ARLECCHINO SERVITORE DI DUE PADRONI@Teatro San Babila Milano

Un regista d’eccezione Roberto Boso (Vicenza 1946), maestro internazionale della Commedia dell’Arte, che nel 1967 ha interpretato Arlecchino con Giorgio Strehler e ora ha affidato tale mitica parte a David “Zanza” Anzalone con cui condivide obiettivi e finalità sociali del teatro.
Tale versione che presenta caratteristiche diverse rispetto a quella strehleriana – in cui trionfa da circa 55 anni lo straordinario ed eccezionale Ferruccio Soleri – è in scena al Teatro San Babila fino al 30 ottobre 2016.

Un lavoro prodotto a Senigallia, cittadina che rivela sensibilità verso la cultura anche attraverso un piccolo/grande tesoro come il Centro Teatrale Senigalliese – da cui è scaturita la Cantina Rablé, compagnia teatrale di giovani attori provenienti da tutta Italia – nato circa un lustro fa per impulso del bravo attore David “Zanza” Anzalone (Senigallia 1976), una persona decisamente speciale e un Arlecchino ironico e originale.

Non favorito fisicamente dalla nascita per una tetraparesi spastica che determina problemi di deambulazione e difficoltà nella parola, Zanza si rende conto ancora bambino che fare l’attore significa sdrammatizzare non solo la propria situazione, ma anche la reazione altrui, tanto più che adolescente si vede assegnare dal municipio la “professione” di “handicappato” sulla carta d’identità…
Non si arrende e da persona intelligente e sensibile qual è lotta per esercitare un mestiere a contatto con il pubblico cui comunicare attraverso la chiave del divertimento e dell’ironia: spettatori privilegiati coloro che soffrono di pregiudizi, tabù e ignoranza! Non solo fa l’attore lavorando sui testi, ma tiene un corso su come ridicolizzare le disgrazie, scrive libri e conia battute frizzanti del tipo “Dopo tanti comici handicappati, finalmente un handicappato che fa il comico”.

Ed eccolo sul palcoscenico a interpretare in modo personale e guizzante un Arlecchino non veneziano che reduce dalla Campagna di Russia vive nel 1947 in una Milano ancora ferita dal secondo conflitto mondiale come il resto dell’Italia e alla ricerca di riorganizzare una propria identità fisico-morale: la guerra lo ha messo ko e indossa la divisa militare con segni palesi delle ferite riportate e un colbacco sottratto a una vittima nemica e divenuto una sorta di portafortuna.
La vita non è facile per nessuno nel dopoguerra e tantomeno per i reduci che arrivano nella grande città con il loro carico di dolore e la difficoltà nel comprendersi vicendevolmente visto che ognuno parla una lingua diversa: dal romanesco al toscano, al romagnolo fino al siciliano: un’incomunicabilità già vissuta al fronte dove spesso si imparava una lingua straniera per capirsi fra Italiani anche perché a parlare la nostra lingua erano in pochi… Arlecchino compreso con la sua forte vis comica.

In questa temperie storica diversa rispetto al testo goldoniano del 1753, mutano anche nomi e “mestieri” dei personaggi che divengono mafiosi, imprenditori di pochi scrupoli e politici corrotti, pur mantenendo in linea di massima la trama. Un cast molto impegnato e connotato da una foga che se a volte fosse un po’ attenuata gioverebbe alla piacevolezza di un lavoro di notevole serietà e ardore: ben riuscita la figura del cantastorie, un simpatico e valido Marco Chiarabini che interpreta aiutato dalla chitarra canzoni di varie epoche anche se non attinenti a quella dell’adattamento di Boso.

Emerge chiara la volontà di scavare ed evidenziare problemi sociali più attuali di quanto non si creda visto che dopo le varie ondate di benessere, ormai di decenni fa, sta manifestandosi una nuova povertà con molti individui in difficoltà anche nel soddisfare uno dei bisogni primari come la fame senza contare l’acuirsi di ingiustizie pure da parte dello Stato che spesso persegue gli onesti lasciando impuniti i disonesti.

Uno spettacolo che induce alla riflessione senza fare dimenticare il divertimento.

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