De Genere è il bellissimo titolo della nuova edizione di Avamposti Teatro Festival appena conclusasi, sotto la direzione artistica di Maria Cristina Ghelli del Teatro delle Donne. L’etimologia del titolo genera una varietà di associazioni e tematiche. Violenza di genere, genere umano, genesi, degenerazione, identità di genere. Queste sono le indagini che il Festival ha proposto, portando le diverse opere selezionate in altrettanti luoghi diversi, per suggestione e storia: il cortile di Michelozzo a Palazzo Medici Riccardi, l’anfiteatro della Limonaia di Villa Strozzi, il Teatro Manzoni di Calenzano.
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AVAMPOSTI TEATRO FESTIVAL: DE-GENERE
Il teatro, si sa, è sempre politico, anche se mette in scena un soggetto non direttamente attuale e dibattuto. La rappresentazione, se di qualità, è una proposta altra, che ci mette inevitabilmente in contatto con una visione di scarto, non appiattita, non conforme. I temi affrontati in questo Festival riguardano la società in cui ‘soffriamo’ e i suoi forti chiaroscuri, cortocircuiti (o degenerazioni). Nell’ottica di assistere a quattro spettacoli d’attualità controversa mi son posta nella domanda di comprendere quanto ognuno fosse, per mia opinione, necessario, in base all’originalità e all’urgenza. Perchè va pur detto che il teatro sociale viene anche scelto con leggerezza, per compiacere la tendenza del momento.
L’inizio del Festival appaga in pieno questo senso di necessità che sostiene il teatro di denuncia. LA METAFISICA DELLA BELLEZZA (13 settembre, Palazzo Medici Riccardi) è un progetto coraggioso, scomodo, fortunatamente inevitabile che manda in frantumi l’ideale biecoromantico e posticcio delle “case chiuse”. Un reading del genere – impegnativo, documentaristico, storico – può essere solo fortemente voluto. NESSUNO, IL MOSTRO DI FIRENZE (15-16 settembre, anfiteatro Villa Strozzi) non è un’ennesima ricostruzione investigativa, offre una prospettiva originale della strage, dando spazio a episodi di una quotidianità semplice, in netto contrasto all’orrore che incombe, ma l’ho sentito zoppicare, con importanti lacune di sostanza. CIRCEO – IL MASSACRO (17-18 settembre, anfiteatro Villa Strozzi) è un’altra delle vette del Festival. Spettacolo crudele e perturbante, di raffinata acutezza, ci fa interrogare sull’origine della violenza, attraverso la metafora di un vero e proprio gioco ‘istigatore’. LA MASCHIA (21 settembre, Teatro Manzoni di Calenzano) spettacolo di chiusura, mette a fuoco in toni surreali la questione dell’identità di genere dall’interno di una metamorfosi comica e squisitamente provocatoria, giocando con le stereotipie di maschio e femmina e svelando la mescolanza inestirpabile o convivenza coatta di maschile e femminile in ognuno di noi. E come fare a meno di queste proposte di cui sentiamo chiaramente la passione sorgiva e l’unicità degli stili?
