CANI MORTI @ Teatro Magnolfi Nuovo: intervista al regista Carmelo Alù

Fino al 23 dicembre nello spazio intimo del Teatro Magnolfi Nuovo di Prato va in scena CANI MORTI, una nuova produzione del Teatro Metastasio con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato. A scegliere questo testo del contemporaneo norvegese Jon Fosse il regista Carmelo Alù che nella primavera scorsa si è aggiudicato il premio Davanti al pubblico 2018, indetto dallo stesso Teatro Metastasio insieme a Fondazione Toscana Spettacolo Onlus, Armunia-Festival Inequilibrio e CapoTrave-Kilowatt Festival. Diplomatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” (qui la recensione di Simone Romano sul saggio di diploma in accademia del 2017), Carmelo Alù, oltre a permetterci di partecipare ad una sessione di prove nei giorni precedenti alla prima, ci ha concesso un’intervista per approfondire la sua esperienza a Prato e lo spettacolo che ha scelto di mettere in scena nel ruolo di regista ed adattatore.

INTERVISTA a Carmelo Alù

Leonardo Favilli: Per un lettore di Gufetto che ancora non ti conosce, come ti presenteresti in breve?

Carmelo Alù: Conosco Gufetto, perchè la redazione di Roma ha recensito un mio lavoro. Di me steso direi che conta molto il fatto che sono siciliano perché mi influenza molto come persona e come artista: mi sono formato come attore a Siracusa e là è nata anche la passione per la regia, ho avuto la fortuna di lavorare come assistente di Avogadro. Ho iniziato come attore e continuerò a farlo perché mi diverte molto. Mi sono formato come regista alla Silvio D’amico e vivo a Roma. In questa prima fase della mia carriera cerco sempre di tenere in piedi il filo che unisce la tragedia greca al teatro contemporaneo, anche in questo testo di Jon Fosse.

LF: Ti sei aggiudicato il premio Davanti al pubblico 2018, destinato a registi neodiplomati ed indetto dalla Fondazione Teatro Metastasio di Prato con la supervisione di Massimiliano Civica, proprio con Cani morti di Jon Fosse che domani debutterà in prima nazionale al Teatro Magnolfi. Come sei venuto a conoscenza di questo premio e quali erano le tue aspettative a seguito di un eventuale esito positivo?

CA: Il premio l’ho scoperto perché era un bando pubblico rivolto a neodiplomati negli ultimi 3 anni nella accademie di regia, come me. È arrivata una mail dall’accademia con le informazioni relative al bando e l’ho apprezzato perché era riservato ad un bacino ristretto di destinatari. Non era l’ennesimo bando per emergenti o per under 35 con criteri generici e poco chiari ma per partecipare si richiedeva di aver frequentato una vera e propria scuola di formazione, considerando anche che per una volta un’istituzione pubblica dava la possibilità ad un neodiplomato di entrare nel mondo del teatro professionale. Tra l’altro all’accademia non eravamo molto numerosi a studiare teatro, perché fare teatro costa. Qui era chiaro l’intento produttivo del progetto grazie al fatto che sarei stato affiancato da un tutor di produzione che non interviene dal punto di vista artistico ma nel percorso produttivo che lo spettacolo deve affrontare: ad un anno dal diploma era proprio ciò che serviva.

LF: Jon Fosse è un autore che conta molte rappresentazioni in giro per il mondo. E’ il contemporaneo scandinavo più rappresentato. Come hai scoperto questo autore e perché la scelta proprio di questo testo, non ancora pubblicato in Italia?

Finora non avevo mai lavorato su questo autore ma l’ho studiato dal punto di vista drammaturgico. Ad un certo punto ho sentito l’urgenza di fare un lavoro specializzato sugli attori e Jon Fosse è adatto per questo: nei suoi testi qualsiasi cosa aggiungi registicamente rischi di rovinare il suo lavoro, secondo me. La grandezza di Fosse è che scrive per gli attori per cui è in linea con ciò che cercavo: un testo per lavorare con quello che sono gli attori, senza tridimensionalità dei personaggi. L’eccesso di didascalie, la genericità dei nomi, per cui ognuno è semplicemente la madre o il figlio senza un nome proprio, sono caratteristiche che permettono di fare questo tipo di lavoro. Come diceva Umberto Eco “il testo teatrale è un testo bucato”: non ha motivo di esistere di per se stesso; finché l’attore non lo mette in scena è carta straccia. Fosse richiede che si lavori non tanto sulla battuta ma sullo “stare in situazione”. Per quanto riguarda la scelta di CANI MORTI: l’ho apprezzato perché la trama è meno aperta. Fosse è un maestro dei drammi familiari. In questo caso non c’è ombra di nessun trascorso sentimentale che muove le azioni. Il delitto che viene perpetrato non ha i connotati di una vendetta o di un semplice fatto di cronaca. Ha tutte le caratteristiche di un delitto passionale. E non per l’amore viscerale del protagonista per il suo cane ma perché il cane rappresenta la fedeltà assoluta. Come in una tragedia greca si perde una certezza che fa saltare la logica delle cose. Il vicino è disegnato come un tipo tranquillo, buono e poi, come in Medea che uccide i figli perché abbandonata, il destino irrompe e conduce il vicino all’uccisione del cane. La logica non è quella del dramma ma quella di una tragedia vera e propria.  Infine, in un’ottica produttiva, la mia scelta è stata anche orientata da ciò che il MET proponeva negli ultimi anni, augurandomi che un giorno lo spettacolo sarebbe entrato in cartellone.

