ALPENSTOCK @ Teatro di Rifredi. Il germe violento del nazionalismo

Si chiude con ALPENSTOCK, del drammaturgo francese Remi De Vos, in prima nazionale, la stagione del Teatro di Rifredi, che festeggia con questa 160esima produzione di Pupi e Fresedde, i suoi primi 40 anni. Un immenso collage di quasi 500 fotografie nel foyer del teatro ci ricorda quanti sono passati sotto questi riflettori, storia di un luogo simbolo per la città, in bilico tra la periferia e il centro, tra la sperimentazione e la tradizione, dai volti in bianco e nero dei Giancattivi, che qui hanno mosso i primi passi, fino agli illustri ospiti internazionali, come, solo in questa stagione, Eric Emmanuel Schmitt.

ALPENSTOCK è l’immaginaria ambientazione della pièce, un lindo e candido paesino che ricorda le cartoline della Val Gardena delle nostre Alpi, dove trascorrono la loro vita pulita Grete e Fritz, Antonella Questa e Ciro Masella: patatina e topino. Lei, donna semplice, massaia la cui unica aspirazione è accontentare il marito nella pulizia ossessiva della casa; e lui, ordinato uomo conservatore, macho apologeta del fascismo, guida ideologica sicura della moglie, alla ricerca ottusa della purezza delle origini. La coppia commenta con stupido razzismo le notizie sulla gazzetta locale, L’Eco del Kyrolo, inneggia alla necessaria guerra contro lo sporco straniero, con una visione paradossale della protezione della propria identità, della casa immacolata, da proteggere dalla corruzione del disordine, del diverso e perciò incomprensibile. Inevitabilmente irrompe nella routine asettica, fredda e asessuata della coppia kyrolese, Fulvio Cauteruccio, lo zingaro Yosip, balcano-carpato-transilvano, e i suoi numerosi cugini cloni della distania Karageorgevitch Assanachu, la cui focosa sudicia anima ectoplasmatica invade la bianchezza dello chalet di montagna e il corpo insoddisfatto e irrigidito di Grete. I jingle turistici della valle candida e lo Jodel delle Alpi, lasciano il posto alla musica balcanica, ai ritmi tribali.

La prima incrinatura, il primo rivolo di sangue infetto, entra nella casa con l’avventato acquisto di un prodotto privo del certificato nazionale, accanto alle salsicce e le uova rigorosamente regionali: un detersivo comprato all’odioso e pericoloso mercato cosmopolita, dal profumo di spezie mediterranee, invece che di candeggina, è la scia odorosa che permette l’invasione della passionalità e libertà della caricatura dello straniero Yosip. Il cane Fritz lo fiuta e non può fare altro che aggredirlo. Ma ogni tentativo di preservare la propria identità è scongiurato dal moltiplicarsi degli stranieri invasori, ciascuno uguale all’altro, ciascuno da tenere fuori, da cacciare o se non basta da abbattere, con ogni mezzo: piccone, accetta, mannaia, lanciafiamme, sedia elettrica, ma anche cappio, fionda, veleno, ombrello e se non basta un bazuka.

Tema importante, a cui fa eco il grottesco (se non fosse vero) sottofondo di questi stessi giorni dei discorsi in campagna elettorale di Marine Le Pen in Francia, o del nostrano Salvini tra una rievocazione leghista a Pontida e una provocazione sfacciata a Napoli. Testo politico senza filtri, una favola nera, che schiaffeggia lo spettatore con personaggi completamente caricaturali e grotteschi, dove i bravi attori, Antonella Questa, Ciro Masella e Fulvio Cauteruccio sono perfettamente immersi, paradossali fino a diventare dei fumetti a cui mancano solo le scritte onomatopee Sbang, Crasch, Boing. La scena è essenziale, bianca, con una porta e una finestra sulle montagne innevate, ci sorprende sul finale ribaltandosi come un libro pop-up, che immerge i rpotagonisti nella ridente natura di cartapesta che si sono creati.

Il parossismo violento con cui cresce la performance non lascia scampo ad una riflessione più profonda e più sottile, che forse sarebbe stata più interessante. Lo spettacolo, anche se di scottante attualità, non indaga l’animo umano e le ragioni profonde di tanta follia violenta che arriva a sterminare ciò che rende impura la razza, che chiude con cieca ottusità le proprie frontiere, credendosi così scioccamente protetta. Il pubblico di Rifredi applaude e concorda con la tesi dello spettacolo, come non potrebbe? In un teatro che nasce dalla socialità di una mutuo soccorso dei primi del secolo, immagine concreta della Resistenza e dell’Antifascimo. Forse questo testo dovrebbe essere rappresentato ad un raduno leghista, dovrebbe urlare l’orrore e grondare del sangue dei profughi siriani, così forse da fermare le mazze dei cretini.

Info:

ALPENSTOCK

di Rémi De Vos

(traduzione di Antonella Questa)

regia di Angelo Savelli

con Antonella Questa, Ciro Masella, Fulvio Cauteruccio

costumi Serena Sarti| scene Tuttascena | luci Henry Banzi

Pupi e Fresedde-Teatro di Rifredi Centro di Produzione

in collaborazione con l’Istituto Francese di Firenze

con il contributo della Fondazione CR Firenze

foto di Stefano Cantini

Teatro di Rifredi

da giovedì 20 a domenica 23 e da mercoledì 26 a sabato 29 aprile 2017

(feriali ore 21:00-domenica ore 16:30)

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