Evento speciale al Teatro di Rifredi di Firenze con BENT spettacolo teatrale di Martin Sherman per la regia di Lorenzo Tarocchi e interpretato da Henrj Bartolini, Gabriele Giaffreda, Alessio Nieddu, Alessandro Novolissi, Francesco Tasselli, Davide Arena. Si parla di un tema coraggioso, poco praticato in teatro e in generale nel dibattito storico sul nazismo. Si parla di omosessualità e della sua negazione ad opera del nazismo. Si parla di persecuzioni e di amore, un amore impossibile eppure capace di rompere le catene di ogni oppressione, capace di mostrare all’uomo la sua bellezza, anche all’inferno.
La storia di BENT inizia a Berlino, nella mattina seguente ad uno dei più inquietanti episodi relativi all’ascesa di Hitler al potere: la Notte dei Lunghi Coltelli, Il 30 giugno 1934, che segna l’inizio della sistematica persecuzione nazista contro gli omosessuali. Nulla di tutto questo immaginano i due giovani conviventi Rudy, Alessio Nieddu e Max, Gabriele Giaffreda, assorbiti dalla loro vita scapestrata e scanzonata tra divertimenti, incontri occasionali, espedienti goliardici per sbarcare il lunario. La loro gioiosa routine è squarciata dall’inizio della persecuzione che li porta prima alla fuga poi alla cattura e infine alla deportazione a Dachau. Rudy muore nel viaggio di andata, picchiato da un sadico nazista, dai toni evidentemente effeminati, calcati fino a risultare folle e grottesco, che induce lo stesso Max ad infierire sul corpo di Rudy fino ad ucciderlo. Giunto al campo Max si spaccia per ebreo e indossa la casacca con la stella di David Gialla, ma l’incontro con Horst, Henrj Bartolini, detenuto dal triangolo rosa marchio degli omosessuali, cambia per sempre il suo modo di resistere all’orrore: i due intraprendono un’impossibile relazione, un’amicizia che diventa amore contro ogni ragionevolezza, dentro l’universo impazzito del lager, costruito appositamente per sovvertire ogni logica e residuo di umanità. Condannati a spostare senza motivo da un mucchio all’altro pesanti mattoni, i due costruiscono uno spazio di intimità sull’orlo del baratro, si accarezzano attraverso le parole, evocano calore, erotismo, speranza. Nel loro incontro l’amore, la tenerezza, la cura, la sensualità, diventano strumenti di resistenza al controllo ossessivo delle menti e dei corpi, tipico di ogni regime totalitario.
L’amore li conserva umani, sgretola la maschera di dissimulazione frutto del pregiudizio subìto, li libera da ogni prigionia reale o mentale, permette loro di manifestarsi con piena autenticità. Si compie il pieno riscatto della propria identità per Max quando sconvolto indossa con fierezza il triangolo rosa da omosessuale, ormai riconciliato con se stesso e la propria dignità, prima scagliarsi sul reticolo elettrificato e morire.
La narrazione è scandita dal commento surreale intonato da Greta, un travestito di Berlino che cavalca con cinismo questi anni di violenza, una sorta di Caronte, o forse un oscuro Virgilio nel viaggio all’inferno dei due protagonisti:. Un viaggio nell’oscurità di se stessi, nella lotta dilaniante tra l’angelo e la belva nascosti in ogni uomo, tra egoismo e apertura verso l’altro, nella paura e nella resistenza per restare umani.
La scena è scarna: pochi oggetti che opportunamente ricollocati dagli attori stessi in scena variano gli ambienti, trasportandoci dall’allegro disordine dell’alloggio di Berlino alla squallida desolazione del campo di lavoro.
