In prima nazionale debutta al Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci, la nuova produzione Teatro della Toscana, Teatro dell’Elce e Cantiere Obraz, APPUNTI DI UN PAZZO, regia di Alessio Bergamo, del Teatro Postop, con Daniele Caini, Alessandra Comanducci, Domenico Cucinotta, Massimiliano Cutrera, Marco Di Costanzo, Erik Haglund, Stefano Parigi. In replica fino a domenica 11 marzo.
Il teatro, quello vero, ha la capacità di creare mondi alternativi, dimensioni parallele al margine della vita normale, luoghi dell’anima materializzati, narrazioni immaginarie capaci di aprire un varco nella nostra percezione della realtà, sovvertire il senso comune, trasformare e spostare, attraverso il riso e il pianto, i confini irrigiditi delle cose a cui siamo fiaccamente abituati. Proprio come la follia. E la follia ci ospita nei suoi meandri fantasiosi e alternativi, al Teatro Studio, dove Alessio Bergamo mette in scena il suo APPUNTI DI UN PAZZO, tratto da Diario di un pazzo di Nikolaj Vasil’evi Gogol’.
Fin dal suo ingresso in teatro il pubblico è condotto là dove non si aspetta di andare, dentro la scena stessa, senza barriere che separino chi guarda e chi è guardato. Siamo attori e spettatori, dentro una stanza bianca rettangolare, le sedie alle pareti su tre lati; ci attende un uomo, il bravo Domenico Cucinotta, che ci osserva con un sorriso cortese e premuroso, vagamente divertito, come una solerte maschera compiaciuta dell’affluenza in sala.
Inizia il suo monologo in tono dimesso e colloquiale, non sembra recitare ma raccontare e ciò che narra prende vita simultaneamente davanti ai nostri occhi. Ci conduce dentro il mondo di Aksentij IvanoviÄ Popriin, solerte impiegato di basso livello, infimo ingranaggio della burocrazia russa; fiero di esercitare una nobile attività, appuntare le penne d’oca nell’anticamera dell’appartamento del riveritissimo Direttore Generale, che egli serve fedelmente, covando in cuor suo una segreta passione amorosa per la figlia del proprio capo.
Il realismo magico del grande Gogol’ prende vita attraverso i personaggi della mente del protagonista, manifestazioni implacabili e grottesche della sua discesa nella follia. Gli attori che le incarnano irrompono nel grigiore e nella mediocrità in cui le regole sociali imprigionano gli uomini come PoprišÄin, si alternano in una carrellata di maschere chiassose e dissonanti: la figlia del direttore, Alessandra Comanducci che si muove a passo di danza come un vezzoso carillon; due giocose cagnette parlanti e capaci addirittura di scrivere lettere, Daniele Caini e Stefano Parigi; il Direttore, in divisa, bizzoso reuccio che tutti intimorisce coi suoi areoplanini di carta, intepretato ancora da Stefano Parigi; la severissima governante Mavra, Marco Di Costanzo; il capo ufficio, che nell’accettare le regole sociali si diverte alle spalle del povero PoprišÄin, Erik Haglund e il comico sguattero della casa del Direttore, intepretato da Massimiliano Cutrera.
Dai loro costumi pendono le pagine del diario di PoprišÄin, alla cui delirante narrazione a poco a poco anche noi spettatori smettiamo di credere, comprendendo con sgomento che tutto ciò che egli evoca nasce dalle parole dei suoi appunti, dal suo mondo mentale variopinto e scardinato nel suo assetto logico; la realtà si deforma nel racconto sempre più sconnesso, i suoi desideri più reconditi sembrano avverarsi ed egli si rappresenta di volta in volta come l’amante corrisposto, il seduttore, l’uomo d’ingegno, fino addirittura ad essere il pretendete al trono di Spagna che riceve davanti ad un’invisibile massa adorante.
