CHEF@Alta Luce Teatro Milano

Alta Luce Teatro (www.altaluceteatro.com) è una piccola deliziosa sala – gemma preziosa per il livello dell’attività svolta e il vivace calore umano che la connotano – sita lungo il Naviglio Grande le cui acque raccontano un passato fulgido di una città come Milano, crocevia di traffici non solo viari, ma anche d’acqua tanto che oggi si accarezza l’idea di renderlo nuovamente navigabile, almeno in parte.

A portare avanti con determinazione, entusiasmo e voglia di novità questa piacevole realtà è Elisabeth Annable, regista e attrice volitiva, che l’ha fondata e ne è direttore artistico rendendola un teatro pulsante in questa zona prima dimenticata e oggi ambita per la sua tranquillità e per emanare un fascino antico nelle varie costruzioni ristrutturate senza tradirne la storia.

Le sue esperienze fuori Italia e l’essere di madrelingua inglese da parte di padre la portano a considerare non solo le novità italiane, ma anche quelle estere in particolare se provenienti dal mondo anglosassone come appunto Chef, testo pluripremiato (tra l’altro anche al Fringe Festival di Edimburgo). Ne è autrice Sabrina Mahfouz, drammaturga, scrittrice e performer di origine egiziana che vive a Londra. Molto sensibile nei suoi lavori al concetto di uguaglianza e alle problematiche derivate dall’ingiustizia sociale, ha ottenuto riconoscimenti e premi tra cui appunto quelli per Chef.

In tale lavoro (tradotto da Maggie Rose e Salvatore Cabras appositamente per Elisabeth che ne è interprete e regista), la protagonista è una giovane donna – senza un nome preciso, ma citata solo per la sua professione – che confessa la sua interiorità più segreta raccontando con entusiasmo la sua teoria sull’arte culinaria che spiega con passione, chiarezza e linearità, mostrando di avere raggiunto grande sicurezza e semplicità nel rielaborare materie prime di alta qualità, sane e saporite in modo da fare risaltare la genuinità di una natura che, se rispettata, regala all’uomo splendidi sapori.

Una lucida chiarezza e un rigore mentale che hanno fatto sì che il locale da lei gestito abbia ottenuto l’agognata Stella Michelin e che si traducono nella precisione scrupolosa con cui tiene la cucina dotata di strumenti ordinati, puliti e ben curati.
Tuttavia dietro a quest’apparente e coerente lucidità si cela una terribile verità che di primo acchito non appare: la cucina non è più quella del ristorante che la donna è riuscita a portare al successo, ma quella di un carcere dove si trova in attesa dell’esecuzione.

Da questo momento si dipana un’auto confessione che parte dai traumi subiti in famiglia e dal manifestarsi di bassi istinti fino a incontri affettivi sbagliati: un viaggio in cui sapori raffinati e inattesi si coniugano con l’emergere di una psiche contorta, dilaniata eppure con un grande anelito alla speranza di cancellare la vita caotica precedente.

Un monologo molto pregno, a volte troppo, interpretato dalla Annable in modo vivo, vibrante e drammatico che rende bene la nevrosi della protagonista. E così riflettendo mi ritrovo lungo il Naviglio Grande questa volta privo d’acqua e pieno di rifiuti che mettono in evidenza lo scarso rispetto che l’uomo ha per se stesso quando rende brutto ciò che ha reso bello con la propria intelligenza e l’aiuto del più vivace, brillante e gioioso elemento che la natura ci ha regalato: l’acqua. E pare quasi che sia stato svuotato appositamente per divenire metafora del magma interiore che si nasconde in ciascuno di noi.

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