“La metafisica della bellezza” di Elena Arvigo con Elena Arvigo e Amanda Sandrelli
Siamo immersi in più strati temporali. Architettura di metà 400, gli anni 50 da cui escono queste grida-storie e una sera benevola di venticello settembrino del 2019. Il cortile è così bello e suggestivo che lo sfarfallare delle chiacchiere tra gli spettatori evocano l’avvio a un’elegante festa d’altri tempi. Entrano in scena, sobrie, in nero, le due eccezionali interpreti: Elena Arvigo e Amanda Sandrelli e se lo mangiano quello spazio, perchè buttano fuori le voci che insorgono dalle donne marchiate, dalle prigioniere. Voci imbavagliate che finalmente dicono disastri, speranze, preghiere. Le attrici sono di temperamento ed espressività distanti, l’intensità di Sandrelli è popolare ed esplosiva, quella di Arvigo levigata e fine e la combinazione arricchisce la varietà di ‘incarnazioni’, tanto che spesso riusciamo proprio a vederle queste giovani donne. Le prostitute delle “case chiuse” scrivono alla senatrice Angelina Merlin, si rivolgono a lei come alla Madonna, alla madre buona, alla guerriera Giovanna d’Arco, perchè la senatrice è l’altra parte dello specchio, è ciò che non sono, la senatrice è una donna al potere e si sta occupando di loro. Delle loro condizioni, della loro salute. Le sta andando a far visita. Miracolo, grazia. Sono missive in cui si consegnano con candore, missive impregnate di entusiasmo resistenza malinconia rimpianto. Finalmente quelle storie interrotte, vivissime, escono dalle mura di muffa, trovano l’aria e la luce di un ascolto. Per la prima volta queste donne sentono la carezza di un futuro. E mentre confidano prepotenze, vuoto e stanchezza, tutte, proprio tutte, cercano di sostenere la senatrice in quella battaglia santa: abolire le case chiuse, liberarle da uno sfruttamento raccapricciante, da un sequestro illegale in complicità con uno Stato che le succhia e non dà loro alcuna assistenza medica. E a spolparle ci sono anche i tenutari e le megere. La lettura battente di queste lettere originali, a volte visceralmente sgrammaticate, sempre struggenti, delicate e crude, ci lascia senza fiato.
“Dormiamo negli stessi letti e ogni giorno facciamo incubi”, “Una volta prese si rimane incatenate poi ci gettano via”. Alcune le chiedono consigli sul figlio, altre dicono che qualità hanno e si proprongono per un lavoro “sono ordinata, mi presento bene, nulla lascia presagire che io sia caduta così in basso” come implorando con decenza uno spiraglio meritato. E che gli uomini a cui tanto piace venir qui ci “mandino le loro figlie e spose”. Sono ripudiate dalle famiglie, vengono sottopagate, e quindi non possono uscire. E se escono fisicamente a prendere una boccata d’aria cadono nel linciaggio di chi poi sale a farci sesso. Anche quaranta uomini addosso in un giorno. È un esemplare attacco allo scandalo dell’ipocrisia. Loro possono smascherare la società, la pornografia del perbenismo. La forza delle interpretazioni cresce insieme al livore delle descrizioni, agli scenari da lager. Si accalcano sui nostri corpi parole che insistono e ritornano dandoci la nausea e l’oppressione di quell’immisurabile sofferenza: marchio d’infamia, porte chiuse, porte in faccia, calvario, ributtante, bestiame, via crucis, fossa infernale, vampiri, marciume. “Chiudete queste tombe dei vivi”. Cosa aggiungere? Una sorta di lieto fine: la Merlin, dopo diversi anni, vinse la battaglia. Le “case di tolleranza” esistevano per tutelare la salute delle prostitute. La senatrice riscontrò tantissimi casi di sifilide. Cadde il “motivo” della loro esistenza. E una prigionia finisce. Elena Arvigo è l’audace ideatrice di questo progetto che si prende profondamente a cuore la condizione e la bellezza delle donne. Chapeau.