La musica intreccia temi diversi si alternano motivi del tempo a composizioni contemporanee che accompagnano i momenti più commoventi. Su tutto, spicca il richiamo della sirena del lager, che scandisce i pochi minuti di pausa dei detenuti, in piedi, immobili, guardati a vista da invisibili guardie. Il lacerante suono acuto della sirena del lager come un pianto annuncia la speranza dei fugaci momenti di incontro profondi e intimi dove la capacità di abitare la fragilità dei sentimenti e delle emozioni definisce l’umanità delle vittime, contro la barbarie perversa e asettica dei carnefici. Il passaggio tra una scena e l’altra avviene attraverso suggestive coreografie accennate, movimenti simbolici del corpo, al ritmo militaresco di un tamburo, che scandisce la china discendente dei personaggi.
Tutti gli attori, Henrj Bartolini, Gabriele Giaffreda, Alessio Nieddu, Alessandro Novolissi, Francesco Tasselli, Davide Arena, interpretano con grande generosità e verità i propri personaggi, lasciandosi condurre da emozione autentica che, se a tratti provoca in loro stessi qualche involontaria sbavatura, ottiene l’effetto di suscitare nel pubblico profonda commozione e identificazione.
La prova dell’efficacia della produzione di questo spettacolo la si trova anche osservando il pubblico: tanti ragazzi, tanti adolescenti, il dialogo coi quali è fortemente voluto dal Teatro di Rifredi impegnato da sempre nella divulgazione teatrale anche alle scuole della città.
Vedere questi giovani spettatori alzarsi alla fine con le lacrime agli occhi, colpiti, commossi, silenziosi nella rielaborazione empatica di quanto visto, è bellissimo. Alcuni di loro ci hanno regalato le loro impressioni a caldo.
Arianna: La recitazione era curata molto bene, tanto da farmi sentire come se stessi guardando un film, dove non ci sono mai errori. Ho apprezzato molto gli oggetti in scena: pochi ed essenziali, per concentrarsi maggiormente sugli attori e sul tema.
Sara: Spettacolo molto forte, potente ed emotivamente coinvolgente. La storia è incentrata, più che sull’omosessualità, sulla perdita della propria identità come strumento di coercizione e di totale controllo della persona, al punto tale da farla impazzire o perdere il controllo di sé.
Costanza: Spettacolo bellissimo. La scenografia mi ha lasciato un’impronta forte. La scena dava un senso di realtà ad azioni e gesti difficilmente comprensibili e totalmente irrazionali.
Mirco: Spettacolo molto coinvolgente. Scene concise e definite. Emozionante l’immedesimazione degli attori nei personaggi. Molto commovente la rappresentazione di relazioni profonde in luoghi impensabili per ogni tipo di essere vivente.
La parola torna ai giovani, dunque. A loro si rivolge questo spettacolo, nonostante le stupide polemiche che un tema delicato come quello dell’omosessualità e dell’identità di genere spesso finisce per suscitare. Lo spettacolo, prodotto dall’Associazione Culturale Masaccio e patrocinato dalla Regione Toscana e da Amnesty International, è stato accompagnato dal progetto educativo Non c’è futuro senza memoria curato dalla Prof.ssa Micaela Frulli, docente dell’Università di Firenze che commenta: “Personalmente coltivo una grande speranza: quella che i ragazzi siano pronti a ripudiare ogni forma di discriminazione e sono fiduciosa che questo avvenga perché ho avuto il privilegio di vederlo accadere con tanti studenti che hanno visto lo spettacolo”.
La potenza evocativa del teatro si pone al servizio della Memoria per poter scrivere ancora una volta nella coscienza delle future generazioni Mai più.
Ringraziamo per i loro contributi gli studenti dalla 5C del Liceo linguistico Peano di Firenze: Sara Miranda, Arianna Settembrini, Costanza Cambò, Mirco Colella, Pasquale Bressi.
Info:
BENT
di Martin Sherman
regia Lorenzo Tarocchi
con Henrj Bartolini, Gabriele Giaffreda, Alessio Nieddu, Alessandro Novolissi, Francesco Tasselli, Davide Arena
voce fuori scena Marcello Sbigoli
scene e luci Eva Sgrò, Loris Giancola
aiuto regia Cristiana Ionda
Produzione Associazione Culturale Masaccio
In collaborazione con Amnesty International Italia
Teatro di Rifredi
27 marzo 2018