Dal 31 gennaio al 5 febbraio è andato in scena al Teatro Lo spazio, BUK. LO ZOO DI BUKOWSKI, curato e interpretato da Angelo Longoni, con Simone Colombari, Valerio Morigi, insieme agli allievi dell’Accademia Action Pro.
Il palcoscenico del teatro Lo spazio, costituito da due ambienti sopraelevati, che si toccano creando un angolo retto, è sfruttato nella sua interezza dagli attori, che approfittano di questa doppiezza proponendo uno spettacolo bidimensionale, creando cioè due situazioni separate, due universi divisi ma dialoganti.Il pubblico è disposto frontalmente rispetto ad uno dei due lati, il più ampio, in modo tale da avere l’altro ambiente, più stretto, sulla destra, laterale. Due ambienti, due situazioni, ma anche due “spettacoli”: diversi per genere e per intenzione.
Pur essendo infatti proposto come un’unica pièce teatrale con argomento Charles Bukowski: ritratto del poeta attraverso i suoi scritti, risulta necessario distinguerne due parti, se non addirittura parlare di due diverse performances su unico tema. Di fronte al pubblico, nello spazio più ampio, con operosità, intervengono tre quasi-attrici e quattro quasi-attori, molto giovani, allievi dell’accademia Action Pro. Esprimere una critica in merito, dimenticando che questi ragazzi non sono ancora attori, ma sono nel pieno del loro percorso formativo, risulta impossibile e sarebbe ingiusto. Più che uno “spettacolo”, il loro lavoro è da considerarsi un saggio di metà anno o, meglio, la riproposizione del saggio messo in scena alla fine dell’anno accademico scorso, già presentato, con diversi allievi, dal 31 maggio al 5 giugno 2016, presso lo stesso teatro. Questa è l’unica prospettiva che consente di andare oltre l’acerbezza, l’immaturità tecnica, che consente di giustificare le sbavature e gli sprechi, per far emergere i neonati talenti. Criticandolo dunque come un saggio, è da considerare ammirevole l’entusiasmo con cui questi giovani allievi si sono avvicinati alla cruda spietatezza del poeta, coraggioso il superamento totale dei loro pudori, eroico l’aver accettato di dividere la scena con dei professionisti, suicida la consapevolezza di non poterne reggere il confronto.
I sette allievi hanno messo in forma e in moto delle situazioni, lanciate tematicamente dalle parole di Bukowski lette da tre attori, maturi, professionisti, loro insegnanti, sulla destra.Tra i giovani quasi-attori spicca indubbiamente il talento di Celeste Savino, migliore in scena, un astro nascente. Pur non riuscendo a celare la fatica, ha svelato completamente il suo corpo ritmico e una vocalità modulata e sonora, si è imposta con educazione e gentilezza sugli altri e agli occhi dello spettatore.
Sulla destra, come già detto, hanno preso posto i tre attori insegnanti: Simone Colombari, Valerio Morigi e Angelo Longoni. Anche nell’analisi della loro prestazione scenica, non si può parlare esattamente di “spettacolo”, o meglio, è necessario precisare che si è trattato di un reading. Curioso notare che nella locandina sono assenti i nomi degli allievi e presenti quelli dei tre insegnanti, ma, effettivamente, nella concretezza dell’organizzazione e distribuzione spaziale, sugli allievi si è concentrata l’attenzione, disponendo il pubblico frontalmente a questi ultimi e non ai primi. I professionisti, muniti, ciascuno, di leggio e microfono su asta, prendevano voce sulla base dei rimbalzi della luce che si spostava dall’uno all’altro ambiente. Le letture prevedevano brani di poesie e altri scritti del poeta, frammentato nei tre corpi degli attori. È sembrato che il reading sia stato preparato frettolosamente, viste le numerose sporcature e imprecisioni vocali e ritmiche. Nelle diverse dinamiche del lavoro è emerso Angelo Longoni come orchestratore, colui che effettivamente ha curato l’evento, ma che forse, distratto proprio dall’orchestrare, è risultato meccanico nell’esecuzione. Seppur anch’egli impreciso e incerto, è Valerio Morigi a brillare, attento almeno a coinvolgere il pubblico personalmente, trafiggendolo con occhi glaciali e scuotendolo con incarnate vocalità.
Bukowski? Del poeta ci viene fornito un ritratto sbiadito, riconoscibile solo dai luoghi comuni con cui lo riconosce certa cultura modaiola radical chic. Bohemien, maledetto, alcoolista, materialista, adulatore della morte, consumatore delle donne sostitute non necessarie di vizi onanistici, un po’ Baudelaire, un po’ Artaud, arrabbiato ma non troppo, amaro e sporco, scandaloso, corpo in putrefazione volontaria. Cliché. Macchietta. Nessuna nuova proposta. Nessuna nuova lettura. Un’esercitazione, niente più di un saggio.
Ecco, il punto è proprio questo. Perché vendere un saggio come uno spettacolo? Perché proporlo come lavoro di tre professionisti (nominati e nominabili) con intorno un coro di studenti (innominati ma nominabilissimi) e poi incentrarlo principalmente sugli studenti, reputati immeritevoli di nominazione, con i tre professori in qualità di coristi? Probabilmente la risposta a questi e ad altri interrogativi sta nel titolo stesso del prodotto “BUK. LO ZOO DI BUKOWSKI”.
Visto il 2 febbraio 2017
Info
A cura di Angelo Longoni
Con Angelo longoni, Valerio Morigi, Simone Colombari
E con gli allievi dell’ Accademia Action Pro