“Nessuno, il mostro di Firenze” scritto e diretto da Eugenio Nocciolini
Fa parte dello scenario l’aperto di cielo e alberi dentro il riquadro rettangolare del palco. L’anfiteatro della Limonaia di Villa Strozzi è spartano, non compiace la comodità degli spettatori ma privilegia la visione. Uno spazio che si presta a qualsiasi tipo di spettacolo. Scenografia fatta di sedie, tavoli, un angolo di bancone, del tutto funzionale ai cambi di situazione. Stazione di polizia, case del popolo, appartamenti. Lo spettacolo è interamente curato da Nocciolini, che è anche in scena e se la cava piuttosto bene. Il progetto risulta originale perchè non vuole investigare sul caso ma dare spazio a episodi di una quotidianità semplice, trascurabile, laterale all’incombere dell’orrore (che purtroppo non si affaccia mai), come intrecciando la scoperta di un omicidio alla concitazione di un gruppo di amici davanti a una partita dei mondiali di calcio. Un contrasto interessante. Le scene si danno il cambio con fluidità e spesso alludono, restano sospese, rendeno la narrazione piu inattesa. Ai ragazzini patiti di calcio e delle loro prime esperienze sessuali si affianca la cerchia dei maniaci guardoni, intorno a un tavolo a giocare a carte e a porci, con triti commenti. È chiaro l’intento realistico, la cura per le atmosfere, rendere il sapore casereccio e popolare dei paesini di campagna ma l’autore non arriva all’aspetto più greve, più ignorante e terrigno. I tanti (troppi) personaggi sono quelli variamente coinvolti nelle vicende: vittime, testimoni, genitori… Viene data priorità al prima. Sono flash, piccole storie normali, offerte spesso con una comicità efficace ma imbarazzante senza le ombre e le lacerazioni che un tale contesto tragico meriterebbe. Del dolore delle famiglie, della tensione e dell’agghiacciante brutalità degli omicidi non arriva un alito. E questo è il problema. Si avvicina piu a una commedia o a una fiction che alla rappresentazione di un incubo. Il pugno allo stomaco, il lato oscuro, dovrebbe essere la voce fuori campo del mostro che ci fa la morale con la spietata purezza del suo fanatismo religioso, il suo disegno di ripulire dall immondo: “conosco il male di queste colline”. Stridore, invenzione fuori luogo. Un autore può offrire il suo nessuno, ovvero l’idea che il mostro di Firenze sia uno, ma queste parole sembrano uscire da un serial killer di matrice americana.
Lo spettacolo è corale e personaggi diversi sono interpretati dagli stessi attori. C’è il rischio di confondersi perchè non sono tutti del calibro di Vania Rotondi, Roberto Giuffre, Gabriele Giaffreda e Antonio Fazzini, la cui entrata in scena dà un bello scossone e la presa delle loro interpretazioni solca la differenza. Ripeto, l’idea è notevole, ma la drammaturgia non viene mai bucata dall’angoscia, mancano i necessari momenti di contrappasso, soprattutto perchè le stragi sono realmente avvenute.
“Circeo- il massacro” di Filippo Renda, Elisa Casseri, regia di Filippo Renda
Scena minimale. Una poltrona e un divano a due, pelle bianca, struttura di metallo, arredo per villa da ricchi. I fatti del Circeo prendono vita attraverso alcuni assoli in cui Donatella Colasanti, l’unica sopravvissuta, chiede di non dover più ripetere ciò che vuole dimenticare. Ma viene prevaricata da interviste, interrogatori, e fu un’altra tortura durati anni e anni. Lo spettacolo per raccontare quella violenza e il male che esplode così frequentemente è decisamente un altro. La rappresentazione trasversale della storia di un massacro. La metafora di come nasce la brutalità, i piccoli, “innocui” meccanismi quotidiani. Un origine così semplice, normale. Paroline, gesti sprezzanti, sguardi di rimprovero, morsetti al veleno, cosucce a cui non diamo peso ma che son atti aggressivi e si accumulano e montano fino a diventare incontrollabili. E il corto circuito non dovrebbe sorprenderci. Ecco la storia (geniale): una giovane coppia riceve una visita inaspettata e accoglie in casa una seconda coppia sconosciuta. Alla funny game. Dai su, ci conosciamo, eccetra. I due intrusi, che “sembrano gentili”, propongono un gioco in scatola da loro inventato. Isolamento totale, condizione ottimale per superare i limiti. Forte tensione fino alla fine. Aldilà del valore d’indagine, di