BAAL@Teatro Franco Parenti Milano

Di Bertolt Brecht e della sua vasta e originale produzione drammaturgica sui nostri palcoscenici sono generalmente proposti i titoli che l’hanno reso famoso, indubbie vette del Teatro del Novecento, e che hanno quei caratteri di universalità che li rendono attuali in ogni epoca e luogo, come avviene per le grandi tragedie greche o shakespeariane o per i molieriani ritratti di una società e di un’umanità che cambia solo nell’abbigliamento.

L’opera di Bertolt Brecht (Augusta 1898 – Berlino 1956) è articolata e complessa come la sua formazione. Nato in una famiglia di religione mista (cattolico il padre, protestante la madre) approdata da poco alla borghesia, s’iscrive alla facoltà di medicina di Monaco di Baviera, ma – affascinato fin da giovanissimo dalla letteratura e dotato di una notevole capacità poetica (le sue prime poesie sono del 1913) – abbandona gli studi prima della laurea per dedicarsi all’attività letteraria.

Dopo i primi scritti traboccanti patriottismo ed entusiasmo per la guerra, nel 1916 per aver messo in dubbio in un tema in classe la ‘morte eroica’ e la retorica della sua esaltazione suscita probabilmente il primo scandalo legato alla sua attività letteraria. In questa fase oltre agli influssi lasciati in lui dall’educazione evangelico-luterana (impostagli dalla madre), specialmente per quanto concerne il modello di lingua tedesca e la lirica religiosa sono molto forti quelli della poesia francese di cui Beaudelaire era uno degli esponenti più innovativi e delle avanguardie di Monaco e Berlino da lui sempre più assiduamente frequentate.

Il mese passato al fronte come militare di leva gli fa toccare con mano la reale situazione dei soldati causando il crollo definitivo delle adolescenziali simpatie nazionaliste del resto in contrasto con la sua indole indipendente, anticonformista e polemica. L’incontro con il marxismo (determinante per la sua vita personale e artistica) deve ancora avvenire, mentre sono gli anni in cui il Teatro lo cattura con l’elaborazione di Baal (1918), opera in cui sono forti gli influssi espressionisti e di quell’impareggiabile fenomeno culturale e inno alla libertà che è stato il cabaret berlinese.

Baal potrebbe quasi essere considerato un manifesto ‘in nuce’ della sua identità artistica e – anche se parziale – politica essendo il personaggio di Baal quasi autobiografico: entrambi sono artisti capaci, affascinanti, fortemente antiborghesi e in conflitto perenne con il Potere.
Baal è un solitario, estremista antiborghese ed è contro ogni struttura che in qualche modo rappresenti il Potere nella società tanto da rifiutare non solo qualsiasi compromesso offerto alle sue capacità dalla cultura ufficiale preferendo vivere trascinandosi nelle bettole e barattando la sua arte con il bere, ma anche l’amicizia e l’amore che non sia l’atto sessuale fine a se stesso. Il suo è un estremismo giovanilistico volto a distruggere senza preoccuparsi del dopo e di un progetto di società da costruire sulle macerie. Quel progetto che qualche anno dopo Brecht troverà nel marxismo.

In questo suo nichilismo nutrito di slogan, in questo suo richiudersi nelle mura di un egoismo distruttivo Baal è sorprendentemente e tragicamente attuale in un mondo in cui in molti seminano voglia di distruggere l’esistente, paure del nuovo e del diverso, disprezzo per ogni mediazione, ma non hanno un progetto perché gli slogan da soli non costruiscono nulla.

Baal è un testo bello e difficile, anche se ovviamente con tutti i limiti di un esordio. Non rientrando nel filone aureo del Brecht maturo non ha avuto molta dimestichezza con i palcoscenici italiani. Nella sua storia il Parenti lo presenta per la seconda volta: dopo l’edizione portata nel 1986 dal regista Roberto Guicciardini sul palcoscenico dell’allora Pierlombardo, ecco la bella e affascinante messa in scena di Giuseppe Isgrò che ne accentua la connotazione musicale e in cui il ruolo del percussionista jazz Elia Moretti è fondamentale tanto quanto quello degli attori (Enrico Ballardini, Francesca Frigoli, Dario Muratore e Margherita Ortolani) tutti da citare per l’eccellenza della loro difficile performance.
Una messa in scena forse tributaria in qualcosa all’interpretazione di Baal fatta da David Bowie – come attore – nel 1982 nell’adattamento televisivo mandato in onda dalla BBC e per il quale il grande artista inglese ha scritto le canzoni sul testo originale di Brecht.

Baal è un’opera che oggi come allora non vuol essere rassicurante, anzi vuol costringere a uscire da una situazione di acquiescenza improduttiva e interrogarsi su se stessi e sulla società in cui si vive, e in questo risponde pienamente a quella che da sempre è e sarà la funzione del Teatro: creare cittadini pensanti.

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF