Oramai assente dalla programmazione del Teatro Metastasio dal 2015, Pippo Delbono è tornato dal 17 al 20 febbraio, con grande attesa da parte del pubblico, numeroso come nelle occasioni speciali. L’artista ligure ha incantato la platea con AMORE, coprodotto dalla fondazione pratese insieme a varie realtà d’Italia (in primis ERT) e del mondo, dall’Argentina alla Romania. Le struggenti malinconie che si librano nelle note del Fado portoghese e della tradizione africana hanno emozionato gli spettatori in un susseguirsi di tableau vivant immersi in un rosso che è sangue, linfa pulsante che ci rende sensibilmente umani.
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AMORE: LE MOLTEPLICI FACCE DI UN SENTIMENTO DOLOROSO E NECESSARIO
Su uno sfondo rosso pompeiano che circonda l’intero palcoscenico si staglia l’ombra spettrale di un albero spoglio, unico oggetto di scena. A scena aperta e con le luci ancora accese, fa il suo ingresso in platea con un completo bianco candido Pippo Delbono che si dispone alle spalle degli spettatori presso una postazione d’impostazione radiofonica. Un regista e deus ex machina fatto di voce ed emozioni che attraverso il suo respiro sospirato passano attraverso il microfono e ci arrivano dirette come un balsamo capace di scaldarci e, un attimo dopo, di graffiarci. Sul palco ogni singola sillaba viene amplificata dalla struggenza di note e parole e riverberata dal suggestivo gioco di luci che stampa sul fondale rosso sangue ogni singola figura, umana e non.
In una successione di immagini che si stampano sul fondale e sui pannelli laterali, le ombre in cui si perdono i dettagli, così come l’Amore consente di conservare l’essenza, amplificano la visione che diventa iper-stereoscopica. Una visione aumentata in cui non c’è bisogno di dispositivi multimediali 2.0: l’uomo ha già dentro di sé il potere di contemplare e vivere una realtà molteplice e multifocale. In questo caleidoscopio monopolizzato dal rosso resta l’essenza, la stessa che, nonostante le lingue incomprensibili per la maggioranza dei presenti, pervade le note malinconiche che gli artisti condividono col pubblico. Un continuo confronto di struggente nostalgia e anelante desiderio di un sentimento che diventa stato dell’anima, doloroso quando ci viene strappato via ma inevitabilmente meraviglioso, in tutte le sue forme. E nel testo di Pippo Delbono non ne manca nessuna: una madre tiene in collo il figlio, oramai cresciuto, in una Pietà laica ma profondamente spirituale; una sposa in abito bianco e sontuoso e un uomo che stringe un sacco di sabbia rotto, amore sfuggente cui non si può comunque rinunciare; una dominatrice col suo schiavo al guinzaglio, pronto a scusarsi della sua stessa esistenza per l’altrui narcisismo. Infine una dea Madre Terra, con le sue rotondità giunoniche, una Venere di Willendorf dagli attributi arcaici e archetipici della fertilità, alla quale tutti rendono omaggio in processione. Perché in fondo l’uomo nasce per sua natura con la necessità di Amore e di amare.
PIPPO DELBONO E IL CALEIDOSCOPICO SUSSEGUIRSI DI TALENTI SUL PALCO
Senza soluzione di continuità gli interpreti di Fado Pedro Jóia e Miguel Ramos, l’artista angolana Aline Frazão fino ai membri della compagnia di Delbono, tutti prendono posto sul palco lasciando spazio alle parole, soprattutto quelle che accompagnano le melodie lusitane e africane, protagoniste indiscusse. Ad accompagnarle le citazioni letterarie che si fanno carne, così circoscritte e succose da stillare sangue in un’aura di misticismo che si fa Passione. La profonda carnalità di cui è fatto lo spettacolo testimonia che non stiamo parlando di un divertissement dell’anima ma di un’esigenza corporale, di un desiderio irrinunciabile (potente e straziante la scena della corda che si rompe e alla quale i due uomini alle estremità non vogliono rinunciare; malinconico il sacco di sabbia rotto abbracciato e destinato allo svuotamento). Con la sua voce avvolgente Pedro Jóia accompagnato alla chitarra da Miguel Ramos canta, spesso sul proscenio, il tormento amoroso, quello che sembra attraversare il Mediterraneo, da Lisbona fino a Napoli, con una comunanza di toni a tratti sorprendente, mentre la suadente Aline Frazão intona uno dei rari canti d’amore nella lingua Kimbundu del suo paese. Al sentimento che diventa, nota dopo nota, una condizione umana danno corpo gli artisti della compagnia Delbono che si alternano con le loro parole, citate e sospirate, e con coreografie e movimenti che hanno spesso nell’albero il loro fulcro. Mirabile la scenografia di luci che si limitano ad amplificare forme e sensazioni, senza aggiungere o nascondere nulla. E’ sufficiente il flusso poetico tra i performer a stupefare e pur nella semplicità della forma scenica si squaderna davanti ai nostri occhi, quadro dopo quadro, una fantasia emotiva straordinariamente potente.