questo interrogarsi sulla natura umana, è un thriller psicologico che ci tiene in scacco. Il gioco sadiano spinge ognuno ad umiliare l’altro, sempre di più, sempre di più, chiaramente. Eppure la scena iniziale è proprio questa: la coppia nella casa, stretta in un abbraccio, svela fin da subito i ruoli fissi, la fidanzata domina con soddisfazione e lui gliela dà sempre vinta. Come un accordo. Ci sono già i germogli del finale, ma quale coppia non è anche un covo di prevaricazioni esplicite o sotterranee? Si mischiano abbracci e colpi bassi, è routine. Succede che uno dei due faccia sentire l’altro inferiore e inadeguato. Ahi. In questo gioco al massacro, in questo massacro come gioco, dovrebbe vincere il più sadico, il più incline alla prepotenza e alla supremazia. E anche qui, in fondo, avremo una sorpresa. Viene messa in scena, con abilità e precisione straordinaria da parte dei bravissimi attori, l’estremo gusto della crudeltà più sottile. “Poi se ci scappa il morto, oh, mica è colpa nostra. Si gioca. Se sei debole, sei debole. Se muori, muori. Noi siamo dei mostri a questo gioco. Siamo degli eroi.” Le due coppie sono inversamente speculari. In quella ‘sconosciuta’ è l’uomo a comandare. Geometria diabolica, specchio rovesciato, confronto esasperante, schema facile alla miccia di una degenerazione. Gli intrusi come entrano in scena con il pacchetto delle bignoline ci inquietano, hanno qualcosa di infantile e raggelante, da farsa, hanno un controllato ‘sopra le righe’ che li rende piuttosto mostruosi e ineluttabilmente complici. Loro si nutrono del caos, manipolano gli altri, facendoci a tratti ridere e rabbrivire. Una nota di particolare apprezzamento all’interpretazione di Alice Spisa nel ruolo di questa donna dolcemente ai confini della follia, sono i modi di questo suo personaggio, apparentemente inibito e succube, che portano il paradosso al massimo, mostrando l’intercambiabilità tra vittima e carnefice. La finzione della distinzione tra il buono e il cattivo. C’è ogni tipo di guerra in questo spettacolo. Tra i sessi, con sé, con l’altro, e ogni alleanza risulta distruttiva. Infatti il fidanzato che sta ‘sotto’, il più buono, il più sensibile, provocato dall’altro maschio, avrà modo di rifarsi durante il gioco, di liberare la sua rabbia repressa, di giocarsi la sua rivincita. È questa avidità di potere che sorregge le relazioni umane? Sì, sembra non ci sia scampo. Chi è fortunato se ne accorge, si ferma in tempo. Come avrebbe voluto fare la fidanzata despota. Gli iniziatori alla soppressione hanno fatto fare quel che desideravano. Drammaturgia sorprendente e interpretazioni ottime.
“La maschia” di Claire Dowie, regia di Andrea Adriatico. Con Patrizia Bernardi, Olga Durano, Alexandra Florentina Florea
Sulla scena la sagoma di tessuto di una casetta, come la disegnerebbe un bambino. È una struttura piatta e girevole, che permette, attraverso pareti diverse, l’esistenza fantastica di più stanze: sala con telefono, salottino e bagno.Il bagno sarà particolarmenete importante perchè quello che le accade è intimo, avviene nel corpo, come dovrà farla questa pipì? “alza la seggetta, abbassa la seggetta” nell’incertezza la fa sotto la doccia, ma è chiaro che la nudità disarmante è il nucleo di questa rivoluzione in ogni parte della giornata. Sono i gesti quotidiani che si trasfomano insieme al corpo. La signora H, doppio leggiadro del Gregor Samsa kafkiano, non si sveglia scarafaggio. “Sto diventando un uomo, tutto è iniziato dalla mano destra.” La protagonista è Olga Durano, un’attrice di altissimo livello. Sono calamitata dalla sua voce profonda, dalla scansione delle parole, dal valore che dà ad ognuna, mettendo in azione quel che il monologo dice. Se dice mi spoglio, si spoglia. Scelta registica non tradizionale, che dà spazio alla fisicità necessaria per questo risveglio dettagliatissimo in… uomo. La mano destra s’è avventata desiderosa al suo seno sinistro, e da qui inizia un divertissment irresistibile, raffinato e disinibito, su mutazioni sconcertanti: crescita di peli, masturbazione anomala, ingrandimento del clitoride, ma è con lentezza, sospensione, sapori surreali e sfasamenti beckettiani che si esprime questa metamorfosi combattuta, portatrice di asimettria, scoperte e desideri nuovi.
