Si consuma, sul palco dell’Arena del Sole, Hybris, del duo Rezza/Mastrella, spettacolo che mette in luce la lotta eterna tra uomo e ordine.
Recensione a cura di Andrea Mattei
Arena del sole: Antonio Rezza
Spegnere i cellulari, divieto di girare video non autorizzati, invito ai prossimi spettacoli in cartellone e l’augurio di una buona serata: così l’Arena del Sole accoglie la folla che, numerosa, riempie la Sala Leo de Berardinis per assistere ad Hýbris, la nuova creazione di Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Certo, questo avviene prima dello spettacolo. Eppure, in qualche modo, possiamo già considerarlo iniziato: non solo perché, a sipario aperto, una tenue luce rossa ci permette di vedere il palco popolarsi di alcune figure, che più avanti, prenderanno vita, ma soprattutto perché quell’accoglienza che abbiamo appena ascoltato, pone il tema centrale dell’opera che andremo a vedere. La voce ci estranea, ci porta in una dimensione altra, una dimensione che accetta una divisione tra spazio scenico e spazio comune, mondano, ordinario. Ci viene dunque presentato il primo confine. Ed è con quello che, mentre si abbassano le luci, inizia lo spettacolo.

Hybris: LA PRESUNZIONE DI REZZA CHE ANIMA LA BATTAGLIA
I Greci indicavano con hýbris la presunzione che porta l’uomo a ribellarsi contro un ordine costituito, divino o umano che sia, presunzione che, immancabilmente, era seguita da una drastica punizione divina. Antonio Rezza sembra accettare quella punizione fin dal principio: emerge, con una cacofonia di suoni distorti, da una porta che è anche tomba. Scontata la pena anzitempo, Rezza si prepara ad affrontare, ridicolizzare e distruggere il più grande degli ordini costituiti: il confine tra il sé e l’altro. Energia sincera e irriverente, con un’ordinata baraonda di parole mette in luce le miserie, quando ridicole, quando commoventi, delle figure che gli stanno attorno (Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e Maria Grazia Sughi).
All’energia di Rezza, si contrappone la pacatezza degli altri attori: uomini civilizzati ormai, si potrebbe pensare, che sentono si, un richiamo all’animalità, ma che difficilmente riescono a cedervi, preferendo una fissità statuaria ad una sincerità dell’animalesco. Rezza allora li anima, diventando quasi una diabolica didascalia dei loro pensieri, delle loro intenzioni, che riesce a dire ciò che loro preferirebbero rimanga nascosto.
MASTRELLA E QUANDO LA SCENA CI RENDE NUDI

È un ring, asettico e bianco, quello che Flavia Mastrella crea per quest’occasione: un habitat scarno, di grandi cubi argentati, di materiali appesi, con due corde, sul fondo della scena, e una porta. Quella porta, però, trascende il ruolo di elemento, e si avvicina a quello di personaggio: essa evoca figure, crea confini, delimita lo spazio, il suo sbattere risveglia fasci di luce, che, come in un’era primordiale, si accaniscono sulla scena, mortificandola e dandole, costantemente, nuova forma. Si è nudi, davanti a quest’immagine: prive di ogni sovrastruttura, siamo solo noi, il nostro istinto e il nostro bisogno di ordinare, per dare un senso.
ROTTO IL CONFINE, IRROMPONO GLI APPLAUSI
Cosa avviene, quando si varca un confine? Oppure, quando si è invitati a varcarlo? O, meglio ancora, quando la circostanza, per quanto paradossale, ci obbliga a farlo? Il palco non è più un limite, si scende in platea, così come avviene qualcosa nell’ombra dietro al fondale. Il teatro è invaso, ed anche il pubblico, ormai, che è parte dell’avvenimento, non può non applaudire.
Dati artistici
di Flavia Mastrella Antonio Rezza
conAntonio Rezza
e conIvan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli
e con la partecipazione straordinaria diMaria Grazia Sughi
(mai) scritto daAntonio Rezza
habitatFlavia Mastrella
assistente alla creazioneMassimo Camilli
luci e tecnicaDaria Grispino
organizzazione generaleMarta Gagliardi, Stefania Saltarelli
macchinistaAndrea Zanarini
produzioneRezzaMastrella, Cooperativa La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro di Sardegna
coproduzioneSpoleto, Festival dei Due Mondi
ufficio stampaChiara Crupi – Artinconnessione
foto di Annalisa Gonnella