ASPETTANDO GODOT @ Teatro Ghione: Gerundio al presente

Chiusi dentro il distretto della santità, sotto l'ombra luminosa del Cupolone, si celebra la festa laica di Samuel Beckett. Non si può rimanere incollati e impassibili al caldo del proprio divano: dunque aspettiamo Godot insieme a tre mostri sacri: Siravo, Salines e Virgilio. Quel gerundio tanto noto lo coniughiamo al presente e ci infiliamo dentro le poltrone rosse e soffici del Teatro Ghione. L'autore non chiarisce bene se Estragone e Vladimiro attendano Dio, la morte o il destino. E intanto Godot, non ci sta alla prima: si fa sentire (e non vedere); tuona ma per davvero. Si sente lo scroscio potente della pioggia sotto le voci degli attori e crediamo in platea che faccia parte della messinscena, e forse lo è davvero perché quel brusio è perfetto!

Teatro dell'Assurdo, perché assurda è la vita. L'autore irlandese inizia il suo viaggio e cattura pensieri da questa semplice e complessa asserzione. Di questa meravigliosa scuola teatrale sono anche Ionesco e Sartre. Ma anche Camus. Qui è lecito l'uso di un apparente sproloquio che esprime invece e con tenacia il caos nel quale si è infilato l'uomo. E' un vortice di vita che pone ad ogni angolo di vita la stessa domanda ridondante: «Che facciamo adesso?». Si chiedeno i personaggi inoltre: «Forse siamo già felici?»  rimane sempre lo stesso dubbio. Pure da felici o contenti il dubbio su che strada prendere resiste. E' un'attesa infinita dentro la “finitezza” della vita. C'è tutta l'ineluttabilità dell'esistenza stesa accanto l'ombra esile di quell'albero appassito come un fiore. Privo di linfa. Stilizzato. Senza vita. Un salice piangente al quale non rimangono più foglie e lacrime. Non è dato ridere durante questa vita, ma sorridere. Appena. I due personaggi sentono il bisogno fisiologico di raccontare e passare all'altro gli incubi per alleggerire il peso grave dell'anima. Eredità rifiutata e senza il beneficio d'inventario dell'altro. In quel luogo non luogo il tempo sembra stazionare. Indugiare. Ma è solo un'illusione. E di nuovo c'è bisogno della spinta, della rincorsa per partire. “AVANTI!” Pozzo, padrone della terra, arriva col suo grido di battaglia, e rompe la quiete di quel deserto di arida pace. Al guinzaglio tiene il “porco” da ammaestrare, da bastonare. La bestia antropomorfa che si muove viscida e silenziosa al comando, e proprio al comando vomita un fiume inatteso di parole e frustrazione. Il monologo di Lucky (Fortunato) qui Fabrizio Bordignon, è noto a chi fa e vede il Teatro. Non facile, ci vuole il fiato dell'attore, tanto da meritare l'applauso della platea. C'è un rapporto simbiotico tra padrone e servo affidato alla corda che li lega; ma nel secondo atto qualcosa cambia. «Siamo felici?». Non arriva la risposta. Il dubbio viene rincarato ancora. E intanto Pozzo, qui l'ottimo Edoardo Siravo (anche lui strappa l'applauso all'uscita di scena fuori protocollo), inveisce con tutto e tutti e batte il suo nervo sulla terra silente come a smuovere, chiedere risposte. Intanto, Godot rimane impassibile e manda i suoi sicari.

Nell'idea di Scaparro, Godot è la morte che falcia le deboli esistenze. Ma ha la barba bianca: allora forse è Dio. L'autore non ha mai risposto. C'è nell'opera di Beckett una pregnante e irrinunciabile considerazione del tempo. Abbiamo il tempo di invecchiare. C'è il dolce abbraccio di Didi e Gogo, reso vero da Salines e Virgilio: entrambi hanno le fisic du role di chi ha vissuto la vita e si fa ancora domande. Di chi ha il corpo da vecchio e gli occhi da bambino. E' sempre merito e colpa di quell'istante. Nella luce breve si nasce. Nella luce breve si muore. Un giorno è come un altro. Tutto uguale, eppure diverso. E intanto l'uomo di dimena. Combatte. E' una lotta impari. Dunque può solo attendere, anzi aspettare, dunque: “Aspettando Godot”.

Interpretazione magistrale degli attori che rimangono veri, convincenti anche quando cavalcano le note alte di questo Teatro dell'assurdo che richiede un'ambientazione “assurda”, appunto. I tre mostri di bravura donano leggerezza a quel testo che chi vi scrive ha visto tante volte e ne ha sempre avvertito e recepito solo la gravità. Qui c'è anche l'odore della vita nascosto nella landa desolata che ha privato l'albero delle foglie e vitalità. Ha restituito la vita dolce (non solo aspra) quel tenero abbraccio di Salines e Virgilio che abbatte, in quella pausa di battute, la solitudine seppure per un istante.

Ci ha divertito e fatto riflettere Siravo (attore di straordinaria bravura) ad ogni battuta: quando inveisce contro la bestia umana, quando piange, perde la vista, trama, si dispera, mente e si confessa o cerca il tempo perduto per sempre proprio come la sua cipolla da taschino finita in qualche pertugio di deserto di terra ed esistenze. Scenografia scarna come nella tradizione dei migliori Godot.

Luci calibrate ad arte. Musiche evocative si quel luogo del nonsenso.

Spettacolo assolutamente da vedere se amate il Teatro d'autore e di qualità.

Dal 4 al 14 Aprile al TEATRO GHIONE di Roma
ASPETTANDO GODOT
di Samuel Beckett
Traduzione Carlo Futtero
Con Antonio Salines, Luciano Virgilio, Edoardo Siravo,Fabrizio Bordignon, Gabriele Cicirello
regia Maurizio Scaparro
Ass. alla regia  Gabriella Casali

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF