A seguito della pubblicazione su Gufetto della recensione di FUCK ME(N) Studi sull’evoluzione del genere maschile al Teatro Cantiere Florida di Firenze, è nato un interessante confronto con l’attore protagonista Alex Cendron. Quella che poteva essere una sterile polemica, affermando ciascuno le proprie posizioni incomunicabili, è diventato invece un proficuo scambio di opinioni. Abbiamo proposto a Cendron un’intervista non solo sul merito della recensione e dello spettacolo, ospitando così un punto di vista diverso su FUCK ME(N), ma anche una riflessione sul senso dell’arte su temi di importante attualità e sul ruolo della critica oggi.
Contenuti
ALEX CENDRON: Una critica teatrale
Alice Capozza: che cosa non hai condiviso della recensione che abbiamo pubblicato?
Alex Cendron: la tua domanda è semplice e, come spesso le domande semplici, esigerebbe una risposta molto complessa. Probabilmente non è un’intervista come questa il luogo per aprire un dibattito sull’utilità o inutilità della critica (o dell’arte?) o sul suo scopo. Quello che posso dire è che in più punti della recensione sembra che lo spettacolo non abbia risposto a delle domande che tu ti sei portata in sala o abbia tradito titolo e sottotitolo. Questo apre la discussione sul fatto che uno spettacolo possa, o peggio, debba rispondere a delle domande. Apre la questione su cosa sia una Critica teatrale e chi dovrebbe farla (uso la maiuscola per indicare un articolo di critica di uno spettacolo e non di una personale opinione che chiunque può esprimere). Il tuo articolo si polarizza, da un lato su una descrizione didascalica di ciò che hai visto sul palco, a mio modesto avviso di per sè poco interessante, e dall’altra su una tua reazione al tema e ai personaggi, in relazione a cosa dovrebbero, forse, essere stati secondo una tua visione socio politica. La mia personale idea è che una Critica dovrebbe invece proprio posizionarsi tra i due poli, toccandoli ma come si sfiorano le linee di fine campo, senza semplicemente descrivere ciò che succede su palco e senza volare così in alto da prendere il tema dello spettacolo come pretesto per un ragionamento, anche interessante su un piano filosofico e socio politico, ma che dice molto più del critico che degli autori e degli attori. Infine, di un monologo in cui io, in un’ora serratissima di testo, emozioni e viscere, mi metto senza pietà nè reti di salvataggio a servizio di un testo difficile (e a volte anche sgradevole per un attore e per un maschio) mi piacerebbe leggere qualcosa che riguarda il mio lavoro. Dalla tua critica comunque, deduco che lo spettacolo ha raggiunto l’obiettivo che io mi pongo sullo spettatore: emozionare e spingere alla riflessione, anche se infastidita come mi pare la tua.
ALEX CENDRON: Il ritratto del maschile in Fuck me(n)
In Fuck me(n) è ritratto un uomo in crisi, la cui evoluzione sembra ancora lontana dal compiersi. Tu a che punto credi che sia il genere maschile?
Il termine evoluzione deriva dall’apertura dei papiri, lo svolgere del rotolo, aprirlo, renderlo leggibile, riportarlo alla sua forma originale. Invece oggi giorno si usa spesso con una accezione che lo intende come un miglioramento, avanzamento verso qualcosa di migliore. Ma migliore per chi? Migliore secondo quale criterio di valutazione o punto di vista? Nel dirmi che l’evoluzione è lontana, tu ne dai un giudizio in base ad un ideale verso il quale il maschio non si sta evolvendo. Io invece sono in un momento della mia vita molto cinico (anche se di base sono un idealista… insomma un ossimoro) e fatico a vedere dei valori (migliore o peggiore) in un idea di uomo. Do totalmente per scontato che l’uguale dignità e rispetto tra sessi sia una cosa indiscutibilmente giusta, ma uomo e donna sono diversi, e questo è un dato di fatto su cui bisogna fare i conti. La questione è davvero complessa. Diciamo che per me esiste l’essere umano; che sia di genere femminile o maschile a me frega poco o nulla. Concordo con te che ci sia crisi, e credo che la crisi sia dovuta proprio ad uno sgretolamento di punti di riferimento e modelli: non è più così facile sapere cosa sia o non sia un maschio, cosa sia o non sia buono o cattivo. Da questo punto di vista, il mio cinico idealismo è forse la mia espressione, il mio essere un maschio in crisi.
