AU BORD @Teatro Cantiere Florida: quale verità dietro un’immagine?

AU BORD, adattamento dell’omonimo testo dell’acclamata drammaturga francese Claudine Galea insignito del Grand Prix de litérature dramatique con la regia di Valentino Villa ha inaugurato, in prima toscana al Teatro Cantiere Florida di Firenze, la seconda parte di Materia Prima Festival a cura della compagnia Murmuris. Sul palco per l’apertura di “Dieci”, stagione 2022/2023 nata dalla curatela congiunta di Elsinor Centro di produzione teatrale, Murmuris e Versiliadanza, l’attrice due volte Premio Ubu Monica Piseddu. La potenza di un’immagine divenuta parte dell’immaginario e della memoria collettiva, diventa occasione di risonanza col vissuto personale della protagonista e apre uno spiraglio di lucida, a tratti algida, riflessione sul femminile e la gabbia dei suoi stereotipi, oltre che sulla natura ineffabile della violenza umana.

A cura di Sandra Balsimelli, Sofia D’Andrea, Francesca Valente

AU BORD: la scatola asettica della mente

AU BORD: La scatola asettica della mente

La scena è una scatola asettica: tre pareti monocrome, il cui colore cambia nel corso dello spettacolo, e una quarta parete trasparente che isola il palco, rendendolo quasi autonomo. L’effetto della monocromia ricorda quello dell’ultima sala della mostra fiorentina di Olafur Eliasson a Palazzo Strozzi: sembra di immergersi completamente nel colore, tanto da perdere quasi la percezione della profondità dello spazio. La scena sembra rappresentare concretamente la mente della protagonista, che si muove sul palco vestita di bianco, senza mai mostrare il suo volto e senza quasi muovere le labbra mentre parla. La voce metallica, anonima, universale dell’attrice scandisce come in una litania le parole. Sullo sfondo compaiono a tratti delle immagini, che si fanno pretesto per esplodere la violenza verbale e psicologica del monologo. Una di esse è la fotografia che apparve Washington Post il 21 maggio del 2004 segnando in modo perturbante la memoria collettiva: una ragazza soldato americana, mascolina, inerte, indifferente, trascina al guinzaglio un prigioniero, prestandosi ad un gioco di possesso e annichilimento, nel carcere Abu Ghraib in Iraq. A questa istantanea del contemporaneo, si alterna quella di un bassorilievo dell’altare di Pergamo che rappresenta Atena mentre sconfigge il gigante Alcioneo e lo prende per i capelli. Due immagini di potenza femminile, che si richiamano tra passato e presente.

AU BORD: “io sono il guinzaglio”

AU BORD: Io sono il guinzaglio

Il rapporto tra immagine assurta a simbolo universale e vissuto privato si fa scivoloso e inquietante, quando l’attrice, di cui seguiamo il percorso psichico, onirico, memoriale della voce narrante  ( “io sono…”, “io penso…”), glissa dalla foto alla narrazione di sé, alla storia di abbandono subito dalla donna amata fino alla violenta e brutale indifferenza infertale dalla madre. La protagonista cammina in bilico sul bordo del proprio passato, incapace di dare un senso a ciò che è stato e ossessivamente perseguitata dall’immagine della soldatessa, che le ricorda la donna che ha amato, la madre, e se stessa, una marionetta nelle mani di coloro che l’hanno fatta soffrire. Il continuo slittamento di prospettiva costringe ad un’immersione sgradevole e illuminate al tempo stesso in un femminile androgino, freddo, inaridito dalla mancanza d’amore, dove sesso, corpo e relazione si esasperano in un parossistico gioco di potere. Il guinzaglio della foto (“io sono il guinzaglio” ripete, seriale, Monica Piseddu) si fa icona allusiva, oscena, correlativo oggettivo della dipendenza ambigua a cui sembra ridursi ogni rapporto: la protagonista, la madre, l’amata , la donna soldato della foto, si sovrappongono come frammenti sfumati uno nell’altro, in un gineceo labirintico da cui il maschile è totalmente estromesso. Non si tratta del prigioniero a terra, non ci si sofferma – nessuno mai lo ha davvero fatto – sull’uomo incappucciato, denudato, umiliato a terra. Gli occhi di tutti sono su quella mano di donna che tiene il guinzaglio, divenuta simbolo involontario di un rovesciamento di sorti, di un’affermazione di potere scaturita dall’aver indossato i panni del carnefice.

AU BORD: La verità sono le immagini?

AU BORD: Monica Piseddu davanti alla foto del Washington Post

Immagini che generano immagini, in un gioco di specchi tra soggetto e oggetto: quale verità dietro un’immagine? La verità sono le immagini? E cosa vede il mio occhio quando si proietta, denso di sé, su un’immagine, riscrivendone ogni volta il significato? “ Quello che disturba – afferma l’autrice Galea – è che sono io a generare quelle fantasie. Chi legge o chi ascolta non può più flirtare con la fantasia, non può più solo carezzare l’idea, restare al sicuro dentro una comoda distanza. Io spezzo la distanza, tolgo il velo, dono un corpo a quello che si immagina, mostro, descrivo e questo ci lascia a nudi, tutti, io e voi. Le persone amano essere dei voyeur, non essere visti. Ma per vedere bisogna accettare di essere visti’’. L’impressione per lo spettatore è, quindi, quella di essere lui stesso preso al guinzaglio e tenuto per tutto lo spettacolo Au bord, appunto, ai margini di un baratro che gli è inaccessibile, anche fisicamente ma che minaccia sempre di strabordare, di oltrepassare il limite del dicibile. A condurci in questo spazio liminale la presenza magnetica e intensa di Monica Piseddu, la sua voce tagliente e direzionata come una freccia che percorra un labirinto; il suo corpo flessuoso e inattingibile, avvolto di un biancore cerebrale che neutralizza e ovatta ogni incrinatura, pur emanando sensualità e esplorazione del desiderio, si muove come a disegnare il percorso intestino del pensiero, senza lacrime, senza pathos, senza tremore, un algoritmo che organizza un’ossessione e che imprigiona in un delirio solipsistico. L’altro è oltre l‘isola-mente. Irraggiungibile.

Visto il 4 novembre

AU BORD

di Claudine Galea

traduzione di Valentina Fago

regia di Valentino Villa

con Monica Piseddu

movimento Marco Angelilli

Lighting and stage design Sander Looner / ARP Theatre Limited

sound design Fred Defaye

assistente alla regia Andrea Dante Benazzo

produzione Romaeuropa Festival e 369gradi

in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Triennale Milano

con il sostegno di Toscana Terra Accogliente, Olinda

I diritti dell’opera “Au Bord” di Claudine Galea sono concessi da L’Arche Editeur, Parigi, in collaborazione con Zachar International, Milano

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