“Mentre mi avvicino allo specchio, l’estraneo si avvicina a me”. Questa prepotente odiata identità, con quel prurito fisso nella zona cruciale, è inizialmente motivo di ritiro e vergogna, tanto da sottrarsi allo sguardo dell’amica tutta maquillagge, con la sua strepitosa acconciatura medusiana e mangiare l’uva che le aveva portato dalla buca delle lettere. L’amica lancia il chicco, lei lo acchiappa, e così via, fino alla sfida di riempirsi la bocca di più chicchi possibili. Quando la farà entrare c’è il tributo all’imbarazzo guardando insieme la parete bianca. Progressivamente il desiderio, che è mutato con il corpo, le darà atteggiamenti sicuri, quasi sfacciati e conquistatori. E l’amica seduttiva le risulta un po’ puttana. La stund up comedy di Claire Downie, tradotta da Stefano Casi, gioca con la compresenza di femminile e maschile, mostrando quanto siano buffi i luoghi comuni e le attitudine accertate di entrambi. Svela e ironizza i pregiudizi, gioca con queste maschere contrapposte, portandoci un senso gioioso e liberatorio, spogliandoci dalle definizioni. Ognuno in fondo merita un sesso tutto suo. Davvero un’opera originale, lieve e profonda, per attraversare l’identità, mostrandoci quanto sia facile slittare dal femminile al maschile e viceversa, e potersi riconoscere in questa fluidità di genere. Ma è anche un’opera sul cambiamento di sesso, da female to male, quello meno indagato. Brava anche l’altra attrice (Patrizia Bernardi) con una potenza mimica di grande impatto. Piuttosto trascurabile la presenza della donna delle pulizie. Adriatico, da cui esce questo spettacolo, lavora da anni su tematiche LGTB, privilegiandone l’aspetto poetico e ironico.
LA METAFISICA DELLA BELLEZZA
READING lettere dalle case chiuse
dalle lettere delle prostitute alla senatrice Merlin
progetto e regia Elena Arvigo
con Amanda Sandrelli e Elena Arvigo
Cortile Palazzo Medici Riccardi
13 settembre 2019
NESSUNO il mostro di Firenze
testo e regia Eugenio Nocciolini
con Gabriele Giaffreda, Monica Bauco, Antonio Fazzini, Roberto Gioffré, Paolo Martinenghi, Eugnio Nocciolini, Giacomo Rosa, Vania Rotondi
e gli allievi della CalenzanoTeatroFormAzione
Anfiteatro della Limonaia di Villa Strozzi
15 settembre 2019
CIRCEO Il massacro
di Filippo Renda, Elisa Casseri
regia Filippo Renda
disegno luci Andrea Narese
con Michele Di Giacomo, Alice Spisa, Arianna Primavera, Luca Mammoli
Produzione Il Teatro delle Donne, Idiot Savant
in collaborazione con Riccione Teatro, Associazione DIG, Rete degli archivi per non dimenticare, Corte Ospitale, Alchemico Tre
Anfiteatro della Limonaia di Villa Strozzi
18 settembre 2019
LA MASCHIA
di Claire Dowie
versione italiana di Stefano Casi
uno spettacolo di Andrea Adriatico
con Olga Durano, Patrizia Bernardi, Alexandra Florentina Florea
Produzione Teatri di Vita
Teatro Manzoni di Calenzano
21 settembre 2019