Data unica in Italia quella al Teatro di Rifredi per CENDRES/CENERI portato in scena dalla compagnia di teatro visivo Plexus Polaire, compagnia fondata in Francia dall’artista norvegese Yngvild Aspeli. Una commistione suggestiva di tecniche – attori, marionette a grandezza d’uomo e piccoli burattini, effetti di luce, video e musica – danno vita, sotto gli occhi di un pubblico sbigottito, alle paure dei bambini e ai demoni degli adulti.
Il teatro di Rifredi ogni anno propone al suo pubblico affezionato, almeno uno spettacolo di livello internazionale scovato nei festival in giro per l’Europa; grande merito di questa realtà capace di coniugare l’accoglienza del teatro di quartiere e il respiro contemporaneo con tournèe mondiali: la compagnia spagnola Yllana, le maschere di Kulunka Teatro, la danza contemporanea dell’israeliano Hillel Kogan, il divertente teatro fisico di Un Poyo Rojo, solo per ricordare gli spettacoli delle ultime stagioni. Questa è stata la volta del teatro di figura per adulti di Plexus Polaire.
CENERI mette in scena la storia intrecciata di due personaggi schiavi di una dipendenza: il fascino del fuoco e il bisogno dell’alcool. Un ragazzino piromane, figlio del capo dei pompieri, a fine anni settanta incendia alcune case e fienili tra le foreste del villaggio norvegese dove vive, fatto di cronaca rimasto nelle memoria di molti. Uno scrittore, bambino all’epoca dei fatti, oggi privo di ispirazione, che annega nel bere la propria frustrazione, sente di essere in qualche modo legato a questa macabra storia: decide di scriverne.
Entrambi i personaggi sono risucchiati dall’ignoto, sentono il fascino, attrazione e terrore insieme, per il lato oscuro della vita. Entrambi, pur distanti nel tempo e nelle azioni, hanno un legame con la parte buia del proprio animo a cui non riescono a porre un freno. Così il bisogno di appiccare il fuoco e il bisogno di bere da una bottiglia di birra divengono la stessa cosa, la stessa dipendenza dalla propria notte dell’anima.
I padri dei due protagonisti sono specchio e confronto continuo: il capo dei pompieri muore nel tentativo di spegnere uno degli incendi che il giovane ha appiccato; il padre dello scrittore resta freddo giudice di fronte alle sue scelte fino alla fine: “l’ultima cosa che ho fatto a mio padre è stato di mentirgli, e non ho avuto nemmeno il tempo di dirgli che sono diventato scrittore”.
Cosa vediamo quando guardiamo noi stessi? Il fumo degli incendi diventa mostro multiforme che insegue le nostre paure, l’alcolismo diventa lotta con il proprio essere, resistenza vana alla dipendenza. L’oscurità diventa bestia, un lupo dagli occhi scintillanti che cavalca nella nebbia, il lupo delle storie dei bambini, spaventoso, ma allo stesso tempo rassicurante perchè si sa che alla fine perde.
I salti nel tempo e nella narrazione portano ad intrecciare le due storie con momenti paralleli ed altri mischiati, quasi a non distinguere e sovrapporre la bestia di fumo di uno e il lupo nella nebbia dell’altro. E quando i testimoni degli incendi appaiono al cospetto del bambino piromane, lo sguardo dello scrittore diventa comprensione e perdono, non solo per il ragazzo, ma per se stesso, nonostante il buio e l’oscurità. L’abbraccio sincero tra i due è commovente, uno interpretato da un attore, l’altro un pupazzo. L’incontro diventa simbolo della possibilità di riconciliarsi con le proprie debolezze. E la bestia nera si accuccia sullo sfondo del palco.
CENERI è uno spettacolo visionario, con un uso incredibilmente sofisticato di tecniche diverse scelte di volta in volta per avere il maggiore impatto emotivo sullo spettatore. Quando si accendono le luci per gli applausi in tutta la sala ci si chiede dove siano gli altri attori che muovevano così tanti oggetti e marionette, invece sono solo in tre.
La scena è divisa da un sipario trasparente di tulle, che ha lo scopo non solo di nascondere la presenza degli attori che vestiti di nero manovrano le marionette, ma è anche schermo per la proiezione delle parole che lo scrittore scrive, abbozzi gettati dell’incipit del suo libro. Davanti al sipario sull’angolo sinistro del boccascena, l’attore gesticola tra la tastiera di un computer, un posacenere e le bottiglie di birra ovunque, sopra e sotto il suo piccolo tavolo da lavoro. Dietro prende vita la storia della famiglia del giovane piromane Dag, la madre Alma, Ingemann, il padre, capo dei pompieri. Su un ripiano si svolgono le scene con marionette di piccole dimensioni, manovrate da due attori-burattinai con una bravura e precisione impressionanti, che se non fosse per la grandezza, avremmo esitato a pensarle non in carne ed ossa. Ancora, su una terza dimensione della narrazione, compaiono sospese nella scenografia del fondale le case del villaggio norvegese, che ad una ad una prendono fuoco, fino a diventare incendio.
L’intrecciarsi delle due storie nel procedere della narrazione è reso dal cambio di dimensione delle marionette che divengono di grandezza naturale e dal mescolarsi dei piani fisici, infatti le due storie si scambiano: lo scrittore affronta la morte del padre dietro al tulle, il ragazzo affronta le vittime dei suoi incendi davanti.
Le figure a grandezza d’uomo sono incredibili per la naturalezza e capacità espressiva, sono animate in ogni parte del corpo compreso il volto, dando piena verità all’azione scenica, perfino con effetti speciali strabilianti come il fumo della sigaretta. La suggestione è tanto forte che in alcuni momenti abbiamo l’impressione del muoversi delle marionette anche senza la guida dell’attore, in altri non ci accorgiamo che è l’attore-marionettista a creare il movimento, ma abbiamo l’illusione del contrario, e non si sa più chi manovra chi, se l’oggetto morto o l’attore vivo.
Siamo affascinati, ipnotizzati e confusi da questo teatro di figura molto all’avanguardia, carico di riflessioni poetiche ed esistenziali profonde, insieme evocativo e sognante.
«Improvvisamente succede qualcosa di insensato, come una nuvola che brucia nel cielo, che divora tutto. E tutto è trasformato, anche tu sei trasformato. E quello che stimavi di più fino a pochi istanti prima, non c’è più. Te ne vai attraverso le ceneri di tutto. Diventando tu stesso cenere.» Pär Lagerkvist
Plexus Polaire (Francia / Norvegia)
regia Yngvild Aspeli
collaborazione alla regia Paola Rizza
attori marionettisti Viktor Lukawski, Aitor Sanz Juanes/Alice Chéné e Andreu Martinez Costa
marionette Polina Borisova, Sébastien Puech, Yngvild Aspeli, Carole Allemand, Sophie Coëffic
costumi Sylvia Denais | scenografia Charlotte Maurel, Gunhild Mathea Olaussen
suono Guro Skumsnes Moe in collaborazione con Ane Marthe Sørlien Holen
luci Xavier Lescat (creazione originale David Farine) | video David Lejard-Ruffet
Teatro di Rifredi
8 febbraio 2019