BELLA E FIERA è un’ottima pagina di Teatro, espressione della sua finalità più alta: far riflettere sull’uomo e la società, sul passato e sul futuro che non sono mai disgiunti dal presente anche se troppo spesso si tenta di viverlo come entità a se stante priva di legami temporali e in tale ottica si cercano per i problemi rimedi immediati e assurdamente miracolistici senza interrogarsi sul perché si sono verificati. Il Teatro dovrebbe essere divertimento intelligente e riflessione per stimolare nello spettatore curiosità e quesiti che lo accompagnino anche fuori della sala e non solo una parentesi divertente o (ancor peggio) noiosa che non lascia tracce una volta chiuso il sipario e spento l’eco degli applausi.
Il testo di Laura Curino – una delle più creative e propositive drammaturghe italiane fin dai primi lavori dedicati agli Olivetti, protagonisti dell’epoca d’oro dell’industria italiana e a differenza di tanti anche ottimi industriali pure della cultura (chi ha una certa età ricorda certamente le Edizioni Comunità, una delle più interessanti, raffinate e colte iniziative editoriali italiane) e dell’impegno sociale – e la regia del giovane e bravissimo Emiliano Bronzino (ottimamente coadiuvati da quattro splendidi attori e da tre altrettanto bravi allievi della Scuola di Teatro del Piccolo) hanno regalato al pubblico un grande momento di Teatro.
La prima parte è formidabile e coinvolgente facendo capire con pochi tratti, meglio di qualsiasi ponderoso saggio, come la Fiera di Milano sia frutto non di una scelta politica ed economica calata dall’alto, ma della volontà della popolazione tutta: dagli industriali illuminati (la cui lungimiranza economica fu decisiva nel 1881 per dar vita alla prima Esposizione Nazionale) alle masse lavoratrici che intuirono che quel tipo di fiera era uno strumento essenziale per il loro futuro.
È la Fiera fu da subito vissuta come patrimonio comune, parte integrante della città come la Scala o le squadre di calcio: una realtà da difendere e di cui essere orgogliosi.
Un’intelligente scenografia – formata da schermi mobili su cui scorrono immagini d’epoca che scandiscono i vari periodi del racconto interagendo con gli attori che paiono uscire dalle foto – coinvolge lo spettatore facendogli vivere sensazioni ed emozioni dei protagonisti e immergendolo nell’atmosfera del tempo. Mirabili i flash sulla Scala e il ritorno di Toscanini dall’autoesilio americano (il grande Maestro aveva abbandonato l’Italia dopo essere stato schiaffeggiato perché si era rifiutato di dirigere Giovinezza, l’inno del Fascismo), sulla nascita del Piccolo e sulla ricostruzione della Fiera: tre eventi avvenuti con la città ancora piena di macerie e distruzioni che dimostrano come Milano (ma anche il Paese) avesse una classe dirigente e un’opinione pubblica che si rendevano conto come la cultura fosse fondamentale per il vivere civile e per lo sviluppo economico.
La Fiera Campionaria, evoluzione di quella prima esposizione del 1881, oltre a essere per l’industria italiana un fondamentale momento di business e di confronto con le più avanzate realtà estere, aveva, infatti, un’intrinseca valenza culturale: ‘Campionaria’ indicava come in fiera a Milano fossero portati i campioni, i prototipi di macchine, prodotti e invenzioni che spesso avrebbero cambiato lo stile di vita e la cultura della nostra società (aspetto brillantemente esemplificato dallo sketch sulla lavatrice).
La ‘Campionaria’ con la sua cultura a 360° ancora per tutti gli anni sessanta era il luogo in cui conoscere quanto di nuovo era creato nel mondo, appuntamento indispensabile anche per chiunque avesse l’intelligenza della curiosità.
I tempi sono poi mutati e con l’avvento della televisione che in qualche modo portava dal mondo in tutte le case le novità quel concetto di fiera è divenuto inutile, ma non le fiere come ha dimostrato l’Ente milanese intuendo tempestivamente che il nuovo concept espositivo non era più orizzontale ma verticale: i Saloni specialistici internazionali che permettevano agli ‘addetti ai lavori’ di toccare e spesso vedere funzionare e sperimentare in un luogo unico quanto di meglio in quel settore era prodotto a livello internazionale.
Teatralmente un argomento difficile da rappresentare, ma che Curino e Bronzino hanno reso in modo efficace, piacevole e comprensibile a tutti, così come l’abbandono del vecchio (ma funzionale) quartiere sorto nel 1923 sulle aree (di proprietà dello Stato e acquistate da Milano) della Nuova piazza d’armi, l’adeguamento alle nuove esigenze nel dopoguerra con la costruzione di padiglioni fantastici come quello della Meccanica, il sorgere delle strutture espositive al Portello, fino al nuovo quartiere di Rho.
BELLA E FIERA racconta circa 90 anni di storia della Fiera (dalla prima area espositiva nei giardini di via Palestro, a quella lungo i Bastioni di Porta Venezia fino al quartiere di Rho) e della città, ma soprattutto illumina la peculiarità tipicamente milanese in cui business e cultura si integrano sostenendosi e completandosi reciprocamente e in cui si riconoscono operai e imprenditori, commercianti e impiegati, qualsiasi sia il loro paese d’origine.