Gli oggetti, continuamente ribaltati nel loro significato dalle indiavolate giravolte dei personaggi, ci conducono in un universo di cose dismesse, grigi letti di metallo, vecchie macchine da scrivere, bauli, brandelli di una quotidianità abbandonata dalla bellezza, che solo la poetica e la visionaria fantasia di un pazzo può trasformare nello sfondo monumentale di una eroica e romantica storia d’amore e di successo personale. Il nostro sguardo, invece, è costretto a riconoscere in essi , verso l’epilogo, i segni inequivocabili di un orrido girone infernale, un manicomio dove i matti, i poeti, gli esseri umani che non hanno saputo piegarsi alle rigide convenzioni del mondo dei più, vengono ingabbiati, negati fino a che la loro voce sia spenta.
E’ con un inno alla poesia nascosta del vivere che si chiude il racconto di Popriin, crocifisso alla sua follia, appeso per i piedi dai suoi infermieri aguzzini, denudato della sua identità immaginaria: chiama la madre, grida alla luna, dobbiamo salvare almeno la luna!, sembra chiamarci in causa perché ne prendiamo il testimone e conserviamo in noi gli occhi magici che sanno vedere il colore clandestino della realtà.
Un incantevole, divertente, commovente viaggio nell’animo umano e nella sua capacità di reagire alla perdita d’identità imposta dal mondo moderno, ci viene proposto dalla lettura registica di Bergamo che mette al servizio di questa divertente e struggente storia tutta l’esperienza di ricerca dei tre gruppi di lavoro confluiti nella produzione dello spettacolo: il Teatro dell’Elce, il Cantiere Obraz e Postop Teatro. Diverse realtà, accomunate dall’approccio pedagogico di Stanislavskij e Vasil’ev, realizzano grazie al dialogo tra stili e linguaggi, un’interpretazione attoriale godibilissima, in cui la ricerca di una verità che nasca dalle azioni e dalle loro origini nella profondità del corpo, porta al dissolversi del recitare in favore dell’essere, e al manifestarsi dell’azione scenica nel momento stesso in cui accade, spontanea, immediata.
Il confine labile e osmotico tra illusione, follia e realtà, viene potenziato dal gioco meta teatrale che mostra la narrazione del protagonista incastonarsi nella continua finzione di un teatrino grottesco: la casa del Direttore, racchiusa tra le tende rosse di una sorta di palcoscenico sul palcoscenico, il dialogo surreale e perfetto tra i cagnolini, portatore della dolorosa realtà del fallimento amoroso, contrapposto alla proiezione di un esilarante film muto che inscena invece il lieto fine romanzato dei sogni d’amore di Popriin, fino ai comizi del sedicente re di Spagna e la confessione del personaggio in un disperato messaggio nella bottiglia.
Da questo spettacolo si esce provocati e smossi, dalla generosa e puntuale presenza degli attori, dalle parole sferzanti contro l’ipocrisia delle maschere sociali che abbiamo scelto per classificare il mondo, imbrigliandone la creatività e la irriverente multiformità, dal sentimento di inevitabile identificazione con il folle protagonista.
Salvare in sé la poesia rende folli? Forse. Forse abbiamo bisogno di imparare ad ascoltare i pazzi e i loro appunti, nella speranza di recuperare le tracce di un sentiero abbandonato che conduca, a dispetto di ogni determinismo, verso mondi alternativi.
Info:
APPUNTI DI UN PAZZO
di Nikolaj Gogol’
con Daniele Caini, Alessandra Comanducci, Domenico Cucinotta, Massimiliano Cutrera, Marco Di Costanzo, Erik Haglund, Stefano Parigi
spazio scenico Irina Dolgova e Alessio Bergamo
oggetti e costumi Thomas Harris
contributi sonori Andrea Pistolesi
regia Alessio Bergamo
produzione Fondazione Teatro della Toscana, Teatro dell’Elce, Cantiere Obraz
in collaborazione con Postop Teatro
con il sostegno produttivo di Armunia Festival Costa degli Etruschi
con il sostegno di Regione Toscana
ritratti e foto di scena Filippo Manzini
Teatro Studio Mila Pieralli di Scandicci
6 marzo 2018