“Le coincidenze”, scrive Milan Kundera, “si posano come uccelli sulle braccia di colui che viene beneficato dalla buona sorte come fecero alla predica di San Francesco d’Assisi”. E per coincidenza assoluta e folgorante in questi giorni viene presentato il progetto per il nuovo teatro stabile che sarà edificato nel carcere di Volterra, a cura dell’architetto Mario Cucinella, rendendo la città assolutamente la prima a possedere una simile struttura, e contemporaneamente il Leone d’Oro alla carriera viene assegnato ad Armando Punzo, genio e sciamano della Compagnia della Fortezza e autore di un’esperienza d’arte trentennale unica e imparagonabile.
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Armando Punzo, Un’idea più grande di me

Sappiamo tutto di questo grande artista e non riusciamo mai a penetrarne il mistero. Si è raccontato esplicitamente mille volte, in particolare nel libro edito presso Luca Sossella, Un’idea più grande di me, scritto con Rossella Menna, un’autobiografia artistica sotto forma di memoir, un flusso di ricordi attivato dalla voce della coautrice, che talvolta interroga direttamente e talaltra funziona correggendo, stimolando, indirizzando il flusso della recherche in atto. Il libro diventa una fabula completa, ci accompagna agli albori dell’esperienza in carcere, un laboratorio di qualche centinaio di ore che si è trasformato in una intera vita, in una scelta senza ritorno verso un mondo altro che intende, lo vedremo, creare un altro mondo. Il carcere diventa una terra di opportunità, fornendo i performer della Compagnia (“non hanno i vezzi degli attori, non hanno i vezzi dei dilettanti, sono una cosa a sé”, ha commentato Massimo Marino) e le condizioni per un tuffo vertiginoso, un sì senza ripensamenti a questa esperienza ‘più grande di sé’. Ma diventa anche un antagonista, bloccando l’espansione del lavoro del gruppo, condannando regista e attori a migliaia di prove magari per poche repliche, e dopo la splendida festa del debutto ecco, il teatro cancella tutto, riporta indietro l’orologio, instaura il suo speciale tempo di fine pena lontano e incerto. Diventa un’etichetta da rifiutare, quella di fare teatro sociale, gabbia ristretta dalla quale Punzo si tiene fuori, ad ogni costo. Diventa patria, il teatro più piccolo del mondo, la stanza di lavoro, dove tutto comincia leggendo, ammucchiando testi, discutendo, finché il filo del progetto si sdipana e finalmente l’atto di creazione comincia.

Armando Punzo, i grandi spettacoli
Un libro, un apollineo racconto. Ma la carne e il sangue di Armando Punzo li abbiamo avuti, offerti in ostensione eppure mai completamente svelati, davanti a noi sul palco. La storia della Compagnia della Fortezza inanella testi gioiello. Alcuni possono ormai essere considerati capolavori della tradizione teatrale : Hamlice, per esempio, con l’innesto fecondo e geniale di Alice nel Paese delle Meraviglie e Hamlet, oppure Mercuzio non vuole morire, rimessa in vita di un personaggio shakespeariano mai uguale a se stesso, o, uno dei vertici, Santo Genet, dove il ripensamento dell’autore francese collabora a dar luogo a una performance in cui visività e messaggio danzano un’armonia paragonabile solo alla musica delle sfere. In questi storici allestimenti come nei lavori più recenti Armando Punzo è in scena, immagine molteplice, talvolta demiurgo, ‘tessitore cieco’, Shakespeare che attiva i propri attori- libro in Dopo La Tempesta, capolavoro bianco e grigio in carta e penna, gorgiere e alberi di nave che diventano croci, talvolta personaggio in cammino, creatore che crea e viene creato, come l’iconico Lui di Naturae, vertice contemporaneo del lavoro del gruppo.

