È andato in scena fino al 7 Maggio 2017 al Teatro Lo Spazio di Roma lo spettacolo AIACE di Ghiannis Ritsos, con Viola Graziosi, per la regia di Graziano Piazza che è anche voce over. Lo spettacolo mette in scena, rivisitandolo, il poemetto lirico di Ghiannis Ritsos contenuto in Quarta dimensione e configurato come monologo teatrale, che ha come protagonista l'eroe greco Aiace.
Chi è in sala al Teatro Lo Spazio aspetta di immergersi nella storia di Aiace Telamonio e di rivivere le gesta del coraggioso eroe greco, il quale accanto a Achille e Odisseo, si scontra contro i nemici troiani nella celebre guerra raccontata nei poemi omerici. Aiace il prode, che rispecchia quell'ideale di "Kalokagathia", ovvero di perfezione fisica e morale, ricercato nella cultura greca classica, Aiace il coraggioso che si sente frodato dagli Atridi e, carico di vendetta, pensa di ucciderli mentre invece fa strage di armenti, Aiace che, non reggendo alla colpa, si suicida.
Il regista Graziano Piazza con lo spettacolo Aiace sorprende gli spettatori, ripensa coraggiosamente al mito mettendo in scena la rilettura del poema di Sofocle ad opera di Ritsos, scritta tra 1967 e 1969, con la preziosa traduzione del grecista Nicola Crocetti. Se, però, l'autore greco nel prologo del suo Aiace accenna ad una presenza femminile, Tecmessa, sfortunata moglie dell'eroe, Piazza decide di capovolgere la prospettiva e di confondere i piani: la donna diviene ella stessa l'eroe greco e ne ripercorre la storia, dalle vittorie epiche al tragico epilogo.
L'attrice Viola Graziosi, solenne ed eterea, sacrale nel suo abito bianco diventa il mito, lo contiene in sé e lo dona al pubblico, grazie a un'ottima carica emotiva, a un forte controllo vocale e del gesto che bene rendono l'effetto voluto dello straniamento.
Il pubblico viene accolto nel buio della sala da una sola sedia vuota al centro del palco, unico elemento scenico assieme ad alcune pietre disseminate poi dall'attrice sull'altro palco laterale; sulla sedia è adagiato un abito bianco, richiamo di quell'Aiace protagonista dell'opera, simbolo della sua assenza.
L'eroe non c'è più e deve essere evocato; interessante allora la scelta del regista di affidare alla donna il suo ricordo e di vivificarlo tramite parole ricche di poesia; Viola Graziosi, Tecmessa, Aiace, è anche proiezione o sogno, "si fa" eroe, ma è anche la sua memoria, richiamata da quell'iniziale ronzio di mosca, in una interessante sovrapposizione dei piani tra presenza e assenza.
L'attrice è Aiace e al contempo sua moglie, è l'eroe che ha scelto di non salvarsi e insieme è la donna che non è riuscita a salvarlo, è anche testimone della vicenda dell'eroe ma, invece di narrarla in terza persona, vi si immerge. La Graziosi si muove a suo agio sulla scena, i gesti misurati e precisi, la voce potente e lo sguardo intenso; rappresenta la parte femminile dell'eroe, quella più intima.
La bravura dell'interprete risiede anche in questo: variare toni, gesti e piani emotivi a seconda delle immagini che affiorano: le battaglie, i nemici morti, i ricordi più intimi, il dolore, tra grida mai fuori controllo, sussurri e lacrime che rigano il viso.
I movimenti e le parole intense di Viola Graziosi vengono accompagnate dalla scenografia musicale di Arturo Annecchino, che sottolinea i momenti salienti della vicenda e da rumori significativi, come l'acqua che scroscia, a richiamare lo scorrere della vita, verso la morte e il procedere incessante della storia.
Molto intensa la scelta finale in cui la voce diffusa dello stesso regista ripercorre l'ultima parte del poemetto di Ritsos e dona al pubblico, finalmente, la presenza dell'eroe con parole preziose e immagini toccanti.
Lo spettacolo corre al finale, forse avrebbe meritato maggiore respiro nella parte centrale per permettere di cogliere al meglio tutte le sfumature e i rimandi alla vicenda dello sfortunato eroe e i numerosi sottotesti e qualche guizzo di originalità nella messa in scena, misurata.
La circolarità con cui si apre e si chiude lo spettacolo, con l'attrice che appare e scompare a lato del palcoscenico, di bianco vestita, seguita come sempre dalle luci soffuse, quasi creatura mitica anch'essa risulta, però, un'efficace idea registica, così come l'utilizzo delle pietre disseminate sul palcoscenico, nel finale, per ricostruire una collana che, forse, diventa il simbolo di una poesia ritrovata.
Mentre lo spettacolo volge al termine appare chiaro il messaggio: il mito non è più lo stesso, così come l'eroe, ma la memoria resta viva grazie alla donna che, come dice lo stesso Piazza, è l'unica a poter ancora custodire un mito che, oggi, rivive grondante di realtà, grazie a nuovi eroi, nuovi Aiace, nuove battaglie e altri versi che li canteranno.
Info:
AIACE
di Ghiannis Ritsos
traduzione di Nicola Crocetti
regia
Graziano Piazza
Assistente alla regia
Ester Tatangelo
con
Viola Graziosi
Graziano Piazza
Scenografia musicale
Arturo Annechino
Costumi
Valentina Territo
Registrazioni e mix
David Benella