Il 12 marzo a Roma ha debuttato Agamemnon, scrittura interessante del poeta greco contemporaneo Ghiannis Ritsos. La cornice è perfetta: l'OffOff Theatre che ormai dal 2017 propone spettacoli colti. Per la cura degli ambienti, il palco, il bistrot ci pare tutt'altro che “off”. Quindi gradita sorpresa per noi che il Teatro lo scriviamo sempre con la “T” maiuscolo e non per refuso. La regia è di Enrico Frattaroli. Il lungo soliloquio è di Franco Mazzi nel ruolo di Agamennone. Sul palco c'è la silente Clitennestra (Mariateresa Pascale): donna del sovrano e madre della figlia sacrificata.
Ritsos ripropone un dissacrato Re Agamennone moderno e stanco. Smitizzato. Indolente, ha esaurito ogni slancio armonico. Non si trovano tracce di vita. Torna dalla guerra di Troia, quella nota per il cavallo di legno, ma si confessa non eroe, rinnega gli onori e persino il ricco bottino. “Non voglio nulla”. Ha guardato in faccia la guerra da vicino, troppo, tanto da lasciare evaporare il senso di quel cruento decennio di battaglie, sacrifici di vite e amici. E' un racconto di frecce sibilate a poco dall'orecchio e dalla fine, schiantate nel muro vibrante per l'impatto. Preferisce, l'autore, la figura dimessa a quella mitizzata del super eroe trasmigrato verso una dimensione soprannaturale agli occhi di chi lo accoglie e gli riserva la gloria. Sembra di intravedere l'autobiografia di un autore stanco di combattere la sua battaglia.
Ritsos, è noto, era un fervente filocomunista. Marxista. Qui pone al lettore la figura di un Agamennone ben diverso da quello eschiliano. Fiero. C'è tutto il peso immane che schiaccia il sovrano comunque uomo: si allude alla formica che porta l'incredibile peso ben superiore a quello del proprio corpo minuto. Un peso quindi insostenibile che priva l'essere (umano) delle forze. Lo estenua. C'è solo il bisogno fisiologico e umano di un bagno caldo, molto caldo, che plachi il dolore e il cruccio della fatica. Di ciò che si è perduto in quel ginepraio angusto di morte. Il bisogno è acuito da quel brivido freddo, di vetro. Ecco perché il bagno dev'essere molto caldo.
E' un ritorno amaro di navi a ritroso sulla via di casa, di vite colpevoli di non avere incontrato la morte. Lo sguardo vola triste sopra le spighe e va ai guerrieri lasciati sul campo. C'è profonda filantropia. In guerra si può condividere solo la morte. Spendere la vita equivale a comprare l'onore. La gloria. Nell'intimità di quella calda alcova di vapori, Agamennone (solo) può deporre la maschera e non curarsi in quel momento dell'espressione che lui stesso si disegna. Il volto rilassa i nervi che tradiscono il pensiero. L'anima è denunciata. Ed appare anche qui, come in Pirandello, quel tanto replicato mito di maschere: scudo dell'uomo tra gli uomini. Filtro imperscrutabile. Velo mimetico di ciò che si ha dentro, sino alle viscere. In quel tepore agognato d'acqua e vapori, il guerriero può anche riporre le armi e divenire emulo del morto che non si cura pertanto dell'immortalità; muoversi nel biancore tiepido della notte. Alla spettatore si presenta un corpo sui generis: senza vita, senza morte. Si agogna l'opportunità. A tratti le pareti di casa mutano: sono trasparenti. Neanche la morte riesce ad appannare quella nuova limpidità. Adesso tutto equivale a invulnerabilità. Dentro quel mite riposo di guerriero, adesso i fumi della mente dipanano la figura della morte stigmatizzata sul fondo della scena. Agamennone e lo spettatore possono riconoscere l'oscura signora, la presenza amara, l'odore acre. E i caduti per il re sono gli eroi autentici. Per Agamennone nessun onore spetta a chi torna vivo in patria. La morte diviene desiderio di libertà e forse immortalità: chi ha dato la vita alla patria nella guerra di Troia verrà ricordato in eterno. Letto. Raccontato come un nuovo mito. Il re non ha più lo scettro, ha solo il potere della voce. Usa le parole ma sa che contano solo le azioni. Potere relativo dunque. Impotenza. Tutto è vitreo. Immobile. Lento mentre l'acqua si è già freddata.
Nella narrazione di Ritsos non si contemplano gli eventi della battaglia: c'è pura ed onesta poesia. Arrivano alla platea versi limpidi solo da ascoltare come nel libro nativo dello spettacolo. Contrariamente a quello che si promette in sinossi: non c'è interpretazione o perlomeno nell'accezione comune, questa ci sembra è lasciata allo spettatore. Libertà inattesa per chi crede di ricevere un teorema definito sulla questione trattata. Non ci sono slanci. Non c'è gioia. Non c'è tristezza. Il regista propone un inedito Franco Mazzi monocorde, incolore perché a tinte forti è il contenuto enunciato. Proposta asettica voluta dall'abile Frattaroli che lascia immobile (di toni e movimenti) l'attore talentuoso compagno d'arte di lungo corso. Per quanto intenzionale: l'uso del microfono a mano e della voce presente, troppo, distorta a tratti e negli altoparlanti, ci distrae anziché attrarci. Si perde quell'incanto che il Teatro deve avere quando imita la realtà. Ci sembra una stonatura evidente che un Agamennone, per quanto moderno, possa parlare così a Clitennestra. Inoltre è sempre rivolto alla platea, molto di rado parla a lei.
In contrappeso muto (in ascolto) c'è Clitennestra, che intanto prepara l'ordito ai danni del re cosciente. Nell'acqua calda, tra le foglie di mirto galleggianti: lui ha già visto perfino l'ora della morte desiderata più del bagno stesso.
La scenografia è scarna. Ci sono dei libri logori, consumati ma non si dice da cosa: i fogli strappati detti gualciti dallo stesso regista, sono su dei leggii sparsi in file pensate e non casuali da subito alla fine, dal proscenio al fondo. Solo la locandina ci ha svelato la questione: dalla platea sembravano piume spennacchiate. Quando la sinossi è troppo articolata di solito cova nel regista il dubbio che alcuni elementi possano rimanere indecifrati. Come qui.
C'è un uso armonico della musica che diviene, nel disegno di Frattaroli, camera d'eco dove suona la voce del suo personale e intimo Teatro non tematico. Non narrativo, come lui stesso premette e svela. I versi di Ritsos vengono coniugati con partiture di Ligeti, Karaindrou, Byrd. C'è persino una danza di Kkroshi. C'è la voce soprano di Patrizia Polu mescolata alla musica, e poi quella Tenore di Diego Procoli. L'effetto è magnifico.
Spettacolo coraggioso. Impegnativo per la platea. Per l'uditore attento. Quell'assenza di slanci ci ricorda una certa oralità che ha origini molto antiche, avanti Cristo, quando ancora non esisteva la scrittura ed il Teatro. Il testo arriva chiaro quasi didascalico. La parola del sovrano diviene essa stessa sovrana, persino sui codici noti del Teatro.
Info:
DIREZIONE ARTISTICA SILVANO SPADA
presenta
AGAMEMNON
di GHIANNIS RITSOS
traduzione di Nicola Crocetti
in forma di làchesis per solo, eco, icona
di ENRICO FRATTAROLI
con
FRANCO MAZZI Agamennone
MARIATERESA PASCALE Clitennestra (in ascolto)
PATRIZIA POLIA voce di Cassandra (soprano in audio)
DIEGO PROCOLI voce di Achille (tenore in audio)