Armando Punzo tra enigma e mistero
Vicino, attraverso le parole, attraverso le immagini gloriose e indimenticabili che ci muove davanti, attraverso un corpo che si espone in scena senza neppure, negli ultimi tempi, la maschera di un trucco o di un costume, eppure irrimediabilmente lontano. Vicino, attraverso i testi prescelti, che si incordano nei copioni degli spettacoli, confusi ed esaltati dalle musiche dello storico collaboratore, Andreino Salvadori, e che, emergendo, rivelano di essere stralci di Shakespeare, di Borges, o di Eraclito o dei poemi epici e formano un filo, una lenza, stringendo la quale speriamo di arrivare al nodo, al nucleo profondo, a capire, a sbrogliare la matassa. Ma è impossibile. Non è un enigma, direbbe Pasolini: è un mistero. E il mistero non può essere risolto, o non sarebbe mistero. Il mistero ripudia la logica. Non è con armi razionali che possiamo accostarci alla percezione – non alla comprensione – di spettacoli come questi. Sono un’esperienza. Un viaggio emozionale. Chiedono apertura, non comprensione. Non li capiremo mai, e sarà qui il segreto del loro potere attrattivo, dell’incanto che fa sì che ogni anno il pubblico si raduni nel cortile incandescente del carcere di Volterra e si apra a un nuovo capitolo di un’esperienza sempre nuova, frammentaria e armoniosa, e potente.

Armando Punzo e l’Homo felix
In realtà, forse è con un’immagine che possiamo spiegare tutto. Nell’ultima tappa di Naturae, Armando Punzo siede, tutto vestito di nero nel biancore accecante, e dirige col movimento delle mani, e di tutto il corpo, la danza/decollo del performer di colore che porta sulle spalle la struttura di legno che ha funzionato da chiave visiva dello spettacolo. I suoi movimenti diventano volo, vento, viaggio, e il legame con il demiurgo che alimenta tutto con le dita, il corpo, le viscere è così profondo, così intenso da far venire le lacrime agli occhi. Questa stessa immagine è simbolica del rapporto, unico, fra Armando Punzo e il suo pubblico, e, naturalmente, i suoi attori. È ai vinti che va il suo amore, si intitola il libro di Punzo stesso che aveva come obiettivo illustrare “i primi venticinque anni di autoreclusione con la Compagnia della Fortezza di Volterra”. Anche la bellezza può vincere, e non solo una perdita secca sul tavolo del destino. E d’altronde questo è, dichiaratamente, lo scopo del lavoro della Compagnia: creare un mondo altro, un’altra dimensione. Superato il mondo letterario, onnicomprensivo, di Shakespeare, andare oltre, verso nuovi orizzonti. Talvolta li solcano i personaggi di Borges, talvolta armate rosse o bianco gesso, talvolta funzionano da riti di rinascita, o di purificazione, o di creazione. Per una certa arte, il reale non basta: “ci sono i documentari”, dice ironico Punzo. L’arte può capovolgere la frase di Eschilo, secondo la quale una delle grandi tentazioni umane è farsi distruttore di mondi. Qui è la creazione a cui miriamo. Un mondo altro. ”Voglio creare un uomo e imporlo alla realtà. Passare dall’Homo Sapiens all’Homo Felix “. E tutti sanno che in latino felicitas vuol dire proprio questo: come tradusse Pascoli, “con fortuna buona”.
Gufetto e il legame con armando punzo
Nel corso degli anni Gufetto ha seguito costantemente la carriera e il lavoro di Armando Punzo pubblicando più volte recensioni ed interviste. Qui di seguito i link ai pezzi che nel tempo sono stati pubblicati.
- Sulla pubblicazione di Santo Genet da Genet per la Compagnia della Fortezza, di Arianna Frattali: articolo ed intervista all’autrice
- BEATITUDO 2018 all’Arena del Sole di Bologna: recensione
- NATURAE – OUVERTURE 2019 al Carcere di Volterra: recensione
- NATURAE 2020 al Carcere di Volterra: recensione
- Sulla pubblicazione di Un’idea più grande di me e la carriera di Armando Punzo: intervista
- NATURAE – LA VALLE DELL’ANNIENTAMENTO al Carcere di Volterra: recensione
- NATURAE – LA VALLE DELLA PERMANENZA al Carcere di Volterra: recensione