LF: Quale dovrebbe essere, secondo te, la chiave con cui il pubblico si approccia alla messa in scena?

CA: In questo spettacolo il lavoro che gli attori devono fare è non assecondare troppo il testo. I personaggi non si dicono nulla e ci sono molte azioni di convenienza da cui dilaga l’imbarazzo. Nonostante gli affetti e gli anni, c’è totale distacco tra personaggi. La chiave dello spettatore è non banalizzare le situazioni: uno potrebbe pensare che non avendo un cane, il testo non gli dica nulla perché è un dolore che non conosce; ma non si deve ridurlo ad una trasposizione di un semplice fatto di cronaca perché l’attenzione deve essere posta ai silenzi, ai movimenti, alle geometrie che ho inserito intorno al tavolo e tra i corpi sul palco. In questo modo ho cercato di stabilire un codice che possa intrattenere il pubblico nel senso letterale del termine cioè in-trattenere, trattenere dentro, senza dover necessariamente aggiungere musiche, ad esempio. Per raccontare un semplice fatto di cronaca sarebbe bastato un romanzo, con cui tra l’altro Fosse ha esordito come scrittore, e non sarebbe servito un pezzo teatrale come questo. Dove, inoltre, il cane compare per la prima volta, almeno nei testi tradotti in inglese, dopo essere stato invece protagonista di molti romanzi precedenti di Fosse stesso. In definitiva quello che io ho provato per Medea a 14 anni lo spettatore dovrebbe provarlo per Fosse oggi.

LF: Come già accennato il testo di Cani morti non è mai stato pubblicato in italiano per cui ti sei occupato tu stesso anche della traduzione. Come hai portato avanti il processo di traduzione? Questa tua chiave di lettura ha influito?

CA: Ero letteralmente preoccupato. Finora ho sempre affrontato lavori di adattamento che comunque comprende anche una traduzione, sempre facendo attenzione a non cadere nel problema “tradurre=tradire”. In questo caso, quando ho inviato il testo per la selezione, non conoscevo gli attori perché era ancora tutto ipotetico. Traducevo quindi senza avere una persona nella testa cui affidare le battute. Proprio nel colloquio con Massimiliano Civica (tutor di produzione, ndr) espressi qualche difficoltà perché alcune battute suonavano come troppo scritte. In più l’inglese è una lingua molto lineare mentre l’italiano è molto poco economico, più ricco di sfumature. Pertanto in molti casi è stato necessario cogliere il senso delle battute per renderle senza tradirle, in un lavoro che è stato più di drammaturgia che di trasposizione linguistica vera e propria. Ecco perché sono contento di uscire nei crediti sul cartellone non per la traduzione ma per l’adattamento, oltre che per la regia. Con gli attori abbiamo dovuto lavorare sulle situazioni più che sulle battute, infatti, anche nella resa in italiano.

LF: Come hai anticipato hai affrontato la selezione con Massimiliano Civica, consulente artistico del Teatro Metastasio. Com’è stato lavorare e collaborare con lui?

CA: Massimiliano era stato mio insegnante in accademia quindi già lo conoscevo. Uno dei suoi pregi è quello di essere una persona poco settoriale, ovvero lui è sempre lo stesso in ogni ambito, sia come insegnante, sia come regista, sia come spettatore. Già come insegnante ci parlava di produzione perché un artista deve ragionare anche in termini di ciò che vuol fare e di cosa gli serve per farlo. In questo senso Massimiliano mi ha aiutato nelle scelte non suggerendole ma dandomi dei parametri per fare la scelta più appropriata. Così il suo è stato un supporto artistico che mi ha sì posto dei limiti i quali però sono diventati arricchimenti. Con i suoi dubbi e le sue domande ha saputo aiutarmi a fare le scelte di regia più giuste per il luogo dove avrei messo in scena il mio spettacolo.  Talvolta non ha assecondato le mie scelte ma le ha rispettate perché funzionali. In sostanza Massimiliano ha la capacità di riportarti sempre alla realtà senza negarti lo slancio artistico personale. Pertanto era la persona migliore per fare il tutor di produzione. Questo suo contributo non sarà quindi solo per questo spettacolo ma per il mio futuro artistico.

LF: Per conoscere adesso più il tuo essere spettatore, qual è il teatro che piace a Carmelo Alù?

CA: Negli ultimi anni mi sto abituando a seguire più le persone che non gli spettacoli veri e propri. Mi faccio anche dei veri e propri viaggi per andare a vederle. Mi vengono in mente Daria Deflorian, Roberto Latini, Antonio Tagliarini. E molti li ho conosciuti proprio nell’ambito del Metastasio o a Castiglioncello. La Toscana in questo non mi ha mai deluso. Per il resto non ho un artista di riferimento ma mi piace assistere alle grosse produzioni. Anche l’opera lirica è interessante soprattutto per il lavoro di drammaturgia che c’è dietro. Infatti in quel caso la musica comanda e quindi il regista è costretto a fare un lavoro di adattamento e di riscrittura molto importante.

CANI MORTI regia di Carmelo Alù

Dopo l’opportunità di intervistare il regista e la possibilità di assistere ad una sessione di prove, siamo stati tra il pubblico al debutto dello spettacolo.

Immobilismo e indolenza sono sicuramente i tratti distintivi dei personaggi che si muovono sul piccolo palco del teatro seguendo principalmente direttrici lineari e perpendicolari le quali aiutano a definire quegli spazi non delimitati da nessuna scenografia. All’immaginazione dello spettatore è infatti affidato l’arredamento del soggiorno, fatto salvo un tavolo con tre sedie e una ciotola piena di cibo per cani, così come il panorama che si intravede dal faro-finestra posizionato di lato come unico punto di riferimento spaziale.

È con il susseguirsi degli attori sulla scena e il dipanarsi delle azioni e delle battute che il contesto assume tratti sempre più sfuocati per rivolgere l’attenzione solo ed esclusivamente a quei giochi di sguardi, di silenzi e di imbarazzi che riempiono lo spazio e i rapporti tra i personaggi. Proprio su questo è evidente il lavoro di regia portato avanti da Carmelo Alù su e con gli attori ai quali, durante le prove cui abbiamo assistito, non ha mai risparmiato di far notare le sfumature di intonazione e di mimica necessarie a dare un senso a quelle battute così scarne e banali del testo. E sicuramente la sua esperienza attoriale, che ha dichiarato di amare e di voler coltivare, ha influito sull’approccio adottato nella costruzione dello spettacolo. Così accorto e chirurgico è stato il lavoro fatto con gli attori che sembra impossibile immaginarsi i personaggi con un volto diverso da quello affidato loro. In questo modo Alessandra Bedino non potrebbe essere altro che la convincente madre, la quale non riesce a comprendere cosa davvero significhi il cane per suo figlio, interpretato con grande efficacia da Domenico Macrì. Ad affiancare il binomio madre-figlio compaiono la figlia-sorella (Caterina Fornaciai) con il marito (Daniele Paoloni), i quali irrompono indesideratamente ad appesantire il clima di apatia della casa, e il vecchio amico del figlio (Emanuele Linfatti) che cerca di rompere una routine, soffocante soprattutto per lo spettatore. Non sono però quelli sul palco i veri protagonisti del testo. Infatti l’unica vera azione, il punto di rottura è costituito dall’omicidio di un vicino che è sempre e solo evocato e che precedentemente ha ucciso a mo’ di esecuzione il cane la cui ciotola piena ne rammenta costantemente la mancanza.

In un gioco di equilibri e di instabilità fatti di “dovrei” e di “vedremo”, il destino dei personaggi si fa vita solo nel momento in cui muore la fedeltà che come il cane non compare mai sulla scena ma ha il potere di mantenere in piedi un equilibrio che si spezza proprio quando viene a mancare. E allora i “cani morti” di Fosse diventano quei sentimenti e quelle passioni la cui perdita può scardinare le vite di ognuno di noi e lasciare che il destino irrompa implacabile, come nella tradizione della tragedia greca che tanto ha influenzato la formazione del regista. Se nell’arte contemporanea la forma ha lasciato totalmente spazio al concetto, allo stesso modo in questa drammaturgia lo spettatore non deve concentrarsi sulle immagini in quanto tali, ma sulla ragione delle scene affidate a secche battute in una marea di silenzi.

NOTE FINALI

Nell’ambito del progetto Davanti al pubblico 2018, che non riceve finanziamenti da sponsor esterni, sono previste 10 repliche dello spettacolo nei teatri che rientrano nel circuito della Fondazione Toscana Spettacolo. Il progetto sarà riproposto anche per il 2019 e le selezioni avverrano a marzo a Roma per impegni lavorativi che costringono Massimiliano Civica nella capitale in quel periodo.

CANI MORTI

di Jon Fosse
adattamento e regia Carmelo Alù
direzione artistica di produzione Massimiliano Civica
con Alessandra Bedino, Caterina Fornaciai, Emanuele Linfatti, Domenico Macrì, Daniele Paoloni
produzione Teatro Metastasio di Prato
con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
Progetto Davanti al pubblico
Teatro Metastasio di Prato / Fondazione Toscana Spettacolo Onlus / Armunia-Festival Inequilibrio / CapoTrave-Kilowatt Festival

Teatro Metastasio, Prato
18 dicembre 2018

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