ALEX CENDRON: L’arte un ruolo nella società
Il tema del maschile e della mascolinità è ancora poco dibattuto, che cosa può fare l’arte perché nella società maturi una discussione?
L’arte non saprei: faticherei a dirti anche cosa sia l’arte, figuriamoci dirti cosa dovrebbe fare. Di certo posso dirti cosa posso fare io, e cioè cercare di portare in giro il più possibile Fuck Me(n); cercare di dare verità e umanità ai personaggi – anche se colpevole, aggressiva o fragile; cercare di mettere a servizio il mio corpo e il mio essere, in modo che chi vede lo spettacolo non possa giudicare facilmente gli uomini a cui do vita. Desidero che l’effetto sia complesso e disturbante, quando non emozionante. Non vorrei che una donna vedesse sul palco tre uomini che giudica e vede lontani, vorrei che i maschi si specchiassero in tre uomini che sono come quegli specchi deformanti da luna park: l’immagine che vedo non sono io, ma sono io, l’immagine deforma qualcosa che non c’è o forse non ha le dimensioni che vedo, ma in fondo è parte di me e devo farci i conti. Certo, per fare ciò, servono anche Critiche che mettano voglia di vedere lo spettacolo: questo non si fa solo parlandone bene.
Nella creatività forma e contenuto divengono un unicum artistico, in che modo si fondono nel tuo spettacolo?
La fortuna e la condanna di un attore, per come lo intendo io, è che non può che essere strumento e strumentista, arte e artista. Non c’è possibilità di scindere questi due elementi che invece razionalmente cerchiamo di separare. Fuck Me(n) non è immune a questa visione. Ne è conferma il fatto che sia nato dall’idea di una donna, Renata Ciaravino, che ha partorito il progetto e lo ha modellato con tre maschi, facendo scrivere di maschi, Massimo Sgorbani, Giampaolo Spinato, Roberto Traverso, e infine dandolo in mano ad un regista maschio, Carlo Compare, che ha scelto me come unico attore maschio a interpretare i tre uomini. Questa identificazione e sovrapposizione tra arte e artista, rende l’esporsi molto rischioso, in parte egocentrico e di certo molto vicino all’atto del sacerdote/vittima sacrificale. In Fuck Me(n), io sono l’interprete, non l’autore nè il regista e quindi ancora più a servizio dello spettacolo. È questa sovrapposizione che a volte rende le critiche difficili da digerire per un attore: quando parli del mio lavoro su palco, parli anche di me.
ALEX CENDRON: la critica teatrale oggi
Quale credi che sia il ruolo della critica teatrale oggi?
Bella domanda. Non è facile rispondere. Sono, come detto, un cinico idealista e una parte di me è convinta che la critica sia morta, essendo il teatro morto egli stesso. Tra attori e critici non corre buon sangue in genere, e se invece corre, corre così dolce da essere amicizia se non proprio amore: nessuna delle due posizioni mi pare quella giusta. Io se facessi il critico, e non volessi semplicemente dire al mondo cosa penso (per quello ci sono i post di Facebook), cercherei di capire per chi scrivo, qual è il mio obiettivo: aiutare il pubblico a capire uno spettacolo? Portare pubblico a teatro? Aiutare gli artisti a migliorarsi? Una volta, nel bagno di un teatro ho letto “chi sa recitare recita, chi non sa recitare insegna e chi non sa insegnare critica”. Giuro che non l’ho scritto io. Sono un forte sostenitore del concetto e della grande utilità del feedback, ma a volte mi piacerebbe, e cito, che il palcoscenico (e lo spazio dove scrive la Critica) fosse simile ad una fune sospesa nel vuoto: solo così attori e critici, si azzarderebbero a “camminarci” sopra, prestando maggiore attenzione e con una adeguata preparazione: la posta in gioco sarebbe molto più alta e la spinta a migliorarsi o a desistere molto più potente.
Grazie sinceramente ad Alex Cendron per essersi reso disponibile a questa intervista. Il confronto ci da modo di riflettere. L’arte ci aiuta a leggere la vita.