AMORE: DALLA PASSIONE ALLA COMPASSIONE FINO ALL’APPLAUSO CATARTICO E LIBERATORIO
Amarsi significa non saziarsi mai perché finché si è affamati si sente ancora il desiderio del proprio “cibo”, la perenne mancanza è sofferenza attraverso la quale si conquista la consapevolezza di un Io al quale si vorrebbe anche sfuggire. “Uccidi la mia fame”: la passione amorosa è infusa di una profonda spiritualità che sgorga prepotente da questa frase. L’albero solitario e stentato sulla scena, coi rami tesi in procinto di essere sacrificato, come nella tradizione cristiana l’albero seminato e cresciuto nella bocca di Abramo ha dato il legno per la Croce di Cristo, torna metaforicamente a fiorire, nutrito dall’Amore che va curato, giorno dopo giorno. Solo da una morte si può risorgere e solamente dal dolore può scaturire una malinconia tanto struggente quanto bruciante, capace di alimentare l’anelito di Amore, sintomo di umanità. E’ qui che la Passione diventa compassione e arriva al pubblico: le note del Fado risuonano nelle viscere pizzicando, accarezzando e a tratti percuotendo le corde della nostra sensibilità. Quale risonanza ne nasca è mistero personale, intimo di ognuno dei presenti che, ciascuno per la propria catarsi, applaudono a fine spettacolo con un entusiasmo inizialmente sommesso e gradualmente più intenso, come se nel corso di quell’applauso il silenzio avesse finalmente avuto il sopravvento sull’eco, oramai indelebile. Come l’ombra di un ramoso albero su un fondo rosso malinconia. O magari rosso Amore.
AMORE
uno spettacolo di Pippo Delbono
con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Aline Frazão, Mario Intruglio, Pedro Jóia, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Miguel Ramos, Pepe Robledo, Grazia Spinella
musiche originali di Pedro Jóia e di autori vari
collaboratori artistici Joana Villaverde (scene), Elena Giampaoli (costumi), Orlando Bolognesi (luci), Tiago Bartolomeu Costa (consulenza letteraria)
suono Pietro Tirella
capo macchinista Enrico Zucchelli
produttore esecutivo Emilia Romagna Teatro Fondazione
co-produttori associati São Luiz Teatro Municipal – Lisbona, Pirilampo Artes Lda, Câmara Municipal de Setúbal, Rota Clandestina, República Portuguesa – Cultura / Direção-Geral das Artes (Portogallo), Fondazione Teatro Metastasio di Prato (Italia)
co-produttori Teatro Coliseo, Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e ItaliaXXI – Buenos Aires (Argentina), Comédie de Genève (Svizzera), Théâtre de Liège (Belgio), Les 2 Scènes – Scène Nationale de Besançon (Francia), KVS Bruxelles (Belgio), Sibiu International Theatre Festival/Radu Stanca National Theater (Romania)
con il sostegno del Ministero della Cultura (Italia)
foto Luca Del Pia, Estelle Valente Teatro São Luiz
si ringraziano per la messa a disposizione dei costumi per le prove São Luiz Teatro Municipal di Lisbona, Théâtre de Liège e la Compagnia Teatro O Bando
Teatro Metastasio, Prato
18 febbraio 2022