscillando da ritmi tribali ad armonie più familiari con una strisciante ansia che raggiunge il suo climax quando l’attore in scena accoltella infine il fantoccio. Una condanna a morte conclamata fin dall’inizio.
Lontano anni luce dall’essere un tentativo di riproduzione pedissequa del romanzo, emerge dalla messa in scena di Morganti uno spirito genuinamente kafkiano in cui il paradosso nasce dalla forma, irreale e fortemente comunicativa, affidata a suoni, segni e rumori di bocca, strumenti e altri simpatici marchingegni. In un’epoca che in termini di contenuti sembra aver esaurito i territori ancora vergini da scoprire, l’irrealtà unita ad una destrutturazione espressiva, dove gli ingredienti della verbalità ritrovano dignità di per se stessi, è un pianeta dove il gioco diventa catartico e il sorriso all’uscita dalla platea ricorda le angoscianti maschere che Ensor dipingeva negli anni de Il processo. Circo Kafka non è tanto un omaggio ma una trasposizione delicatamente violenta nel gorgo di un inarrestabile paradosso.
Info:
CIRCO KAFKA
da Il processo di Franz Kafka
con Roberto Abbiati
e la partecipazione di Johannes Schlosser
regia Claudio Morganti
musiche di Claudio Morganti e Johannes Schlosser
produzione Teatro Metastasio di Prato, TPE – Teatro Piemonte Europa
in collaborazione con Armunia residenze artistiche
foto di scena Lucia Baldini
Teatro Magnolfi, Prato
14 febbraio 2020
PRIMA ASSOLUTA